giovedì 3 dicembre 2015

OAK-"Viandanze"-Intervista a Jerry Cutillo



Credo di poter aggiungere ben poco alla lunga presentazione dettagliata che Jerry Cutillo fornisce, nell’intervista che segue, relativa al nuovo album degli OAK, Viandanze.
E’ abbastanza complicato, per me, utilizzare parametri descrittivi oggettivi, giacchè la musica dei romani OAK è di quelle che più mi sono abituali, che più si avvicinano al mio gusto personale, che difficilmente mi deludono, perché esisterà sempre quel sottofondo “atmosferico” che, aldilà di tutte le distinzioni, dei sezionamenti e dell’evidenziazione dei dettagli fornite da Cutillo, condurrà verso musiche che mi toccano nel profondo, senza che io abbia la pretesa di capirne ogni risvolto.
Ciò che Jerry racconta ha grande spessore, per i contenuti proposti, per la ricerca musicale di una vita, per la sperimentazione che afferra la tradizione - meglio dire “le tradizioni” - e la tinge di rock, e per la cultura profonda messa in campo; tutto questo impedisce  agli OAK - e credo sia un bene - di essere catalogati in un preciso registro delle competenze, tra prog, folk ed etnica.
Ed è proprio così che percepisco il nuovo disco… l’album della maturità artistica, dove si raccolgono i frutti delle esperienze di una vita, sentiero fatto di gavetta, di collaborazioni stratosferiche, di partecipazioni ad eventi storici, e tutto ciò che potrebbe essere preso come paradigma musicale diventa per me mero fatto di pancia e stimolatore di memoria, perché quando la chitarra acustica si miscela al colore vocale, e il flauto si fa leader e comprimario allo stesso tempo, sento l’ansia positiva salire, e la tristezza è compensata dalla possibilità di viaggiare nel tempo, a ritroso, tornando al remoto.
Viandanze non mi appare come nuovissimo, o meglio, credo di averlo già vissuto, percorso, attraversato, annusato, e vorrei che il lavoro degli OAK fosse conosciuto da tutti; un gruppo che è riuscito nel tempo a scrollarsi di dosso l’appellativo di “tribute band” senza mai rinnegare il passato e gli amori formativi connessi, così come è accaduto al leader, Jerry Cutillo, che è riuscito a metabolizzare il suo importante trascorso pop, quello che gli ha dato notorietà e visibilità, quella storia relegata ad esperienza da non enfatizzare - e sono certo che molti ci avrebbero campato sopra!
Mi fermo qui, con la speranza che le parole di Jerry e i filmati che propongo nell’articolo possano spingere all’approfondimento di un mondo musicale che io giudico davvero unico.
Buona lettura, buon ascolto!






L'INTERVISTA


Siamo giunti ad un nuovo capitolo della tua storia musicale sul versante OAK: mi parli del nuovo album? Il titolo? I contenuti musicali?

