lunedì 26 febbraio 2018

Nathan e Il Cerchio D'Oro-Live in Studio


I Nathan e Il Cerchio D’Oro, le due storiche band savonesi  dedite al prog, si ritrovano a pochi giorni di distanza dal concerto al Teatro Don Bosco (http://athosenrile.blogspot.it/2018/02/nathan-e-il-cerchio-doro-live-al-teatro.html).

Questa volta non c’è un folto pubblico e nemmeno uno spazio concertistico, perché la location scelta è lo studio di registrazione di Carlo Venturino, meraviglioso padrone di casa che ha messo a disposizione la sua attrezzatura, i suoi locali e… il suo cibo!

Ma ciò che è andato in scena è un vero concerto, con la ripresa delle “scalette” utilizzate  per il recente live e la stessa sequenza di esibizione.

Ma perché tutto questo? Si potrebbe chiamare atto di gentilezza e di amicizia verso chi viene da molto lontano, un’amica la cui passione per la musica progressiva ha portato a bazzicare con buona frequenza l’ambiente ligure e persino ad intraprendere un viaggio arduo, che dovrebbe condurre alla conoscenza della lingua italiana: lei è Yoshiko e il paese da cui arriva è il Giappone.
Nel corso dei suoi numerosi viaggi nella nostra regione non aveva mai avuto l’occasione di ascoltare Il Cerchio e i Nathan, e grazie a lei domenica 25 febbraio si è testato qualcosa di nuovo.

Giornata buia per quanto riguarda le previsioni meteorologiche, quei momenti che diventano un perfetto alibi quando si preferisce la televisione alle poltrone di un teatro, ma in questo caso le esigenze erano diverse, e la neve - intensa ma leggera - caduta incessantemente non ha disturbato le intenzioni delle due band.

Atmosfera anomala e inusuale, a metà tra esibizione e prova da garage, in un ambiente serioso e capace di catturare ogni frammento musicale. Ma il clima si è riscaldato con facilità, e alla fine i musicisti apparivano soddisfatti della riuscita globale.
Essere professionali - e quindi con la mentalità da professionista - significa anche questo, dare il meglio di sé in ogni occasione, indipendentemente dall’entità dell’audience.

Tutti contenti quindi, italiani e non, e immagino che tra i ricordi di viaggio - musicale - di Yoshiko rimarrà anche questa giornata fatta di tante piccole sfumature che le persone virtuose riescono sempre a captare.


Da parte mie la “cattura” è, come al solito, video, e per sintetizzare l’accaduto propongo un paio di filmati che daranno la dimensione dell’accaduto.

mercoledì 21 febbraio 2018

Una chiacchierata con gli Ubi Maior...


Gli Ubi Maior sono una band giovane, ma non troppo, nel senso che l’esperienza è davvero significativa e si snoda su una ventina di anni di attività, periodo considerevole per poter tirare qualche somma.
Non ho mai avuto la possibilità di vederli in azione, anche se recentemente ho potuto apprezzare le caratteristiche della chitarrista Marcella Arganese, impegnata in un progetto parallelo. Ed è stata proprio Marcella il mio tramite con il gruppo, musicisti a cui ho posto qualche domanda, in un momento in cui sono già pianificati live importanti ed esistono le basi per la preparazione di un nuovo album, il quarto della loro carriera.



Ecco che cosa mi hanno raccontato…

Quest'anno gli Ubi Maior festeggeranno i 20 anni di attività: possibile riassumere la storia della band.
I primi 5-6 anni sono stati di apprendistato, passati tra lo studio delle cover e la creazione dei primi segmenti che faranno parte del nostro primo CD, “Nostos”, qualche anno più tardi. L'avvio è stato abbastanza blando. Non avevamo la fretta che intravedo oggi di mettersi subito a registrare un CD per inserirsi nel giro "giusto".
A cavallo fra i due millenni internet stava giusto decollando, i social così come oggi li vediamo non esistevano ancora. Ci si affidava ancora un pò alle gloriose fanzine di settore che tanto, e forse meglio, hanno fatto per il genere. Mandavi il CD-demo, iniziavano le prime recensioni, c'era il passa parola. Oggi è tutto più veloce. Devi registrare, avere un CD, martellare, millantare tirature impossibili, proporti in qualsiasi modo.
Fra il nostro primo CD e il secondo, “Senza tempo”, del 2010, c'è stato proprio il passaggio decisivo. Finite le fanzine si è passato ai social, ai portali prog, alla velocità di consumo e di produzione.
Dal canto nostro abbiamo continuato a fare le cose per bene e con calma, contando solo sulle nostre forze e sulla produzione chiara e corretta della nostra casa discografica AMS. Noi non compriamo i like su facebook e non abbiamo mecenati alle spalle.
La prima parte della storia della band si è conclusa nel 2010 con l'abbandono del nostro primo chitarrista, Stefano Mancarella, e l'avvento di Marcella Arganese. Marcella è un vulcano d'energia ed è impegnata oltre che con noi con i Mr. Punch (tribute band dei Marillion “epoca Fish”) e con gli Hostsonaten di Fabio Zuffanti. “Incanti bio meccanici”, il nostro terzo lavoro, ha segnato un interessante, quanto lieve, cambio di direzione a livello sonoro: un pò meno sanguigno hard-prog italico e più attenzione alle atmosfere e agli arrangiamenti.
Un lavoro più maturo.

