lunedì 30 novembre 2015

VIVALDI METAL PROJECT: intervista a Mistheria


Il  VIVALDI METAL PROJECT coinvolge oltre 70 musicisti di fama internazionale provenienti da tutto il mondo… qualche nome:

Rick Wakeman (YES), Michael Lepond (SymphonyX), Fabio Lione (Rhapsody of Fire / Angra), Rob Rock (Impellitteri), Dani Loeble (Helloween), Marco Sfogli (J. LaBrie), Andreas Passmark (Royal Hunt), Chris Caffery (Trans Siberian Orchestra / Savatage), Steve Di Giorgio (Testament), Atma Anur (T. MacAlpine, G. Howe), Tommy Denander (Radioactive / Toto).

Il progetto è incentrato sulla versione Metal del leggendario capolavoro di Antonio Vivaldi,  "Le Quattro Stagioni ".
Inoltre, il progetto prevede la partecipazione della "Sinfonietta Consonus Symphonic Orchestra condotta da Szymon Morus e dell’Academic Choir Manolov che fa capo a Darena Popova.
L’idea del Vivaldi Metal Project nasce alla fine del 2013 per opera del tastierista Mistheria, artista solista, compositore  e produttore che ha lavorato anche con artisti top come Bruce Dickinson, Rob Rock, RoyZ tra gli altri) insieme al suo co-produttore, bassista e compositore Alberto Rigoni ( solista, Twinspirits ).

Mistheria e Alberto Rigoni

Si tratta di una grande sfida per i creatori del progetto e per tutti i partecipanti, cioè quella di riorganizzare e di eseguire un capolavoro amato da milioni di persone in tutto il mondo, cercando però di  innestare   nella classicità dell’opera la potenza della musica Metal.
Ci è voluto circa un anno e mezzo per allestire un cast di “stelle“ rock e artisti Metal, ma si è arrivati alla felice conclusione del progetto.
Le registrazioni sono iniziate recentemente, dopo un anno di lavoro dedicato alle modalità realizzative,  affrontate da un grande team di arrangiatori provenienti da diversi paesi.
L'uscita dell'album è pianificata per il 2016. Ulteriori nomi dei partecipanti saranno svelati a breve.
Nel frattempo il The Vivaldi Metal Project è sostenuto da una campagna di crowdfunding su PledgeMusic, con la pre-vendita dell’album (sarà disponibile come mp3 per il download o digitale su chiave USB su CD) e varie opzioni esclusive aggiuntive, come CD autografati, custodie per CD, interviste Skype, lezioni  on-line e Spettacoli.
Una parte delle donazioni saranno utilizzate per scopi di beneficenza.

Il  VIVALDI METAL PROJECT coinvolge oltre 70 musicisti di fama internazionale provenienti da tutto il mondo…
qualche nome:

Sul sito...
http://www.vivaldimetalproject.com/ 
tutte le informazioni e i primi nomi annunciati:

Rick Wakeman (Yes) - Dani Loble (Helloween) - Chris Caffery (Savatage) - Rolf Pilve (Stratovarius) - Sean Tibbetts (Kamelot) - Mark Wood (Trans Siberian Orchestra) - Jeffrey Revet (Stream of Passion) - Victor Smolki (Rage) - Henrik Klingeberg (Sonata Artica) - Marco Sfogli (James La Brie) - Wade Black (Crimson Glory, Leatherwolf) - Fabio D'Amore (Serenity) - Fabio Lione (Angra, Rhapsody of Fire) - Steve Di Giorgio (Death, Sadus, Obituary) - Lars Lehmann (Uli Jon Roth, Vinnie Moore, Gus G) - Tommy Denander (Paul Stanley, Alice Cooper, Toto) - Mike Le Pond (Symphony X) - Andreas Passmark (Royal Hunt) - Srdjan Brankovic (AlogiA, Expedition Delta) e... molti... moltissimi altri (Neal Zaza, Joe Stump, John Macaluso ,Dino Fiorenza, Andy Midgley, Mark Boals, Vitalij Kuprij, Martijn Peters, Milan Polak, e ...
"Deus Ex Machina" del progetto sono i due produttori: Mistheria e  Alberto Rigoni



Web links:
L’INTERVISTA A MISTHERIA
 
Non ho memoria di un progetto metal-classico così complesso e articolato: da dove nasce l’idea di rivisitare la musica di Vivaldi?

MISTHERIA: L'idea del Vivaldi Metal Project nasce decisamente dalla mia passione per la musica del sommo compositore e violinista veneziano, passione che risale ai miei primi anni di studio nel Conservatorio di Musica. Scoprii Vivaldi grazie ad una di quelle collezioni di musica Classica che si acquistavano in edicola settimanalmente. Il primo numero era dedicato a Bach, Vivaldi, Handel. Quando inserii la cassetta (sì, parlo di nastro) rimasi estasiato, fra gli altri capolavori, da “Le Quattro Stagioni” di Vivaldi. Negli anni ho ascoltato molte versioni, sino a suonare e registrare io stesso, recentemente, una riduzione integrale per Pianoforte e sentivo forte la necessità di miscelare la partitura vivaldiana con l'altra mia passione legata al Metal. Nel Dicembre del 2013 realizzai un provino Metal che diede il lancio al progetto.

