sabato 22 aprile 2017

I Vibravoid al Beer Room di Pontinvrea: il commento con foto e video


La collaborazione tra l’associazione Vincebus Eruptum di Davide Pansolin e il Beer Room di Pontinvrea, nell’entroterra savonese, riporta nelle nostre zone una band decisamente di nicchia ma dal passato importante, un’esperienza musicale che dura da 25 anni, i Vibravoid.
Ho sottolineato un ritorno in Liguria, ma il feeling tra il gruppo tedesco e il pubblico italiano è decisamente consolidato, segnale che si può ad esempio cogliere leggendo la discografia che, nel 2013, evidenzia il titolo di un album nella nostra lingua, “Delirio dei sensi”.
L’attualità è rappresentata dal nuovo disco, Wake up before you die”, ma da quanto ho potuto vedere/ascoltare un loro concerto va vissuto, almeno una volta, indipendentemente dalla tipologia dei brani proposti.
Proviamo ad inquadrarli.
Attivi sin dal 1989, i Vibravoid scelgono una strada che non abbandoneranno più, fatta soprattutto di musica psichedelica,  cioè quella che loro definiscono “… la madre di tutta la musica moderna”.
Ciò che propongono è qualcosa che arriva direttamente dagli anni ’60 e che si ferma nel 1970, un periodo in cui anche l’utilizzo delle droghe era idealizzato e messo al servizio della creatività musicale. Non è un caso che uno dei loro amori psichedelici iniziali, i Pink Floyd, perda interesse nel momento in cui Syd Barrett sparisce dalla scena.
A giudicare dall’assidua produzione e dall’importante attività live si può affermare che la loro coerenza musicale abbia pagato.
Ma perchè questo avvenga in modo compiuto e solido occorre andare oltre la musica e sposare l’ideologia, uno stile di vita che tiene conto di concetti antichi, magari semplici, messi rapidamente nel dimenticatoio con l’etichetta di utopistici. Mi riferisco a quel movimento un tempo chiamato “Peace & Love” così ben incarnato dai Vibravoid, passati e presenti.
E basta dare un ‘occhiata al palco per rendersi conto della loro dimensione di vita e ipotizzare che cosa sta per arrivare, sottoforma di sunto sonoro e visivo.
Strumentazione vintage, colori e fiori, immagini che emettono profumi antichi.

Alle 22.30 il trio inizia un concerto che durerà una paio di ore, ed forse per l’ora tarda che non è andato in scena il rito del bis… ma ciò a cui hanno partecipato i presenti sarà comunque impossibile da dimenticare.
Un esempio che calza a pennello con la loro idea di performance risiede nella mia banale domanda iniziale e nella conseguente risposta, la richiesta di una “scaletta” da inserire nel commento al concerto, ma… non esiste scaletta, si improvvisa!

Il loro repertorio si miscela ad amori universali e conosciuti, e così tra i vari passaggi ritroviamo anche il mito di Barrett e gli Iron Butterfly.
Brani dilatati all’inverosimile, suoni d’altri tempi, virtuosismi solistici, distorsioni lancinanti (la pedaliera del cantante e chitarrista Christian Koch è tanto incisiva quanto bella da guardare)...


… ampli Vox valvolari, e persino un mini theremin che contribuisce a infiammare la scena.
I volumi sono alti - almeno per le mie orecchie - ma anche questo è elemento imprescindibile.

Dario Treese si accolla un grande lavoro tastieristico, recitando anche la parte del basso, impegnato in trame che riportano a Ray Manzarek, mentre Frank Matenaar conduce i ritmi lasciandosi spesso andare in passaggi di largo effetto.
L’idea che rimane è quella che lanciato l'input il resto venga naturale, e probabilmente ogni volta nasce un pezzo unico e mai paragonabile a sé stesso: il medley che propongo a seguire risulterà rappresentativo della serata.

Prima dell’inizio del concerto, a domanda specifica relativa alla qualità del gruppo, Davide Pansolin rispondeva in modo sufficientemente criptico: “… è un’esperienza che bisogna fare!”.
Concordo con Davide, valeva la pena esserci!