domenica 9 luglio 2017

Pete Townshend rivisita la storia del rock...


TRATTO DAL LIBRO “PETE TOWNSHEND-WHO I AM
"Il più controverso memoir rock di tutti i tempi. Un  dio del rock rivela le sue più umane fragilità" (Rolling Stone)

“Era il 1981, quattro anni dopo l’esplosione del punk. Era stata una grande sfida, ma la vecchia guardia - Stones, Status Quo, Queen e Who - riusciva ancora a riempire arene, mentre i Sex Pistols si erano dissolti e Clash, Jam, Specials e Siouxsie and the Banshees erano le uniche punk band che ancora credevano nella riforma del rock.
Gli Who erano apparsi sulla scena quando tra i giovani della classe operaia si diffondeva la speranza di cambiare e migliorare. Per la prima volta nella storia, un’intera generazione poteva contare su opportunità economiche ed educative grazie alle quali dire addio al destino segnato dal lavoro in fabbrica che era toccato ai loro genitori, i quali, traumatizzati da due guerre mondiali, avevano risposto rifugiandosi sotto la comoda coperta del conformismo.
Sull’onda di questo moto di speranza e di ottimismo gli Who avevano deciso di dare voce alla gioia e alla rabbia di una generazione che lottava per la vita e la libertà. Quello era stato il nostro lavoro. E nella maggior parte dei casi eravamo riusciti ad ottenere dei risultati, dapprima con  i singoli pop, poi con modalità drammatiche ed epiche, con forme musicali estese che servivano da veicolo per l’autoanalisi sociale, psicologica e spirituale della generazione del rock’ n’ roll.
Tuttavia in Gran Bretagna, dopo due governi laburisti e alla vigilia di quello conservatore della Thatcher che quadruplicò le code di disoccupati in attesa del sussidio, fu il punk che alla fine degli anni Settanta seppe esprimere la furia, il nichilismo e il disprezzo di una nuova generazione di giovani, traditi e gettati nel dimenticatoio. Senza futuro, né speranza, il manifesto originale degli Who era colpito a morte.


Questo è il racconto di ciò che è realmente accaduto. Le cose erano cambiate con gli Who. Canzoni come My Generation e Won’t Get Fooled Again divennero inni di un tempo ben preciso, ma nel 1981 un abisso si era aperto tra la nostra band e le generazioni più giovani. Dovetti accettare la realtà: avevamo raggiunto il nostro picco di popolarità a Woodstock e, benché fossimo ancora famosi, la nostra capacità di reinventarci era in esaurimento. La lenta discesa era iniziata nel momento in cui Roger aveva cantato “See me, feel me, touch me, heal me”, con il sole che sorgeva alle nostre spalle e la mia chitarra che urlava davanti a cinquecentomila persone ancora assonnate”.