Perché “Le quattro stagioni”? Amore per quell’opera o particolare adattabilità?

Esattamente entrambi gli aspetti da te citati. L'armonia, la ritmicità e la melodia spiccata di questa leggendaria opera del  Barocco strumentale la rendono così profondamente “rock”, d'altronde solitamente definisco Antonio Vivaldi come una delle prima e più grandi “rockstar” del suo tempo e della musica in assoluto! L'amore per quest'opera (ed altre scritte dal “Prete Rosso”) ovviamente mi ha spinto e convinto ad avviare questo “pazzo” progetto.

Il progetto coinvolge un numero altissimo di musicisti famosi: si può stabilire un interesse comune che ha facilitato la partecipazione? Qual è l’aspetto più stimolante che li ha toccati?

L'interesse comune è stato certamente la passione che ogni artista nutre per Vivaldi e per i suoi capolavori immortali che tutti conoscono. “Si può non amare Vivaldi...?” è stata la risposta più comune a conferma di una partecipazione. Lo stimolo principale è stato sicuramente l'essere partecipi di questa passione e il condividere l'emozione di suonare un tale capolavoro miscelandolo con l'energia e le sonorità del Metal da tutti noi amato.

Mi incuriosisce pensare ad un Rick Wakeman versione metal: che tipo di reazione ha avuto?

L'album contempla diverse facce del Rock e del Metal, dal Prog-Rock sino al Symphonic Metal. Quando Rick ha ascoltato uno dei miei arrangiamenti (il terzo movimento dell'Estate per l'esattezza) è stato talmente entusiasta che ad un certo punto ha esclamato che Vivaldi probabilmente avrebbe voluto ascoltare la sua Musica proprio così come noi la stiamo proponendo nel progetto! E' stato uno dei più grandi apprezzamenti che io abbia ricevuto in questi due anni di lavoro sul progetto e che mi ha decisamente lusingato, sia per l'entità della frase ma soprattutto nel pensare a quale mitica voce l'abbia pronunciata!


Quali sono state le maggiori difficoltà nell’assemblare il cast?

Direi che non ci sono state difficoltà in linea generale. Anzi, forse, la difficoltà è stata ed è tuttora nel “contenere” il cast perché abbiamo davvero molte richieste da parte di musicisti e cantanti che vorrebbero partecipare, ma ovviamente lo spazio “fisico” sull'opera è ora davvero esaurito. Dover decidere a volte se dare spazio ad un musicista o ad un altro, a questo o quel cantante, è la difficoltà maggiore da parte mia dato che la qualità delle proposte ricevute (mi riferisco ovviamente ad artisti meno noti o magari che non conoscevo proprio) è altissima e dare un “no” o un “forse” è sempre dura da un punto di vista umano, anche se come produttore è mio dovere farlo.

Quali potrebbero essere i tempi complessivi di realizzazione, dalla nascita del progetto sino all’uscita dell’album?

Nell'arco di due anni e mezzo questo progetto è nato e sarà completato, tempi quasi record se si considera un insieme di oltre 70 musicisti, 10 arrangiatori, un'orchestra (Sinfonietta Consonus Symphonic Orchestra - Polonia) e un coro (Academic Choir Manolov – Bulgaria). Tutti i partecipanti li trovate sul nostro sito: www.vivaldimetalproject.com

A proposito, quando dovrebbe essere rilasciato il disco e che tipo di distribuzione è stata pianificata?

Il disco uscirà  nel mese di Maggio 2016 per l'etichetta tedesca “Pride & Joy Music” di Birgitt Schwanke (www.prideandjoy.de). La distribuzione sarà mondiale, sia in formato digitale che fisico ovviamente in formato CD ed edizione speciale in Vinile!

Mi pare che sia prevista una campagna di prevendita: come si svilupperà?

E' possibile prenotare l'album contribuendo così alla sua realizzazione sulla piattaforma PledgeMusic: www.pledgemusic.com/projects/vivaldi-metal - Ci teniamo a ricordare che una parte di questi contributi saranno devoluti in beneficenza alla “Lega del Filo D'Oro” (www.legadelfilodoro.it) che aiuta bambini sordo-muti. Saremo davvero soddisfatti quando, a conclusione della campagna raccolta fondi, devolveremo questo contributo, che poi è il contributo dei nostri fans, a chi, purtroppo, è stato poco fortunato nella vita.

E’ possibile ipotizzare qualche esibizione live, magari in forma ridotta?

E' quello che stiamo pianificando; stiamo ricevendo molte domande e richieste in tal senso, ancor prima dell'uscita dell'album! Ovviamente ciò ci rende felici ma ora il mio “compito” è completare l'album che non è proprio una passeggiata! Comunque, ci sono collaboratori e agenzie che stanno già lavorando in tal senso. L'obiettivo primo è di organizzare la presentazione ufficiale dell'album in Italia.

Siamo abituati a dividere la musica in tante categorie, fatto di per sé utile in alcuni casi, ma lontano dal concetto reale del significato musicale: possibile evidenziare elementi di difficoltà ed altri di naturale convivenza nel trasformare in color metallo la musica di Vivaldi?