Prima di affrontare il futuro vorrei soffermarmi sul vostro ultimo atto, "Incanti bio meccanici", album inusuale per i contenuti: me ne parlate?
Incanti bio meccanici è un album decisamente progressivo sinfonico. Meno debitore del glorioso rock progressivo italiano rispetto agli album precedenti. Sfruttando una forma compositiva comunque ben radicata negli anni settanta, come la suite, abbiamo però sviluppato armonie e melodie più originali e più attuali. Abbiamo stratificato maggiormente i brani, lasciando più spazio al lirismo del singoli strumenti, come su “I cancelli del tempo” e in “Lo specchio di mogano”. A livello lirico abbiamo incrociato l'arte onirica del teatro cinetico di Sharmanka con gli approfondimenti letterari del nostro cantante Mario Moi. I testi sono decisamente unici nel panorama attuale italiano, di un livello altissimo.


Che tipo di riscontri di pubblico e critica avete avuto in questa occasione?
Inutile girarci attorno. Il pubblico che acquista CD negli ultimi 20 anni è diminuito. Esiste ancora ma se anni fa vendevi 100 oggi vendi 60-70, se va bene. Il riscontro della critica è stato molto buono. Non tutti i paesi allo stesso modo. Puoi ottenere entusiastiche recensioni in Giappone e in Germania e magari meno benevole in Belgio o Olanda...è sempre molto strano e poco prevedibile. Cantare in italiano è sempre una lama a doppio taglio. Lo era negli anni Settanta e lo è anche oggi.

Non è bello incasellare la musica ma... come definireste la vostra proposta a chi ancora non la conosce?
Non ho mai avuto paura delle etichette e non mi da fastidio essere definito prog. E' la musica che facciamo, che amiamo. Alcuni definiscono il rock sinfonico di oggi regressive anziché progressive. Ognuno è libero di pensarla come vuole.
Dal canto nostro cerchiamo di non riproporre semplicemente un genere in voga 40 anni fa. Inseriamo elementi diversi che completano un puzzle oppure lo rinnovano e lo fanno progredire. Parlando dei nostri brani, “Teodora” è senz'altro una suite molto classica dal punto di vista compositivo. “Alchemico fiammingo” e “Lo specchio di Mogano” sono invece più sorprendenti, pur sempre incasellate in strutture già codificate. Troviamo tracce di musica melodica anni ‘80 come pure accenni di jazz o riferimenti etnici. Cerchiamo insomma di essere originali all'interno di una forma d'arte ben codificata.

Le vostre liriche appaiono di spessore e non un "atto forzato" (come a volte accade): come nascono i vostri testi? E' un lavoro di squadra o esiste precisa suddivisione dei compiti?
I testi finali sono opera di Mario Moi. Non è facile interagire in questo processo creativo. Puoi dare qualche idea di massima, spunti, come ha fatto Marcella per “Incanti”, ma poi la realizzazione definitiva spetta a Mario. Mario è molto attento a far combaciare la metrica delle parole col tempo del brano. Inoltre compone le melodie vocali e tutto ciò che riguarda il violino e la tromba. Le strutture e la musica di base è opera principalmente mia e di Marcella. Poi c'è il lavoro di arrangiamento con tutta la band coinvolta.

Come sono i live degli Ubi Maior?
Sono live atmosferici. Cerchiamo di rendere l'idea del brano e del testo che si sta cantando in quel momento. Stiamo lavorando a certe idee e vedremo se potranno essere realizzate in futuro. Ovviamente non è facile fare numerosi concerti. Nel 2016 abbiamo partecipato sia al grande Festival di Veruno che al Progressivamente di Roma. Nel 2017 abbiamo suonato al FIM di Erba.  Non abbondano le occasioni e i gruppi sono davvero tanti. Stiamo tentando di andare all'estero e quest'anno saremo ad aprile in Germania per il festival di Reichnbach ArtoRock Festival.
Cerchiamo di ottenere il massimo mantenendo la nostra dignità: non puoi andare a suonare totalmente gratis o senza una minima prospettiva di rientro, anche perché si abituano i gestori a pagare sempre meno, e questo rovina la scena musicale abbassando spesso anche il livello qualitativo… credo che sia bello poter calcare alcuni palchi per meriti propri e non pagando, poi oggi ci si può accontentare anche di una via di mezzo.

"Incanti…" è un disco del 2015: cosa bolle in pentola?
Bollono in pentola un pò di brani. Un paio sono già pronti e li presenteremo nelle nostre prossime esibizioni, uno l'abbiamo già suonato a Veruno. Stiamo lavorando per il nostro quarto album e sarà tendenzialmente diverso dal precedente. L'obiettivo è un ritorno a una struttura più contenuta dei brani, lasciando sempre più respiro agli strumenti e alle atmosfere. E’ questo Il traguardo per il 2019.

Come ha inciso il recente cambio di line up sulla vostra musica?
La decisione di Walter di lasciarci ci ha rallentano un pò nella prova dei brani nuovi, ma rientreremo presto nei ranghi. Il nuovo elemento Gianmaria Giardino è competente e molto giovane e ci porterà senz'altro nuova linfa ed energia. Lo vedremo nei prossimi mesi.

Che giudizio vi sentite di dare dell'attuale stato della musica in Italia?
A livello undergroud è un rigoglio di band, come sempre. In superficie però siamo sempre alle solite. Il RAP e le cover band la fan da padroni nei festival, nei locali. La gente affolla i loro concerti perché vogliono ascoltare quello che già conoscono, o forse perché questa super produzione (resa facile anche dall'utilizzo dei pc) - anche per riagganciarci alla prima domanda - è una produzione forse troppo desiderosa di fare e di arrivare, formazioni che durano il tempo di un cd e poi non esistono più, persone coinvolte in troppi progetti: forse così non si stanno creando masterpiece (sarebbe bello poter parlare di questo argomento senza pensare a nomi in particolari ma a tutta la scena italiana). C'è poca voglia di ricerca. Ci sono alcuni locali coraggiosi che propongono musica originale e band che compongono la propria musica. Esiste anche uno zoccolo duro di persone che affolla i festival organizzati in Italia.  Dovrebbero essercene sempre di più. Cerchiamo di ottenere il meglio da quello che viene offerto.