Le canzoni del nuovo album, “Viandanze”, si sono intrecciate alle narrazioni del mio libro, di prossima uscita, “Come una volpe tesa a rubare nel cortile delle voci”, dove racconto alcune vicende della mia storia musicale. Il progetto iniziale prevedeva un volume scritto, con foto, videolinks e cd allegato. Poi l’elaborato musicale ha finito per prendere il sopravvento ed è arrivato a conclusione prima del resto. In alcuni dei passaggi narrati si rivelano le dinamiche, i protagonisti, i tempi e le modalità di quest’ultima fatica discografica:
“… Comincia tutto, come spesso accade, dall’ ombra indefinita di un seme; un germoglio deforme che si affaccia seducente ed accende la fantasia. Un richiamo maliardo, proveniente dallo scaffale del “poi si vedrà”, che ci esorta a portare a termine un patrimonio rimasto a lungo in stato embrionale. Una febbre improvvisa accende una nuova avventura dei sensi. Ad occhi fissi cominciamo a marciare su sentieri acquitrinosi dove la creatività si mescola a programmi, imprevisti, affanni ed indolenze. Mi avvolge nelle nebbie del passato il cortile delle voci, che mostra immagini scolpite dal tempo, riflettendone incubi e fascinazioni. Le lontananze si coagulano in un patchwork di sonorità e visioni alchemiche che trovano nuovo spazio nelle pagine word e nei file wave. E così la storia di VIANDANZE ha inizio.
Le prime geometrie si stratificano in forme armonico/melodiche pennellate da nuovi testi e la scommessa di realizzare qualcosa procedendo di giorno in giorno, di nota in nota, senza un’ingente risorsa economica, stuzzica l’ingegno. Solo poche centinaia di euro (che includeranno stampa, copertina e SIAE) per provare ad estendere il micrOAKosmo. Nessuna mostruosità tecnologica o musicisti di richiamo che, anche se provati dall’ alcool o in piena decadenza professionale, darebbero comunque una apparente rilevanza al risultato finale.
Dopo un mio iniziale lavoro di pre-produzione, il primo mattone del nuovo album viene posto dai colpi di batteria di Charles Yossarian. Il suo drumming ha, in passato, accompagnato i live degli OAK ed è lui il primo a destreggiarsi con i nuovi suggerimenti ritmici; accenti e tempi dispari scritti, che prefigurano la colonna vertebrale dei primi brani. Il box dove si dispiegano imperiosi i suoi tom, circondati da un ampio ventaglio di piatti, è angusto e le riprese di registrazione verranno effettuate con un sistema non certo allo “state of the art”;  ma la scorza degli OAK  è dura e si decolla verso il secondo step della lavorazione.
Louis Ortega è l’elemento  inserito nel nucleo degli OAK nel gennaio 2015 il quale, senza sottrarre tempo agli dèi delle arti e del pensiero, scatena le sue linee di basso e i suoi delicati  arpeggi a doppie corde sui tappeti armonici. “Ma dove diavolo eri?, ”E’ la domanda che rivolgo subito a lui… e forse anche un pò a me stesso.
Perchè  certi incontri avvengono con notevole ritardo? O forse è pura fortuna essersi trovati, quando sarebbe bastata una deviazione per mutare il corso degli eventi?         Forse lassù qualcuno si diverte a farci ridere e soffrire quando nel  cielo notturno una nuova stella s’infiamma solcando lo spazio per scomparire subito dopo.
Francesco De Renzi, the piano player, è pronto anche lui per una nuova immersione sonora. Ci ritroviamo presto alle prese con la lucida follia di “Prog & Poetry”, un precedente progetto unplugged che ora, in trio, ridipinge le liriche di alcuni dei classici prog saturandone i contorni armonici. Ed ecco un nuovo strato concentrico, nell’asse della quercia, che emerge dai vapori del nostro time generator. L’energia dell’ultra collaudata combinazione Jerry & Francesco, talvolta troppo densa per nuove adesioni, apre i suoi anelli sonori al nuovo innesto e si dipana in un paio di uscite live per rituffarsi subito dopo nei labirinti armonici di “Viandanze” insieme al resto del gruppo.
Il lavoro elettrico di chitarra dell’album è invece materia del principe cremisi Al Bruno e me.  Al è un caro amico che il tempo ha riavvicinato ai miei progetti ed è con estremo stupore che apprendo notizia delle sue lunghe frequentazioni ai workshops di Robert Fripp. Membro storico della “League of crafty guitarists”, Al ha finito per guadagnarsi le grazie del re cremisi e la vicinanza con il mostro (Fripp) a tre teste (tenacia, umiltà, disciplina) ha reso il sound di Al intrigante. Per gli OAK e per un album come “Viandanze” non può esserci cosa migliore.                                                      
Le registrazioni continuano nel mio rudimentale home studio con arrangiamenti delineati sempre più distintamente. Ma sarà più tardi il produttore Marco Viale (Bakmaind) a correre in mio aiuto e ad aprire le porte del suo SoundStorm studio in Svizzera avviando il progetto a degna conclusione. Si cominciano a pianificare anche riprese video, relative ad un paio di brani, da girare in alta quota.
Il batterista Mauro Gregori era entrato a far parte degli OAK nel ’94, a pochi mesi dalla formazione del gruppo e l’Andersoniana “Sossity” e la mia “Sandali rossi” ne avevano orientato la sensibilità  verso nuove forme musicali. In seguito all’esperienza con il gruppo etnico dei Nidi D’arac poi, il suo approccio alla musica si è stabilizzato sui parametri dell’alta professionalità. I suoi groove impeccabili non possono certo mancare per completare le tracce dell’album, destinate ai due videoclip promozionali.”