Miles Davis diceva: “Imparate tutte le scale (musicali), poi pensate ad una sola scala cromatica (che significa miscelarle tutte)”. A me piace anagrammare il pensiero (geniale) di Miles relativamente agli stili in cui, come dici, spesso siamo abituati a dividere la musica: “Ascoltate e studiate ogni genere musicale perché ciò vi permetterà di creare il vostro stile nella fucina della vostra anima forgiandolo con la passione nel vostro cuore.”

domenica 29 novembre 2015

La festa per Joe Vescovi ad un anno dalla sua scomparsa: 28 novembre


Il tempo vola, non è luogo comune, e ci si ritrova il 28 novembre, ad Albenga, per ricordare Joe Vescovi, esattamente un anno dopo la sua scomparsa prematura.
Perché ad Albenga è abbastanza ovvio per chi conosce la storia dei TRIP e del savonese Joe, un gruppo di talentuosi musicisti che proprio a Cisano sul Neva, a pochi chilometri di distanza, costruirono una parte musicalmente significativa della loro storia.
Il luogo dedicato al ricordo è una sala prove all’interno del POLO 90 MUSIC ARENA, gestita da Cesare Arena, uno spazio davvero gradevole, attrezzato, dal profumo di club anni ’70, per l’occasione gremito.
La scaletta prevede l’esibizione di una band locale, TRE GOTTI - di cui il già citato Arena fa parte -, seguita dalla performance dei savonesi Il Cerchio D’Oro, legati a Joe da un’amicizia consolidata nel tempo.
Tra gli ospiti Pino Sinnone, batterista dei TRIP nei primi due album, e recente fondatore dei The New Trip; Marcello Capra, chitarrista torinese, negli anni ’70 con i Procession e tuttora attivo con i Glad Tree e progetti paralleli; a sorpresa Paul Silver, tastierista dei The New Trip.
Gli assenti giustificati: Rosanna Maiocchi, all’ultimo momento indisposta, moglie del fondatore dei TRIP Riki Maiocchi; Pino Tuccimei,  vecchio amico e manager dei TRIP  e di quasi tutti i gruppi in voga all'epoca, promoter romano e quindi lontanissimo, presente comunque in sede di presentazione, idealizzato con una birra in mano accanto a tutti i partecipanti l’evento; Sandra Laureti, moglie di Joe, anch’essa molto lontana - nelle Marche - ma in iniziale collegamento telefonico.
Apertura per mano di “parenti stretti”: è infatti il nipote di Joe, Marco, che accompagna alla chitarra i suoi bambini - una alle tastiere ed uno al canto - in un paio di brani che inteneriscono il cuore di nonno Bruno, fratello di Joe, sempre presente ed attivo con la sua macchina fotografica.
Non ho videoripreso questa parte essendo caratterizzata dalla presenza di minori.
Non esiste un vero filo conduttore, e lo spirito è quello della massima aggregazione e interazione. Così, quando tocca ai TRE GOTTI, entra in scena il prog della PFM, ma è l’occasione per presentare anche un po’ di pop italiano, genere solitamente riproposto dal gruppo.
Come sempre bravi e piacevoli da ascoltare.
Il CERCHIO D’ORO è oramai una certezza nel panorama prog italiano e propongono pillole tratte dai loro due album, Il Viaggio di Colombo e Dedalo e Icaro, ma diventano anche la base per ospitare Marcello Capra - che non avevo mai sentito alla chitarra elettrica - e con lui ripropongono pezzi di storia, come Hush, Gimme Some lovin’ e Fortuna.
E’ un bell’amalgama che si completa quando si aggiunge Pino Sinnone per  alcuni brani -  ed è l’occasione per raccontare le motivazioni per cui nascono i The New Trip - con la fine ufficiale della serata che vede sul palco anche Paul Simon, per la già citata Fortuna, un brano particolarmente amato da Joe.
Al termine pianificato esiste però un seguito che non posso documentare, ma i diversi musicisti presenti in sala hanno imbracciato gli strumenti per una jam che ha rappresentato in pieno gli intenti di serata. Un peccato aver lasciato prematuramente il POLO 90 MUSIC ARENA!
Tutto bello, tutto bene, anche se un velo di tristezza era palese, seppur non dichiarato.
Il solito ringraziamento a Mirella Carrara e Stefano Mantello, per il loro impegno musicale e organizzativo e un plauso alla location e a Cesare Arena, il cui spazio va pubblicizzato in ogni occasione.
Nella parte alta, sopra al palco, un proiettore mandava in sequenza continua immagini antiche di Joe, di Wegg, di Billy e di tutti i TRIP che si sono susseguiti, un film della loro vita, un movie della vita di tutti i presenti, conoscenti o passanti casuali: i momenti di socializzazione, di cultura e di musica rimangono per sempre e ci distraggono da una realtà quotidiana che non sempre appare rosea, godere di certi privilegi, almeno ogni tanto, è una bella fortuna!


mercoledì 25 novembre 2015

LITTLE CREATURES


LITTLE CREATURES

Caduto casualmente sul video che propongo a seguire, ho chiesto alla mia amica giapponese Yoshiko di illuminarmi: ecco cosa mi ha spiegato…


Band sorprendente i Little Creatures, un trio giapponese da molto tempo sulla scena nazionale.
La loro musica spazia tra techno, jazz, rock, crossover e etnica. Recentemente sono sfociati verso suoni acustici più “puliti” e moderni.