Quali sono le prossime occasioni per vedere gli Ubi Maior in concerto?
Se siete in Germania ci vedremo il 7 aprile per l'Art Rock festival di Reichenbach insieme a tanti altri artisti: tre giornate di sano progressive rock. Abbiamo poi in programma un concerto in area milanese a marzo, e per inizio giugno al Progs and Frogs festival a Cascina Caremma. Vi consigliamo comunque di tenere d'occhio la pagina facebook degli Ubi Maior oppure il nostro sito  www.ubimaiorweb.com


Formazione:
Mario Moi - vocals, violin, trumpet
Gabriele Dario Manzini - keyboards
Gianmaria Giardino - bass
Alessandro Di Caprio - drums
Marcella Zaubermaus Arganese: electric and acoustic guitar












martedì 20 febbraio 2018

Il compleanno di Aldo Tagliapietra




Il calendario mi fornisce ancora una volta l’occasione per ricordare l’eccellenza musicale.

Compie gli anni oggi Aldo Tagliapietra, voce storica delle Orme, da alcuni anni super-impegnato in proprio. Quando entrai in contatto col mondo “Orme” era il 1970, avevo 14 anni, ed ero stato colpito dal brano pop “Irene”. Di lì a poco il percorso della band virò decisamente verso un’altra musica, influenzato dalla partecipazione, come spettatori, al Festival di Wight. E nacque “Collage” e le Orme entrarono a far parte delle band seminali che rappresentarono i fervori del momento, in atto anche in Italia.
Aldo ha la fortuna di possedere una timbrica particolare che è diventata caratterizzante, riconoscibile in un nano secondo, probabilmente impossibile da clonare.
Aldo è anche una persona come difficilmente se ne trovano nel mondo musicale, attenta allo spirito più che alla materia, ai rapporti umani, alla famiglia – un nucleo il suo, capace di suscitare sana invidia per il collante che lo unisce, e di cui sono testimone.
Bassista, chitarrista, vocalist, frontman, suonatore di sitar, ha dedicato tutta la sua vita a quella che è definita musica progressiva, siglando assieme ai suoi compagni di viaggio album storici che oltrepassano la necessità di catalogare ogni tipo di musica e armonia, perché l’ascolto è sufficiente per l’apprezzamento immediato.
Negli ultimi anni si è assistito ad un cambiamento importante, legato alla connessione tra la serenità personale e i risvolti professionali. Circondatosi di una band di giovanotti, ha ritrovato la voglia di comporre e di buttare nuova carne al fuoco, evitando di ripescare, solo, pillole di passato, rilasciando invece due album di inediti ed un libro… il tutto in due anni! E credo sia pronto un nuovo capitolo!
Frequenti i suoi concerti in giro per l’Italia e per il mondo, con progetti di varia natura, perché la musica continua ad essere la sua vita.

Gli chiesi un po’ di tempo fa: “Cosa scriveresti sul tema: "Tagliapietra e la sua musica futura”? “Spero di continuare ad avere quell’entusiasmo e quella creatività che mi ha permesso di arrivare a scrivere musica come faccio ultimamente, per molti e molti anni ancora”.

Un esempio positivo per tanti giovani che sicuramente non conoscono ancora Aldo Tagliapietra, ma se nascesse in loro la curiosità di saperne di più (mi illudo che queste righe possano servire a questo), rimarrebbero affascinati, ne sono certo, da una voce senza eguali, capace di trasmettere le emozioni di cui spesso si parla senza sapere cosa in realtà siano, e una volta entrati in contatto con il suo modo di porsi sarà difficile dimenticarlo.

Questo il suo ultimo lavoro che ho recensito da poco:



Tanti auguri Aldo!

Questo accadeva nel 1976…

domenica 18 febbraio 2018

Nathan e Il Cerchio D'Oro live al Teatro Don Bosco di Savona


La serata del 16 febbraio 2018 resterà nella storia savonese, e non solo per quanto accaduto in ambito musicale.
Era di scena la musica progressiva proposta da due band cittadine di lungo corso, Il Cerchio D’Oro e i Nathan e la doppia presenza autorizza a definire l’evento un mini “Festival Prog”.
E’ evidentemente una storia di amicizia, rapporto consolidatosi tra le due band negli ultimi tempi grazie ad un progetto benefico che ha raccolto molti consensi e… denaro, una somma ben precisa utile all’acquisto di una culla termica per il trasposto di neonati.

La bellissima notizia - annunciata in diretta dal palco da Massimo Pacini, membro del Lions Club Savona Torretta - è quella che l’obiettivo è stato quasi raggiunto, grazie alla diffusione di un video rilasciato nell’occasione delle feste natalizie, catalizzatore di offerte cospicue e condivisioni multiple. Ed è stato proprio il Dott. Amnon Cohen, Direttore della Struttura Complessa di Pediatria e Neonatologia dell’Ospedale San Paolo di Savona e dell’Ospedale Santa Corona di Pietra Ligure, a descrivere i dettagli tecnici di tutta l’operazione, sinceramente sorpreso dal raggiungimento dell’obiettivo: se è vero che è sempre più difficile vivere  di musica, nel senso del “mestiere”, è altrettanto vero che attraverso di essa si possono fare piccoli miracoli, ed è questa una dimostrazione significativa.
A completamento informativo aggiungo che il brano in questione - “Almeno un attimo, il Natale degli altri” - nasce da un’intuizione di Bruno Lugaro e dal completamento musicale di Piergiorgio Abba (Nathan). Il successivo lavoro di squadra ha visto il coinvolgimento musicale de Il Cerchio D’Oro e quello organizzativo del Lions Club Savona Torretta, di MusicArTeam e l’azione della Croce d’Oro di Albissola Marina.