Chi  ha realizzato l’artwork?

La front cover è uno scatto prodotto dal produttore Marco Viale in una delle nostre passeggiate montane. Raffigura mia figlia Isabel attratta da un esemplare di “Amanita Muscaria” (fungo allucinogeno) rinvenuto in un sentiero delle alpi svizzere. Il termine “Viandanze” può riferirsi infatti, sia ad una danza lungo le strade del mondo, sia ad una esplorazione attraverso i labirinti della mente, stimolata da sostanze psicotrope. Queste pratiche sono molto diffuse tra sciamani e pionieri dell’arte.
Io invece appartengo alla categoria dei semplici viandanti, in quanto amo camminare a lungo e in spazi aperti perché ciò favorisce la mia meditazione semicosciente. Il vagabondare dei piedi stimola la mia armonia intellettuale e molto spesso faccio scorta di idee nei miei viaggi nella terra del pensiero. Così “Viandanze” mi è sembrato il giusto termine per sottolineare l’idea di attraversare la natura delle cose e giungere alla finalità
dello stesso essere artista.

Oramai ci hai abituato ad ospiti importanti, alcuni provenienti da mondi poco conosciuti dalle nostre parti: chi fa parte del tuo nuovo lavoro discografico?

Di recente abbiamo realizzato uno spettacolo insieme alla cantante siberiana Choduraa Tumat che, insieme a Sainkho Namtchylak, altra nostra collaboratrice, viene considerata la regina dei vari stili di throat e overtone singing. La contaminazione della mia musica con elementi esotici ha avuto come risultato l’estensione delle mie possibilità compositive ed un profondo arricchimento degli arrangiamenti. Purtroppo però questa volta non c’è stato modo di suggellare l’esperienza con registrazioni in studio.
Ad ogni modo, a proposito di collaborazioni, vorrei precisare che la presenza di ospiti illustri  non sempre determina risultati apprezzabili. E’ stimolante confrontarsi con artisti provenienti da realtà diverse da quella italiana, scoprirne profili e caratteristiche, ma non è il caso di farsi condizionare dal nome sul passaporto o dalla loro provenienza da città sante della musica. Scrolliamoci di dosso questa sudditanza psicologica, retaggio post bellico, e prendiamo coscienza delle nostre capacità. Mi rivolgo agli artisti miei conterranei che non hanno nulla da invidiare ai musicisti stranieri di più o meno successo. Emanciparsi artisticamente significa cominciare a credere in quello che facciamo e capire i reali motivi del gap di risultati che ci penalizza a livello internazionale.
Nelle prime righe di questa intervista, sottolineavo le potenzialità dei miei compagni di gruppo e se anche in questo lavoro compaiono, o per meglio dire, ricompaiono nomi come quello di David Jackson o di Jonathan Noyce è semplicemente perché il loro impegno si è rivelato autentico e risolutivo ed entrambi si sono posti in maniera molto umile e rispettosa rispetto al mio lavoro mostrandovi grande interesse. Nel 2010 avevo effettuato parte delle registrazioni del precedente cd “Shaman feet” a Banbury, in Inghilterra, non senza i consueti problemi tecnici. Tuttavia, tra le note positive emerse da quelle giornate, ci sono sicuramente i contributi di David e Jonathan su “Baba Gaia” e “My old man”. In occasione poi di una nostra esecuzione dal vivo di quest’ultima insieme a Jenny Sorrenti ci fu, sul finale del brano, un’improvvisazione vocale in dialetto da parte della cantante napoletana che si rivelò molto efficace. In maniera molto spontanea Jenny aveva introdotto un nuovo elemento che aderiva perfettamente alla dedica a mio padre, anch’egli campano. Decidemmo quindi di aggiungere la linea vocale in studio ed anche la nuova parte di piano ormai assorbita alla perfezione dal subentrato pianista Francesco De Renzi. Il risultato di questi aggiornamenti, insieme alle sezioni già esistenti eseguite dal chitarrista Iacopo Ruggeri, dal batterista Michele Vurchio e dal sottoscritto, si sono rivelate molto convincenti ed il brano è stato ripresentato  su quest’ ultimo cd “Viandanze”.  