Membri:
Takuji Aoyagi Vocal/Guitars/etc.
1971.12.08 Born in Tokyo
Masato Suzuki Bass/Key/etc.
1971.06.06 Born in Berlin
Tsutom Kurihara Dr/Per/etc.
1971.08.07 Born in Tokyo

Il trio si è formato sui banchi del liceo.
Le tappe fondamentali:
1990
Debuttano con il singolo THINGS TO HIDE

Dal 1990 al 2000 rilasciano sei album di inediti

Nel 2010 passano ad un’etichetta discografica privata

Per il 20° anniversario propongono Love Trio and Omega Hits !!!, e Re:TTLE CREATURES, un album di cover con la partecipazione di artisti famosi

UA Muddy Sky, ospite nel video, è una cantante giapponese dalla voce molto... occidentale


Attraverso Wikipedia si può catturare la loro discografia completa:



lunedì 23 novembre 2015

Earthset-“In A State Of Altered Unconsciousness”


In A State Of Altered Unconsciousness” è l’album d’esordio degli Earthset, giovane band bolognese che, dopo un primo EP demo, autoproduce un gioiellino davvero notevole e inusuale.
E’ bastato captare un frammento della loro musica per trovare la spinta verso una conoscenza più approfondita: la quantità della proposta musicale è oggigiorno talmente elevata che esiste il rischio concreto di perdere la qualità che si nasconde nella massa, ed è quindi un obiettivo primario, per gli artisti emergenti, trovare il miglior biglietto da visita possibile.
L’idea che mi sono fatto degli Earthset, leggendo le loro risposte e provando ad entrare in punta di piedi nel loro mondo musicale, è che siamo al cospetto di ragazzi con le idee cristalline, dotati di una buona cultura che consente loro di creare un percorso lineare nonostante le tante deviazioni naturali presentate dal terreno, e se la somma di idee innovative, competenze e gusto dovesse mantenersi su questo standard - fatto auspicabile - , e non si arrivasse mai a cadute verso l’autoreferenzialità - cosa  di per sé comprensibile quando manca l’esperienza di vita - le soddisfazioni potrebbero arrivare copiose.
Il termine “soddisfazione” applicato alla musica degli Earthset non può a mio giudizio significare buona visibilità entro i nostri confini, perché non mi pare ci siano i presupposti per il compromesso, approccio che porterebbe a modificare un modello espressivo che a mi sembra davvero innovativo, ma il successo si può manifestare in modi differenti, e il trovare un ruolo preciso all’interno della comunità musicale potrebbe decisamente far sorridere. L’estero è l’alternativa.
Si esprimono in inglese gli Earthset - e non poteva essere altrimenti! - e realizzano un disco che solo alla fine si palesa come concettuale; il focus ruota attorno ai significati di coscienza e incoscienza che caratterizzano il nostro quotidiano, le nostre esistenze condizionate dal disagio, spesso tangibile per chi ne è vittima, ma a volte subdolamente nascosto per chi non lo percepisce e realizza una quasi pacifica convivenza tra i due stati, un equilibrio che all’improvviso può esplodere e regalarci alcune verità - prese di coscienza - che potrebbero dare il colpo di grazia, oppure fornire la spinta per risalire e trovare la giusta luce per illuminare il sentiero che abbiamo davanti: ricominciare a vivere è la sola cosa che possiamo fare.
La musica degli Earthset può essere afferrata in modo meno… consapevole, come ci accadeva negli anni ’70, quando ci innamoravamo perdutamente di ciò che arrivava d’oltremanica, quando i messaggi intrappolati nelle liriche risultavano quasi sempre incomprensibili, visto l’idioma utilizzato.
Difficile per me trovare un disegno già conosciuto, perché ad ogni nuovo angolo corrisponde ciò che non ci si può aspettare se si ragiona in termini di similitudine rispetto alla traccia precedente; i generi si miscelano e non credo di uscire fuori tema se affermo di aver trovato tracce di rock tradizionale, punk, psichedelia canterburiana, progressive, britpop e un profumo intenso di Seattle.
Pregevole l’utilizzo della voce, strumento aggiunto, come spesso capitava in ambito prog e, tanto per sottolineare la precedente chiosa, esistono passaggi dove si ha l’impressione che Peter Hammill e Eddie Vedder trovino il punto di incontro nella proposta degli Earthset.
Non mancano i momenti intimistici e vorrei segnalare la bellezza di un brano struggente come Epiphany (https://www.youtube.com/watch?v=ZgRg43ULLTA), che fornisce un’idea precisa delle atmosfere rarefatte e di impatto create dalla band.
Da tenere d’occhio questi ragazzi, il loro album convince e seguirli con curiosità è il minimo che si possa fare.




L’INTERVISTA

Domanda d’obbligo: come, dove e quando nascono gli Earthset?