Ed ecco l’ultimo atto della serata, occasione che difficilmente si ripeterà vista la situazione davvero unica…


Ma prima di questo bis generalizzato sono saliti on stage due veri gruppi omogenei, e si è quindi assistito ad un paio di ore di musica che ha incollato il folto pubblico alle comode poltroncine rosse del Teatro, un luogo che ha suscitato in me miriadi di ricordi, di bambino e di adolescente.
Per chi veniva da “fuori” città o per chi non ha vissuto quei giorni per mero fatto anagrafico, certi aspetti, che ho sottolineato prima del concerto, possono essere sembrati poco comprensibili, ma memoria e musica sono “entità” inscindibili, e se è vero che è proprio nel campetto adiacente al Teatro che mi sbucciavo le ginocchia ogni domenica mattina, è altrettanto vero che attorno ai miei 16-17 anni i Salesiani - così chiamavamo il luogo in quei giorni - era l’unico cinema in cui potevamo vedere a ripetizione “Yessongs”, “Pink Floyd a Pompei” e “Pictures at an Exhibition”.
Ma andiamo oltre le mie rimembranze…

Aprono il concerto i Nathan, attivi da molti anni e dediti soprattutto alla proposizione di musica progressiva altrui, dai Genesis ai Pink Floyd. Ma questo è il passato! Nel 2016, dopo una lunga incubazione, nasce il loro primo album di inediti, “Nebulosa”, per AMS, e… esplode la creatività, tanto che nel prossimo mese di marzo, a distanza di solo due anni dall’esordio discografico, uscirà il nuovo disco, “Era”, sempre per AMS, proposto in minima parte (2 brani) nel corso della serata.
Oltre ai già citati Bruno Lugaro (voce) e Piergiorgio Abba (tastiere), troviamo alla batteria un altro elemento storico - Fabio Sanfilippo -, Mauro Brunzu al basso e una new entry, il chitarrista Andrea Laurino a cui è toccato il compito non facile di sostituire Daniele Ferro, creatore delle parti solistiche di entrambi gli album.
I tempi ristretti - circa un’ora per band - hanno imposto delle scelte esecutive e i Nathan, oltre ai due brani inediti - uno dei quali all'interno del video a seguire - hanno presentato un sunto di “Nebulosa”, l’album di esordio.
Nonostante il recente cambiamento della line up e una non eccessiva attività live pregressa (ma questo è un elemento che caratterizza tutti i gruppi prog) il sound dei Nathan è apparso solido, coeso e convincente, e il pubblico ha chiaramente apprezzato la performance. L’affiatamento può progredire solo con l’aumento delle occasioni live, ma ciò che si è visto sul palco è da apprezzare in toto. E le sorprese non sono finite perché il nuovo disco, che ho avuto l’opportunità di ascoltare in anteprima, rappresenta una vera evoluzione e sarà una sorpresa per gli appassionati del genere.
Eccone un assaggio…


Il cambio set serve a Max Pacini per completare l’opera benefica, una raccolta di offerte gestita in loco dalla Croce d’Oro di Albissola Marina abbinata al sorteggio di tre piatti in ceramica di grande valore, regalati ad altrettanti partecipanti fortunati.

Entra in scena Il Cerchio d’Oro in formazione tipo, quella dell’ultimo album, “Il fuoco sotto la cenere”, uscito per Black Widow Records la scorsa estate: Franco e Simone Piccolini alle tastiere, i gemelli Terribile - Gino e Giuseppe - alla batteria e al basso (e alla voci), Piuccio Pradal alla voce e alla chitarra ritmica e Massimo Spica alla chitarra solista.
La loro storia racconta di un gruppo di amici che costituiscono un “complesso” negli anni ’70 e, dopo la “normale vacanza” di alcuni lustri, si ritrova nella piena maturità e così, tanto per togliersi un po’ di soddisfazioni, dal 2006 ad oggi registra tre album, conosciuti ormai in tutto il mondo relativo alla musica progressiva: soddisfazioni di pubblico e critica!
Anche in questa occasione non si smentiscono e, proponendo un mix di tutta la loro produzione, divertono ed emozionano l’audience, un pubblico fatto di musicisti, amici e appassionati, davvero attento e concentrato, pronto però a lasciarsi andare al termine di ogni episodio musicale.

Anche per loro propongo un contributo video dell'esibizione…


Mi pare inutile entrare nei dettagli tecnici di una serata dai molteplici significati, che ha messo in mostra amicizia, voglia di attimi di piena comunione, partecipazione e altruismo.
Doveroso però un ringraziamento al fonico, Alessandro Mazzitelli e al “padrone di casa, Don Giovanni Margara.