A chi ti affiderai per la distribuzione?

Spero a qualcuno che porrà il lato artistico dell’operazione in primo piano. Per il momento ci godiamo le critiche, tutte molto positive ed incoraggianti. Tuttavia gradiremmo suggerimenti ed attenzioni per continuare il nostro lavoro in maniera sempre migliore.

Prima di ascoltarlo ho da un’occhiata ai titoli e mi ha colpito immediatamente “Giubileo”, che immagino abbia un significato ben preciso in questo particolare momento, nella tua città: me ne parli?

Non vorrei sembrare profeta di sventura, ma “Giubileo” risale ad una progressione armonico/melodica, con relativo contorno apocalittico, composta da me parecchi anni fa. La sensazione di inquietudine presente nell’idea sonora era già manifesta ma non aveva ancora raggiunto la piena maturità. Nel tempo a seguire, una percezione inconscia cominciò a prendere forma, forse indotta dal vociare dei pellegrini che affollarono le strade romane in occasione del Giubileo nell’ anno 2000. La loro esaltazione mi turbò e ne rimasi fortemente intimidito. Cominciai a fantasticare su scenari molto cupi. Infine, e questa è storia recente, il brano si è colorato di elementi cinematografici ponendo in rilievo l’acuta rivalità tra due correnti religiose. Contrapposte l’una all’altra, inneggianti al martirio e allo sterminio, queste due forze si avvicendano in una inarrestabile escalation di fanatismo che ho tradotto musicalmente in macchie sonore che tracciano il confine tra il bene e il male. “it’s the suicide of the end”, “è il suicidio della fine”: Un messaggio evanescente che nella somma di due negazioni genera in realtà un risultato positivo: una vibrazione di speranza che io auspico per una nuova rinascita della storia umana. Le riprese sono state girate a San Pietro e anche nei pressi dell’ambasciata francese a Piazza Farnese… senza alcuna autorizzazione… appena pochi giorni prima degli attentati di Parigi!

Su Jerry Cutillo youtube channel si può ascoltare/vedere il videoclip di “Giubileo”...


Ho trovato momenti acustici che mi hanno riportato ai nostri Jethro Tull, nel senso delle atmosfere proposte: come è cambiato nel tempo il tuo rapporto con quella musica, che è poi quella che mi ha permesso di conoscerti, un po’ di anni fa?

Obiettivamente nelle mie canzoni si avverte un riflesso stilistico ereditato dal mio maestro Ian Anderson. Posso tuttavia aggiungere di aver trovato nel tempo un mio percorso personale tuttora vivo e pulsante. Se ti riferisci invece al tributo ai Jethro presentato spesso dagli OAK… beh, l’emozione di rivivere antiche leggende è sempre una valida terapia anti-invecchiamento. Chissà, forse al termine degli impegni promozionali per “Viandanze” proverò a divertirmi nel proporre ai miei amici Tullofili uno spettacolo che contrapporrà le mie canzoni a quelle del “divino” Ian Anderson, svelandone richiami, tracce, parallelismi e citazioni in una sorta di irriverente “Ian Anderson  VS  Jerry Cutillo”.
Sempre sul Jerry Cutillo youtube channel è possibile trovare il videoclip di “Holy bells”.


Quanto “est” troviamo in questo tuo album?

A differenza del precedente “Shaman feet”, nel quale l’elemento etnico siberiano occupava un’ampia fetta dello spazio del cd, quest’ultimo “Viandanze” è molto più radicato in scenari ritmico/armonici prog. Inoltre c’è una profonda riflessione sulle mie origini sannite, decantate nel brano “Magica noce”. Consiglio anche la visione del videoclip relativo alla canzone che ne svela i significati reconditi. L’unico vero richiamo alle regioni dell’estremo est lo troviamo quindi nella suite “Snegurochka”. Come nella precedente “Baba Gaia”, brano presentato da noi alla Prog Exhibition e che compare nei due volumi della compilation, anche qui il folklore russo entra in scena con una delle sue fiabe più significative. Questa lunga suite è densa di vapori risonanti, progressioni armoniche e suggestioni ritmiche; consiglio agli ascoltatori di immergersi nel fiume di parole che accompagnano lo svolgimento sonoro. In maniera molto sottile viene tracciato un parallelismo tra la ragazza di ghiaccio protagonista della favola russa e il triste fenomeno della prostituzione.