Gli Earthset nascono un pò per caso, un pò per fortuna… un pò per la voglia di suonare ed un pò per l’incoscienza di quattro giovani studenti fuori sede. Come un “blob” l’entità Earthset ha avvinto prima Luigi e Costantino, per poi intrappolare anche Emanuele ed Ezio. Il tempo di gestazione è stato piuttosto breve, un mese scarso a cavallo tra fine 2011 ed inizio 2012, tant’è che la comunità scientifica non riesce ancora a stabilirne la natura umana o aliena… Ma alla fine Earthset è nato. Ovviamente c’era solo un posto sulla Terra in grado di fornire le condizioni ambientali per lo sviluppo di questa entità critica, colta, incazzata e giovanilmente antica: Bologna.  

Non amo molto le etichette ma vi chiedo come spieghereste a parole, a chi non vi conosce, quale sia la vostra proposta musicale.

 Neanche noi amiamo le etichette, cose appiccicose che ti si incollano addosso, utili più per chi vende che per chi fa musica/arte in generale. Però per semplificare la comprensione di chi legge diremmo così: suoniamo un rock acido e tagliente, di base senza distorsioni pesanti, ma che a volte si accendono improvvisamente (caratteristica del grunge/alternative). È un rock molto d’atmosfera e per “immagini sonore” (psichedelia), in cui prevale un costante dialogo tra gli strumenti e la voce ed una ricerca di armonie non tipicamente rock, a volte classicheggianti (qualcuno ci vede del progressive) o non perfettamente consonanti (noise).
Forse più che chiarire abbiamo alimentato la confusione… Consigliamo di ascoltare il disco perché suona meglio di come lo si spiega!

“In A State Of Altered Unconsciousness” è il vostro album di esordio: mi raccontate i contenuti?

È un disco che raccoglie dieci brani, più una Ouverture strumentale, scritti tra metà 2012 e metà 2014. Abbiamo scritto il materiale e poi selezionato queste dieci canzoni nel momento in cui ci siamo accorti che presentavano, sia musicalmente che testualmente, degli elementi comuni che avrebbero consentito di dare maggior coerenza al lavoro.
Tre dei brani del disco erano già presenti nel nostro primo demo EP, che abbiamo ritenuto giusto registrare nuovamente perché la versione demo non aveva reso giustizia all’idea che di questi brani avevamo noi in testa. C’è molta varietà di stili e suoni, ma è un disordine apparente, dietro il quale si cela una coerenza di fondo data dalla ricerca di soluzioni inaspettate o comunque capaci di sorprendere l’ascoltatore.   

Trattasi di album concettuale?

Alla fine si, è risultato un album concettuale, anche se il “tema” si è palesato solo a scrittura ultimata. Il concetto di base è una riflessione sul significato di coscienza/incoscienza e su come sotto il velo di razionalità e lucidità di determinate scelte di vita, anche quotidiana, si nascondano vere e proprie voragini di incoscienza di sé. Se si volesse trovare un messaggio in ciò, sarebbe un invito ad una presa di coscienza, per vivere meglio con noi stessi e quindi anche con gli altri. Ed è divertente pensare che questo appello alla coscienza ed alla conoscenza di sé sia emerso in modo inconsapevole - e quindi incosciente - nella nostra produzione musicale…
Un paradosso, che però ci riporta al concetto iniziale: da una coscienza apparente, ad una vera e propria presa di coscienza attraverso stati alterati di Incoscienza.

Esistono modelli a cui vi rifate, artisti che considerate per voi formativi e punti di riferimento?

Sì e no, nel senso che ognuno di noi ha i propri modelli a livello di formazione musicale, i più vari e diversi. Per cui indicarne uno che accomuni tutti è praticamente impossibile … Come ascolti siamo tutti ascoltatori voraci ed anche abbastanza curiosi, quindi in questo caso il problema è opposto.

Quanto è importante per voi la nuova tecnologia, sia dal punto di vista del vostro lavoro realizzativo che da quello della pubblicizzazione?

Abbiamo un rapporto normale con la tecnologia. Nel nostro lavoro incide come in quello di tutti. Il web e i social sono diventati indispensabili per la pubblicizzazione di un qualsiasi lavoro. Per quel che riguarda la produzione, ovviamente le possibilità offerte da schede audio e relativi software che consentono a chiunque di produrre anche interi dischi totalmente in digitale, sono assolutamente straordinarie. Noi non ne facciamo un gran uso, preferiamo un approccio più analogico, dettato non tanto da atteggiamento hipster, quanto piuttosto dalla considerazione secondo cui la musica è qualcosa di “fisico”: quindi vogliamo mantenere quella fisicità nei nostri suoni e nel nostro sound.

Come avete prodotto e come distribuirete l’album?

L’album è stato autoprodotto insieme a Carlo Marrone ed Enrico Capalbo (in arte Soren Larsen). Carlo ha curato maggiormente l’aspetto “artistico”, seguendoci in sala prove in corso di scrittura. Il suo è stato un approccio “maieutico”: non ci ha mai detto cosa fare o cosa modificare nello specifico, ma si è sempre espresso con sincerità suggerendo idee o possibili sviluppi di arrangiamento, lasciandoci sempre libertà nella concreta realizzazione. Ed era divertente per noi provare a trovare delle soluzioni che, pur andando nella direzione da lui indicata, avrebbero potuto sorprenderlo.
Enrico ci ha seguito prevalentemente in studio di registrazione ed in fase di mix/master, mettendo al nostro servizio la sua incomparabile professionalità ed esperienza. È stato un privilegio poter lavorare con loro, oltre che un piacere essendo dei carissimi amici.
Il disco è distribuito da Audioglobe e The Orchard, sia in digitale sui principali stores online che in copie fisiche. 