L’ultimissimo atto, il bis già proposto, si chiude con l’intervento di Max Pacini che comunica che la benevolenza del pubblico ha praticamente azzerato il gap esistente nel pre-concerto tra la cifra raccolta e quella necessaria all’acquisto della culla termica, e nell’aria giravano alte parole magiche… musica e amore… amore e musica!



venerdì 16 febbraio 2018

OAK-“Giordano Bruno”


Jerry Cutillo è la mente  degli OAK (Oscillazioni Alchemico Kreative), band romana di lungo corso da lui formata molti anni fa, propositrice di programmi sonori molto variegati, a volte in azione come tributo ai miti musicali del passato, ma sempre più spesso espressione personale di gusti e passioni che intrecciano la storia con la tradizione, con una voglia estrema di contaminazione e rottura degli argini culturali che la musica progressiva ci ha insegnato a superare con naturalezza.
Beh, parlare solo di Jerry non è corretto, ma lui è il fulcro attorno al quale si materializza la dinamicità di musicisti che entrano ed escono nei suoi progetti.
Cutillo è un polistrumentista di valore e, nel tempo, i suoi “amici” esterni si sono fatti coinvolgere sempre di più, sia in fase live che in quella di registrazione. Anche in questo caso ne abbiamo una prova concreta, come si evince dall’intervista a seguire, uno scambio di battute che permette di entrare nei dettagli della proposta.
Già… il nuovo lavoro degli OAK, il doppio vinile + Cd (quasi 70 minuti di musica) che riporta ad elementi storici che da sempre appassionano l’uomo moderno e non, e che toccano particolarmente certe zone geografiche che hanno rappresentato la scenografia su cui la storia ha camminato. La vita su cui si è focalizzato Cutillo in questa occasione è quella di “Giordano Bruno - è questo il titolo dell’album -, e il percorso che viene delineato parte dal suo arrivo a Roma e, dopo il lungo peregrinare, il ritorno, con l’epilogo drammatico, il rogo, il 17 febbraio del 1600: da Campo dè Fiori a… Campo dè Fiori.
L’ascolto abbinato alle didascalie regala una chiave di lettura completa e particolarmente piacevole, tanto da provocare una sorta di immedesimazione, un... “entrare nella parte”.
La mia idea è che sia questo il sogno musicale della vita, quello che andava realizzato indipendentemente dalle richieste di mercato (qualora ne esistessero ancora!) o dalla necessità di mantenersi entro una categoria precisa… un lavoro di pregio culturale - proporre la storia e i suoi parallelismi utilizzando la musica come elemento didattico - ma allo stesso tempo coinvolgente e pieno di spunti accattivanti, uno di quei contenitori che, se nati in epoca seventies, avrebbero raggiunto lo status dell’immortalità.
E’ ovviamente un lavoro tipico della nostra epoca, momento in cui nessuno investe più e ci si deve arrangiare per limitare i costi e al contempo la tecnologia permette di lavorare da casa, accorciando gli enormi spazi che spesso esistono tra i vari musicisti. Ciò nulla leva alla qualità del prodotto in uscita salvo, forse, la continuità live, vista la lista degli ospiti stranieri presenti.
Parlo di musicisti incredibili come David Jackson - impossibile non riconoscere il suo tocco -, Maartin Allcock - sempre presente quando Jerry chiama - Richard Sinclair, la cui partecipazione regala una delle tracce più significative (proposta a seguire), Sonya Kristina - una timbrica vocale da brividi -, Jenny Sorrenti, nell’occasione una sorta di versione femminile di Peter Hammill, e il drummer scozzese Derek Wilson. Ma non finisce qui… come si potrà leggere nell’intervista.

"Roma, 17 febbraio 1600. La porta della cella si chiude con un rumore sinistro.  All’apostata Giordano Bruno, detenuto nel carcere dell’Inquisizione romana, viene applicata la mordacchia così da non poter gridare o lanciare anatemi lungo il percorso che conduce a Campo dè Fiori. Lì, ad attenderlo, c’è il rogo." 

Da qui inizia il viaggio sonoro, puntellato da trame comprese tra la miglior acusticità di Ian Anderson (“Aqualung” viene citato espressamente) e le atmosfere oniriche e dark dei VdGG, ma con il tocco geniale di Jerry Cutillo, un musicista intriso di rock e vissuto popolare.
Ho goduto al primo ascolto, senza aver volutamente usufruito di alcun tipo di spiegazione. Mi sono ripetuto in modo più cosciente, avendo però davanti un booklet con i testi e i crediti: il risultato non è cambiato.
La storia e la musica, come accade da sempre, si intrecciano e la sintesi che ne deriva, in questo caso, è qualcosa di magico che vale la pena afferrare e condividere.
                                                       
"Attraverso le sbarre della sua cella, Giordano osserva le stelle danzare. Se è certo che ogni vicenda umana, avviluppata com’è nelle circostanze di un momento, non custodisce la verità assoluta, è altrettanto vero che spiriti eletti possono comunicare e condividere conoscenze anche a distanza di secoli. In uno di questi mondi infiniti, noi ci incontreremo.”

Imperdibile!