Come lo pubblicizzerai? Hai pianificato qualche data?

Il 4 novembre abbiamo debuttato con il nuovo spettacolo al teatro del lido e il 27 novembre saremo alla Locanda Atlantide. Poi al Casale rock, nuovamente al teatro IF e poi in primavera qualcosa di grosso proprio dalle tue parti. Speriamo ad ogni modo che qualcuno/qualcosa apra le porte/frontiere per permettere ai gruppi italiani di musica originale di esprimersi anche a livello internazionale. 

Come giudichi il tuo attuale, personale, momento musicale?

Sono soddisfatto per la forza e l’impegno che riesco ad imprimere ai miei progetti. Le mie iniziative ottengono sempre maggiori consensi e gli OAK continuano a legittimarsi come una band aperta a cambiamenti e sperimentazioni. I nostri punti di riferimento sono gli standard europei e siamo pronti a cooperare con altre realtà per la creazione di una scena musicale migliore. Pensiamo che l’isolamento sia deleterio per l’elaborazione di nuove idee musicali e crediamo nell’unione degli sforzi creativi per poter venir fuori dalle sabbie mobili di questo pantano in cui versa il mondo dell’arte. E’ da molto che non avvengono adeguati   investimenti per il settore musicale, sia da parte privata che pubblica. Anche sul versante spettacolo, dopo gli ultimi fatti di cronaca, si è verificata una flessione delle presenze nei live club. La nostra, rassomiglia sempre più ad una lotta contro i mulini a vento. Un duello impari, un crudele confronto tra  la sensibilità artistica e l’appiattimento mortale che lascia sul campo tanti ex spiriti liberi oramai rassegnati e omologati al “così sempre sarà”. L’antidoto comunque, rimane sempre la dedizione al proprio lavoro, la ricerca che sviscera le componenti più intrinseche e misteriose di noi stessi, che ci permette di conoscere i nostri lati più oscuri, di dargli forma e presentarli come oggetto unico, distillato di notti insonni, superstite di crisi e ripensamenti, brillante di intuizioni musicali.

Ci spieghi meglio il tuo rapporto con l’esoterismo e come stimola la tua fantasia artistica?

E’ una storia lunga. Hai sicuramente sentito parlare delle streghe di Benevento.  Entrambi i miei genitori provengono da quel territorio e precisamente dallo stesso paese, Solopaca, dove anch’io sono nato. Quella  zona,  a partire dal XIII secolo, fu teatro di parecchie leggende esoteriche. Era a quel tempo capitale di un ducato Longobardo e sotto un albero di noce, nei pressi del fiume Sabato, si celebravano riti in onore del Dio Wotan. Ogni sabato le streghe di Benevento, le Janare, nelle notti di plenilunio si davano appuntamento sotto i rami. Poi arrivarono le persecuzioni, prima con San Bernardino, e poi con il “Malleus Maleficarum”, il “Martello delle streghe”, nel 1486, che spiegava come riconoscere le streghe, come processarle, come interrogarle per estorcerne le confessioni. E nei processi ricorreva spesso il nome della città di Benevento e le danze sotto l’albero di noce. Fu una cruenta repressione che causò migliaia di vittime. Non sono un amante della stregoneria e i racconti delle vecchine del mio paese mi causavano i brividi quando soggiornavo dai miei parenti durante le vacanze estive. Credo però di esser stato sensibilizzato dagli scenari di quelle storie in tenera età e quella suspense ricorre spesso nella mia musica. Di recente mi sono addentrato lungo i tratturi del Sannio, le lunghe vie migratorie e di transumanza sperimentate dai Sanniti in base ai loro istinti o ai movimenti delle stelle, ai corsi dei fiumi o ai colori dell’orizzonte ed ho provato a tradurne le emozioni.  Il testo di “Magica noce” ne è rimasto intriso di tanti elementi suggestivi. All’interno del brano vorrei segnalarvi anche la prestazione degli alunni della scuola elementare di Faido in Svizzera che hanno collaborato con le loro voci al coro sull’inciso.

Ecco il videoclip di “Magica Noce”:


Il cd degli OAK “Viandanze” è scaricabile sui digital store: iTunes e CD Baby