Come giudicate lo stato attuale della musica in casa nostra? Possibile fare confronti con il resto del mondo?

Generalmente la musica italiana è abbastanza chiusa e, quindi, poco rilevante all’estero (Non ci esprimiamo sulla produzione pop di derivazione talent…). 
Purtroppo anche il mondo indipendente, che dovrebbe essere il più aperto, ha registrato una certa chiusura ed autoreferenzialità. Proliferano proposte musicali poco originali, abbastanza derivative e comunque prive di personalità. Forse la scena elettronica italiana è più al passo con il resto del mondo, ma il rock indipendente di casa nostra esce abbastanza malconcio dal paragone con l’estero. Ovviamente ci sono delle eccezioni, ma parlando in generale la vediamo abbastanza così.

Come sono gli Earthset dal vivo?

Ah chi lo sa… noi stiamo sempre dal lato del palco in cui non si vede. Voci di corridoio dicono che il bassista è troppo inglese, il batterista picchia, il chitarrista balla il tip tap sui pedalini ed il cantante alla chitarra ha i capelli spettinati davanti agli occhi, che il tutto è molto potente ed abbastanza “viaggione”, soprattutto con la nuova scaletta da tour. Speriamo di riuscire a vedere anche noi tutto questo prima o poi! 

Non vado mai a… cercarmi del lavoro, per il semplice fatto che mi manca il tempo, ma quando ho sentito il vostro primo singolo sono rimasto colpito e ho cercato di saperne di più: quanto credete sia importante curare l’impatto, l’immagine, la parte visual affiancata ad un brano d’effetto?

A nostro parere quel che conta di più è la musica, anche se oggi l’immagine è indispensabile. Molta gente ascolta la musica attraverso i video di youtube, per cui musica ed immagine non sono mai state così intimamente connesse come in questo frangente storico…è diventata imprescindibile.
Per cui per “rEvolution of the Species” abbiamo realizzato anche un videoclip, prodotto da Humareels ed El Garaje. Abbiamo cercato di creare insieme un immaginario visivo da associare alla canzone, in cui protagonista non è il gruppo, ma la situazione che a sua volta racconta la canzone e la integra di significato… è un video cucito addosso a questo brano, proprio per esserne in tutto e per tutto la rappresentazione visiva.

Quale potrebbe essere, o meglio, come vorreste che fosse il vostro futuro prossimo, restando con in piedi saldi per terra?


La nostra più grande aspirazione al momento è suonare. Suonare e portare il nostro disco in giro, offrirlo al pubblico… magari provando a fare qualche puntata all’estero, dove pare che i primi echi della (r)Evolution siano stati uditi ed apprezzati. 


Tracklist
1. Ouverture
2. Drop
3. The Absence Theory
4. rEvolution of the Species
5. Epiphany
6. So what!?
7. Skizofonìa
8. Gone
9. A.S.T.R.A.Y.
10. Lovecraft
11. Circle Sea

Members:
Luca Zanni - Vocals
Francesco Giacometti - Guitar & Vocals
Michele Giovanardi - Guitar & Leads
Riccardo Grazia - Drum
Marco Luciani – Bass

Genere: indie psych rock/grunge/prog/new wave/punk
Label: Seahorse Recordings
Distribuzione: Audioglobe/The Orchard




Contatti

domenica 22 novembre 2015

Paolo Rigotto-"Meno Infinito"