L’INTERVISTA

Il tuo nuovo lavoro, “Giordano Bruno”, è in incubazione da molto tempo: mi racconti la nascita dell’idea e l’iter che ti ha portato al completamento del progetto?
La figura di Giordano Bruno si è sempre aggirata, come un’ombra, nelle mie vicende esistenziali. Sono sempre stato attratto dal magnetismo della statua in Piazza Campo dè Fiori e con il passare degli anni ho avvertito come un richiamo che mi avvicinava alla storia del filosofo nolano. In “Sator Arepo Tenet Opera Rotas”, un mio lavoro del ’96, figurava il brano “XXI Century Jubilee”, dove il nome Giordano Bruno faceva il suo ingresso nelle liriche, strillato al megafono dalla mia voce sopra una cornice di suoni laceranti. Quel prodotto non fu mai pubblicato e rimase  nel cassetto. Poi, due anni fa, decisi di inserire il brano nel Cd “Viandanze” e insieme al produttore Marco Viale  girammo le riprese del videoclip in Piazza San Pietro e in Piazza Farnese (adiacente a Piazza Campo dè Fiori) dove si trova l’ambasciata Francese. Il caso volle che ciò avvenisse appena due giorni prima dell’eccidio del Bataclan. Quarantotto ore in ritardo e saremmo stati circondati dai reparti speciali antiterrorismo in difesa di due tra i maggiori siti a rischio della capitale.
Il video a cui accennavo è su youtube e potete trovarlo digitando la parola chiave: “Giubileo, dal nuovo album degli OAKViandanze”.
Questo accadeva due anni fa circa, poi, in seguito ad uno scambio di battute con Massimo Gasperini, discografico dell’etichetta genovese Black Widow, avviai un nuovo progetto. Ricordo che alla sua affermazione “Io ci farei un album intero su Giordano Bruno” replicai: “Sì, ma in formato doppio vinile!”. E cominciò la sfida… contro i miei limiti, il tempo e le scarse finanze a mia disposizione. Mi posi come obiettivo l’aver pronto l’album in tempo per l’anniversario della morte del filosofo che cade il 17 febbraio. Cominciai così a comporre del nuovo materiale e a registrare, insieme a Giacomo Pettinelli alla batteria e Francesco De Renzi alle tastiere, alcune basi. Continuai le session in Svizzera a Leontica, nel “Sound Avenue Studio” di Marco Viale dove ci raggiunse David Jackson. Effettuai degli overdubs al “ReFo studio” di Daniele Nuzzo e infine realizzai il missaggio e la masterizzazione  rispettivamente allo “studio Blu” con Marco Lecci e al “Seven Studio” di Stefano Vicarelli. Tuttavia, per ammortizzare i costi di produzione, effettuai la maggior parte delle incisioni nel mio home studio dedicandomi ad uno sfrenato polistrumentismo. A posteriori posso assicurarti che la gestazione del progetto è stata problematica e convulsa. Nei diciotto mesi di lavorazione è successo di tutto e le probabilità di insuccesso sembravano superare di gran lunga quelle di riuscita. Sono stato costretto a fronteggiare carenze strutturali, promesse non mantenute, equivoci e defezioni, e l’assenza cronica di un budget sufficiente per portare a termine adeguatamente il progetto.                                                                            
Sul sito www.oscillazionialchemicokreativegiordanobruno.eu in 13 steps sono racchiuse tutte le fasi della crescita dell’album. 
Infine, lo scorso autunno, il richiamo di “Giordano Bruno” è arrivato alle orecchie di Iaia De Capitani (Immaginifica by Aereostella) che ha finalizzato il prodotto rapidamente e in modo molto professionale. 

Chi fa parte attualmente degli OAK?
Questa è una domanda a cui ho sempre maggiori difficoltà a rispondere. Rischierei di scrivere una line up che potrebbe dissolversi nel giro delle ventiquattro ore, tant’è vulnerabile il panorama musicale. Nel corso dei venticinque anni con gli O.A.K. ho sperimentato ogni genere di rapporto artistico. Tuttavia, andando per esclusione, posso affermare che  gli O.A.K. non sono un gruppo di amatori/appassionati/collezionisti, non sono una società a scopo di lucro, non sono il delirio di un pazzo egocentrico, non sono una tribute band, non sono un fan club, non sono una setta diabolica, non sono una band di session men, non sono un duo/trio…
E’ di assoluta importanza però sottolineare lo straordinario line up con cui presenteremo “Giordano Bruno” al Planet Live Club di Roma domenica 18 febbraio: Jerry Cutillo alla voce, chitarra acustica, flauto e tastiere – David Jackson ai fiati – Francesco De Renzi alle tastiere – Guglielmo Mariotti al basso e dodici corde – Shanti Colucci alla batteria. Anche Jenny Sorrenti e Valentina Ciaffaglione daranno il loro contributo vocale a questa serata che si preannuncia come una grande festa per il pensiero libero, la creatività e il futuro del prog.  

Ho visto ospiti stratosferici: me ne parli?
David Jackson è stato il primo ad essere contattato perché il sound che volevo dare all’album non era  guitar oriented e David, con il suo tonewall, rappresentava  l’unica soluzione. Se non avesse chiamato i demoni del suo passato a darci una mano, sarebbe stato ben diverso e l’album non avrebbe probabilmente visto la luce. Dave ha sempre apprezzato molto  i miei sforzi artistici e il suo background  aderisce perfettamente al nostro attuale progetto. Il suono inconfondibile dei suoi double horns ha contaminato i miei arrangiamenti in maniera originale, auguriamoci quindi che la nostra collaborazione  duri  ancora per molto tempo.
Anche l’invito a Richard Sinclair è avvenuto spontaneamente perché, in passato, avevamo condiviso una serie di spettacoli e ci eravamo lasciati con la promessa di tornare a lavorare insieme. Una delle mie nuove composizioni, “Dreams of mandragora”, era nata dalla visualizzazione di un’ immagine sonora. Hai presente i “choir boys” delle chiese inglesi? Richard ha un esperienza simile, avendo frequentato il coro della chiesa nel distretto di Canterbury dove viveva, e il suo timbro vocale, unito ad una intonazione impeccabile, è rimasto inalterato. Nessun bending o note vibrate o urli arrochiti. Un plasma tonale omogeneo che si muove orizzontalmente sul pentagramma e ti incanta dalla prima all’ultima nota. Per tre giorni abbiamo lavorato in casa, soffrendo il caldo di settembre, fino alla realizzazione delle parti vocali e della linea di basso. Con grande impegno siamo riusciti a far riemergere lo spirito del migliore Sinclair, con tutta la sua straordinaria abilità tecnica e il brano, che dietro un’ apparente semplicità  cela un sofisticato puzzle di progressioni armoniche, ne ha tratto grosso vantaggio. Il testo è immaginifico e descrive una scena molto bizzarra: “Sottili lingue di fumo volano alte nel salone dei ricevimenti di palazzo Sidney quando gli ospiti si svegliano dal  volo magico. Soltanto ora il maestro Giordano Bruno si illumina di un sorriso beffardo. Ai suoi lati, due incensi alla mandragora si spengono con un soffio d’argento”. 