La produzione musicale di Paolo Rigotto è davvero intensa e l’ultimo atto che la rappresenta, Meno Infinito, è il quarto lavoro solista.
Mi sono avvicinato alla sua arte molto tempo fa, e col tempo ho scoperto la completezza, il genio zappiano, la capacità di prendere atto della situazione e creare un mondo personale contrapposto a quello che tutti bazzicano per convenzione, un percorso fatto di rigorosità intellettuale all’interno di un contenitore costruito sulla piena libertà espressiva, dove pare che l’unica regola sia lo sguazzare a piacimento nel mare magnum della MUSICA.
Conosco anche la capacità di analisi di Paolo Rigotto, per effetto della lettura di certi suoi commenti a lavori terzi, e tutto questo mi permette di apprezzare in toto il personaggio.
Meno Infinito è un disco che contiene un messaggio fortissimo, che sento in modo particolare in questi giorni in cui le popolazioni della Terra vivono momenti drammatici a cui quasi mai si pensa in termini di ricerca delle cause profonde.
Rigotto descrive l’uomo e tutto ciò che lo circonda, ambiente modellato a propria immagine e somiglianza. La miseria, il degrado, la perdita dei valori sono mascherati da un benessere tecnologico che è solo fittizio, e quasi mai ci si sofferma a riflettere sui limiti da porsi, perché spesso il solo fermarsi per la pausa è segno di debolezza, una caratteristica che è simbolo di sconfitta in questa nostra società ed è quindi bandita o almeno controllata. Ma arriva il momento in cui si tocca l’apice negativo, e oltre non si può, non si vuole, non si riesce ad andare: improvvisamente la luce illumina idee sbiadite, si ritrova il senno che sembrava sepolto e ci si riappropria di un percorso che, seppur tortuoso, appare in discesa, perché condiviso e sereno, con la consapevolezza che una scadenza è certa, ma ciò che prima o poi arriverà sarà solo il completamento di un ciclo, probabilmente destinato a ripetersi.
La forma musicale utilizzata da Rigotto è una sorta di rock cantautorale, ma è solo per semplicità che mi sforzo di trovare un’etichetta, giacchè una reale collocazione è complicata e nemmeno utile.
Fa tutto da solo Rigotto, e il suo autarchismo supera forse la necessità del lavorare in proprio per galleggiare nel mercato musicale, a favore della rigidità espressiva, e la sua proposta, che all’impatto potrebbe sembrare “facile”, risulta essere al contrario una continua provocazione, che non passa solo per le liriche, ma adotta le dilatazioni vocali, i tempi composti, il disegno della trama attraverso i cambi di atmosfera che caratterizzano i differenti brani.
Sono sedici le tracce, di lunghezza variabile e anche questo è funzionale al progetto.
L’intervista a seguire mi ha permesso di entrare un po’ meglio nell’argomento, e sarà di certo un buon aiuto nella comprensione e nell’accompagnamento all’ascolto.
Voto massimo per Meno Infinito.



L’INTERVISTA

Sei arrivato al tuo quarto lavoro solista: che cosa rappresenta “Meno Infinito” nella tua evoluzione personale?

“Meno Infinito” è innanzitutto la presa di coscienza su una questione per me fondamentale: non esistono più (se mai sono esistiti) schemi precostituiti, clichè stilistici o tendenze sonore che facciano di un disco o di una canzone un “successo”. Gli artisti sono pronti ad esprimersi in innumerevoli e personalissimi modi, ma il più delle volte questa qualità viene preclusa dalle esigenze di “mercato”. Sono convinto che una originalità determinata e genuina, unita ad una precisa esigenza comunicativa siano l'unica strada per far sopravvivere l'arte al di là dei talent e dei giganti mediatici. Quindi alla base creativa del disco c'è la precisa intenzione di esprimersi liberamente con i propri mezzi e il proprio stile; questo non per produrre un discorso goffamente “accademico”, ma per trovare interlocutori interessati da ciò che sono, e non da ciò a cui potrei somigliare.

Che cosa proponi, dal punto di vista del messaggio, in questo nuovo album?

Meno Infinito” è il mio pensiero circa la dimensione dell'umanità all'interno del  mondo che abita. L'inarrestabile irrequietezza umana, lo sviluppo esponenziale e le ambizioni di sopravvivenza ed espansione umane hanno bisogno di ridimensionarsi, di adeguarsi ad un mondo che non è, affatto, infinito. Non è infinita la terra, non è infinita la vita, non è infinito il tempo e a mio avviso non è poi così infinita neppure la morte. Ma la nostra sopravvivenza sulla terra non può passare attraverso un'espansione senza limiti. Non so se parlo di decrescita felice. Per quanto mi riguarda potrà essere pure infelice, ma necessaria.
Nella prima parte del disco (quella le cui canzoni hanno durata decrescente) si prende in considerazione l'inarrestabile sprofondamento della società nelle sue innumerevoli e misere debolezze, fino ad un immaginario punto di non-ritorno. Da quel momento in poi il tempo si dilata, e il riavvicinarsi dell'umanità al pianeta che abita riesce a darle motivo per essere consapevole e felice della propria dimensione “meno infinita”. Questo fino alla morte, che è spesso improvvisa e inaspettata. Come la fine del disco, che avviene prematuramente all'apice della sua vita ma ci lascia alcuni secondi di canto (Autoreverse) per sperare in un salvifico ritorno.

Quali sono invece le novità prettamente musicali?

Molte delle canzoni del disco sono state registrate con l'intenzione di cogliere il più possibile la spontaneità sonora del momento. Col tempo ho attrezzato il mio piccolissimo studio in modo da poter “fermare in memoria” con la maggior semplicità possibile quelle idee che, inevitabilmente, nascono e muoiono nell'arco di due minuti, se non si riesce a fissarle all'istante. La matrice di tutto è sempre il rock, ma ora non ho più molto interesse nello stratificare suoni su suoni per creare un tessuto musicale che mi piaccia. Parto piuttosto dal  suono del singolo strumento,  cercando di dargli la maggior qualità e il maggior significato musicale possibile.
Si trattasse anche del suono di un semplice triangolo, se c'è vuol dire che è importante.

La produzione è totalmente tua, dalle composizioni all’artwork: la tua autarchia musicale è una necessità dettata dai tempi o una precisa scelta?

E' sempre stato l'unico modo che ho per poter essere del tutto d'accordo con ogni aspetto del mio lavoro. Oggi è diventata anche una necessità, inutile nasconderlo. Ma poter registrare in casa le mie canzoni e  rivestire ogni scelta, sonora e grafica,  di un preciso significato è una cosa  (per me che ho la fortuna di poterci dedicare molto tempo) alla quale non potrei mai rinunciare. Fare dischi è la mia attività autoerotica preferita.

Chi ti ha accompagnato nel viaggio realizzativo? Hai degli ospiti da citare?

Ho chiesto l'aiuto di Francesco Borello per quanto riguarda il basso elettrico in “Scemi in Paradiso” (mi serviva un basso suonato credibilmente da un bassista credibile) mentre la voce che chiude il disco è quella di Sara Gennaro, giovanissima e promettente figlia d'arte (sua mamma è Robertina Magnetti, insegnante coreutica e cantante di studio con Caparezza, Voci di Corridoio, Mike Patton e molti altri).

Come hai pianificato la pubblicizzazione del disco?

Sto tuttora seguendo la filosofia del percorrere unicamente le strade che spontaneamente si aprono. Ho scelto essenzialmente una data per la stampa del disco e una per l'inizio delle presentazioni live. Il resto è un continuo adeguarmi alle possibilità che inevitabilmente (a patto di non sedersi stupidamente ad aspettare) si aprono intorno. Sicuramente tra i miei target ci sono i più giovani, i quali, contrariamente a ciò che spesso fa comodo credere, sono pronti a scoprire e soprattutto comprendere cose nuove, musiche al di fuori della massificazione sonora dalla quale sono circondati.  Per questo mi capita spesso di tenere incontri-laboratorio all'interno di alcuni licei torinesi, incontri durante i quali si sperimenta composizione spontanea con strumenti musicali moderni e non, rivolti soprattutto a chi crede di non essere in grado di suonare alcuno strumento.

In che modo proporrai “Meno Infinito” dal vivo?

In due modalità ormai collaudate: la prima è quella dei “musicisti virtuali”, ovvero uno schermo in cui scorrono le immagini e i suoni di improbabili musicisti che mi accompagnano mentre “dal vivo” suono il pianoforte e canto. La seconda è la situazione “stand alone” in cui, molto semplicemente, non c'è schermo e sono io da solo con il pianoforte e la voce. In questo caso si spazia anche molto nel mondo delle cover, che adoro scegliere tra le canzoni più dimenticate  dall'umanità.


Sono sedici i pezzi e non presentano soluzione di continuità: può essere un segnale di concettualità del disco… di messaggio comune?

Come già detto la storia c'è, è precisa e consapevole, ma non pretende di essere riconosciuta. L'umanità sprofonda in un vortice di frenesia ed irrequietezza, accorciando ad ogni canzone il tempo che ha a disposizione. Fino alla seconda parte, in cui, come la sabbia che passa attraverso una clessidra, il tempo si posa e si distende dando la possibilità di riflettere su ciò che si è fatto e si farà.

Una curiosità: potresti spiegarmi il significato del lato destro dell’ultima pagina della copertina?

L'omino rappresentato sul fronte copertina è qui sezionato come in un manuale di montaggio IKEA. Per quanto la natura umana, la sua intelligenza, la sua sensibilità e tutto il resto ci sembrino miracolosi e spesso inspiegabili, c'è sempre qualcuno o qualcosa in grado di comprenderne l'assoluta semplicità. Forse un divino montatore.

A lavoro finito ti ritieni completamente soddisfatto del risultato?

Lo ero già all'inizio!


TRACK LIST
1. L'ODIO, DOPOTUTTO
2. IMMAGINAZIONE
3. LA GIOIA
4. TOM TOM
5. MI DEVO CURARE
6. ULTIMO STADIO (FINO ALL')
7. CROCIERA IN DO
8. L'ELETTRICITA'
9. SE TU
10. MA IO
11. MORALE
12. MENO INFINITO
13. PIU' MONDO
14. FOSSILE
15. SCEMI IN PARADISO
16. AUTOREVERSE

Facebook & Twitter: Rig8


Un pò di bio…

Paolo Rigotto inizia nel 1986, a 12 anni, le sue prime sperimentazioni musicali con gli strumenti del fratello maggiore. Nel corso degli anni studia (ma soprattutto esperisce) batteria jazz e rock (allievo del maestro Marco Volpe) produzione e arrangiamento, programmazione di sintetizzatori analogici e digitali, tecniche vocali e di
registrazione. Attualmente, dopo collaborazioni a vario titolo in ambito rock e jazz, fa parte fin dalla sua formazione del gruppo Banda Elastica Pellizza (premio Tenco 2008), ed è titolare del piccolo Freakone Royale Studio in cui vengono realizzati, oltre ai suoi lavori, anche quelli di altre band ed artisti del territorio (Mothercar, Giorgio Autieri, Endorfine, Banda Elastica, Attitude, Audiokonica, Luca Sommariva, Veligier, Giangilberto Monti, Cravo & Canela, Traine Mannut). Collabora con la pianista Alessandra Mostacci (Freak Antoni Band) e partecipa in qualità di interprete a numerosi tributi al compianto leader degli Skiantos, con il quale era iniziata una conoscenza artistica e umana.