Ringrazio Pat Rowbottom per l’aiuto alla scrittura del testo.
Un’altra sacerdotessa del mistero è Sonja Kristina, storica frontwoman dei Curved Air. Con lei avevo realizzato “Demons of prog” uno spettacolo di musica  O.A.K., VDGG, Genesis e Curved Air, e Il suo fascino e la sua dolcezza mi avevano profondamente colpito. Nell’album “Giordano Bruno” volevo inserire l’episodio dell’incontro del filosofo con una donna, che in seguito Giordano chiamerà Diana, avvenuto sulla spiaggia di Nola. Avevo in mente, come riferimenti,  Morricone - “Giù la testa” - e Pink Floyd - “The great gig in the sky”. Cominciai con una progressione armonica al piano che introduceva dei vocalizzi che immaginavo dovessero crescere ed esplodere in un inciso molto lirico. Purtroppo la composizione arrivò ad uno stallo finché decisi di utilizzare dodici battute armonico/melodiche che avevo composto molto tempo addietro in seguito ad un mio viaggio sull’isola di Skye in Scozia. Le inserii nel nuovo progetto e… suonavano a meraviglia! Cominciò poi il carosello dei tentativi canori ma, per diverse ragioni, non si arrivò ad una definizione delle altre parti vocali. Poi arrivò  Sonja, che finalmente rispose al mio invito rivoltole molto tempo prima e cantò insieme a me tre nuove strofe. I vocalizzi di Valentina Ciaffaglione completarono poi brillantemente la parte corale del brano con note da brividi.
Per Maartin Allcock il compito invece è stato più semplice perchè la mia “Danza macabra”, un nuovo arrangiamento del celebre capolavoro di Saint Seans, gli ronzava nelle orecchie già da parecchio: ricordi a Savona Athos? E il Dance ensemble di Eleonora Briatore? Non avevo quindi dubbi sull’ottimo risultato che avremmo raggiunto.
I fraseggi del basso sono ritmicamente puntuali e melodicamente risolutivi. Un vero pezzo di bravura del nostro amico Maart che ha registrato la parte in tutta comodità nel suo home studio ad Harlech nel Galles e poi spedito il wav file. Un autentico capolavoro di stile alle quattro corde.
Tra le voci femminili dell’album ci sono anche quelle di Annamaria Manzi e Gertrude Urner.  Anche Jenny Sorrenti è con noi a cantare in “Wittenberger fuchstanz”. Jenny ha sempre avuto ottime intuizioni nei miei brani, ed oltre ad avere una naturale predisposizione melodica è una cantante molto esperta e con grandi doti immaginifiche. Anche in questa occasione è stata infallibile ed ha colto in pieno lo spirito dell’underworld degli O.A.K..
Derek Wilson è noto per essere uno dei migliori session men della capitale e il suo contributo in “Parallel dances” nel 2000 era stato molto rilevante. In seguito a quell’esperienza Derek cominciò ad  apprezzare il mio stile compositivo finendo per inserire alcuni brani nei suoi video tutorial. Per “Giordano Bruno” serviva  un’opening track che dettasse gli orientamenti dell’album e i primi tentativi ritmici, effettuati con altri musicisti, non avevano dato esiti positivi. Cominciavo a temere per “Campo dè Fiori” perchè Il muro sinfonico dei mellotron necessitava di un adeguato sostegno ritmico. Mi rivolsi quindi a Furio De Chirico e Derek Wilson. Quest’ultimo si rivelò particolarmente motivato dal 16/8 sincopato che muove la sinfonia del brano e arrivò al traguardo superbamente  con timing e dinamiche a regola d’arte.   La lista degli ospiti continua con il contributo di  Marco Lecci che ha effettuato i missaggi, di Marco Viale per le riprese nel suo studio SoundAvenue di Bellinzona e poi Charles Yossarian, Fab Santoro, Alexa Trinity Bersiani, Daniele Nuzzo, Gerlinde Roth, Roberto Bersiani, Mirko Valtulini e Yoshiko Progrena.

A proposito dei guests, ho catturato un tuo commento di pochi giorni fa, parole con cui esprimevi soddisfazione nel sapere che nello stesso momento musicisti differenti erano impegnati nel lavorare a fasi di “Giordano Bruno”: che tipo di piacere si prova nel creare un album negli anni 2000?
E’ stato un momento di rara esaltazione a conferma delle straordinarie potenzialità che hanno le nuove forme di comunicazione. In quel post pubblicato sul mio profilo facebook, usavo l’immagine del nostro pianeta segnalando gli artisti coinvolti nella fase finale del progetto nei loro rispettivi punti cardinali. Gaia (questo il nome dato alla Terra dagli antichi greci) ci ospita ed unisce in un grande abbraccio. Giordano Bruno aveva già divulgato questo spirito di unione tra esseri umani, una comune ricerca di conoscenza e verità assoluta. L’aver gettato il seme di un progetto intorno al quale si sono mosse tante energie positive è il primo grande successo di quest’album. Poi c’è anche il rovescio della medaglia (non la prog band ma il lato oscuro dei sentimenti umani!) che contrappone, ad una forza che guarda avanti, qualcos’altro che rimane nell’ombra e vittima dei risentimenti. Trovo comunque inevitabile che la passione, il coraggio, lo sforzo e la continuità vengano premiati, perché l’unico modo per sperare di migliorare sé, gli altri e il mondo che ci circonda, è credere fino in fondo in qualcosa e lottare per farlo nascere ed affermare. Se questo qualcosa poi sono un pugno di canzoni ispirate dalle vicende di un illuminato come Giordano Bruno, c’è di che stare tranquilli.

Che cosa differenzia questo nuovo lavoro dai tuoi precedenti?
Per la serie “Sempre più difficile”! I bersagli si allontanano ma la mira migliora e quindi si spera sempre di far centro. Chi avrebbe scommesso su un progetto così ambizioso?
Un concept album prog, doppio, da realizzare in vinile e che ruota intorno ad un personaggio discusso come Giordano Bruno. A proposito, ho scoperto che tutti, almeno una volta nella vita, hanno cullato il sogno di realizzare un’opera sul filosofo.
Concettualmente ho voluto rappresentare un acquarello di immagini senza tempo ed è infatti intorno a una serie di eventi remoti e visioni precorsive che si muovono le vicende musicali dell’album. Non ho avuto la pretesa di mettere a battesimo un nuovo genere musicale e infatti non vi è alcun suono avveniristico nell’album che possa solleticare gli amanti delle novità.  
Mi sono posto al di là di ogni osservazione sul genere o sull’utilizzo di questo o quello strumento musicale.
C’è un verso nella canzone che chiude la prima facciata: ”… ed attendo con gli amici il fumo dell’uomo col mio stesso volto al buio di un imago nella notte… forse Aqualung”, che insieme al salto d’accordo sincopato sui bassi dell’acustica, non ha bisogno di spiegazioni. E chi non capisce il senso del flashforward  vissuto da Giordano Bruno con la sua percezione di note che presto qualcuno raccoglierà dallo spazio/tempo e scriverà su pentagramma, non ha capito l’album. ll clima è dichiaratamente retrò e strapieno di citazioni ma conserva la sua voce e peculiarità stilistica e mi piace pensare che quest’album abbia rotto le barriere del tempo e possa far ben mostra negli scaffali insieme ai prodotti usciti cinquanta anni fa.
A pensarci bene, metà secolo è un intervallo piuttosto breve se ci allontaniamo da una percezione soggettiva dello scorrere del tempo. Non c’è più l’ansia di dover collocare il proprio lavoro in un determinato momento storico e questo album non è sicuramente figlio del  suo tempo. Sono semi o se preferite messaggi nella bottiglia (c’è molta acqua in questo disco, acqua che spegne le fiamme) che vengono rilasciati nel liquido cosmico ma non sappiamo quando o se giungeranno mai a destinazione, perché non conosciamo ancora quale essa sia. Ma tutto andrà probabilmente a riempire la storia del pensiero umano che trasmigra in qualche modo da una parte all’altra dell’Universo/Multiverso. Se poi, tra centinaia di anni qualcuno troverà tracce di quel che è stato fatto, potrebbe anche nascere un nuovo interesse e il giudizio sarà avulso da ogni condizionamento storico. Queste ovviamente sono mie farneticazioni, la casa discografica con la quale ho firmato il contratto, al contrario, è già al lavoro per dare visibilità all’album e promuoverlo adeguatamente a livello internazionale.     

Vista l’internazionalità di cui parli, è ipotizzabile pensare di vedere tutti i tuoi ospiti su di un palco?
Spero proprio di sì, ma puoi immaginare quale possa essere il principale problema per l’attuazione di un progetto simile.

L’artwork è di uno dei miei artisti preferiti, Ed Unitsky: come nasce la vostra collaborazione?
Marco Bernard, il bassista dei The Samurai Of Prog, è una mia vecchia conoscenza. Abbiamo entrambi militato, alla fine degli anni ’70, tra le fila degli Elektroshok un gruppo punk romano. L’autore delle loro copertine è Ed Unitsky, che ha risposto affermativamente anche alla mia proposta per l’artwork di “Giordano Bruno”. Ed è un artista di grande talento e personalità. Ha una tecnica originale che lo contraddistingue da chiunque altro. Lui è rimasto molto legato a questo lavoro e ne custodisce la creazione gelosamente, come è atteggiamento di tutti i grandi artisti .

In che formato uscirà “Giordano Bruno”?
Il doppio vinile con Cd incluso uscirà in tutte le rivendite dischi/Cd il 16 febbraio prossimo. Mi è stato tuttavia riferito che è già disponibile su digital store come Amazon.

Ripetiamo con quale etichetta?
Immaginifica by Aereostella

Sono previste presentazioni di pubblicizzazione?
Il 18 febbraio al Planet Live Club di Roma con il suddetto line up e ospiti.


Side one
Campo dè fiori  5:22
Viator temporis  1:35
Liber in Tiberi  5:44
Angeli senza ali  2:23
Side two
Circe  7:13
Diana/Morgana  5:37
La cena delle beffe  5:46
Side three
Dreams of mandragora  4:40
Danse macabre  3:20
The Globe  4:20
Wittenberger fuchstanz  7:59
Side four
Un valzer per il Mocenigo  5:32
Sandali rossi  8:02
Campo dè fiori reprise  3:43

Tutte le musiche scritte da  Jerry Cutillo eccetto “Danse macabre”, di Saint Saens (1874).
Ospiti… David Jackson, Richard Sinclair, Sonja Kristina, Maart Allcock, Jenny Sorrenti  e altri.
Registrato nei  Feed the Fox, Sound Avenue, Re.Fo. and Naten Studio.
Mixato e masterizzato allo Studio Blu  da Marco Lecci, assitente al mixaggio Cristiano Boffi.
Cover design di Ed Unitsky
Produzione di CraftyArtVenture2017