giovedì 24 settembre 2015

La musica dei Syncage

Fotografie di Francesco Monti

La giornata di apertura del 2Days Prog + 1, Festival Prog organizzato da anni a Veruno, e diventato ormai tra i più importanti del genere, mi ha permesso di scoprire alcune nuove entità musicali davvero interessanti.
Non conoscevo, ad esempio, i Syncage, giovanissima band vicentina che ha avuto l’importante compito di aprire la kermesse, il 4 settembre.
Inutile sottolineare le influenze e fare opera di comparazione con il passato, molto meglio evidenziare una buona originalità, una efficacie presenza scenica e una voluta contaminazione che permette di miscelare gli elementi classici al rock, tra il sinfonico e l’hard, con una decisa tendenza alla teatralità, che in questo caso significa realizzare uno spettacolo con più ingredienti, per la musica, oltre la musica.
Molto meglio delle mie parole risulterà il video a seguire, che ripropone il brano di apertura di Veruno.
La discografia è al momento ridotta e riconduce all’EP “ITALIOTA”, ma è in cantiere la realizzazione di un album completo.
Ho chiacchierato con loro e questo è il risultato…



L'INTERVISTA

Come, dove e con che motivazione nascono i Syncage?

Proveniamo tutti da Vicenza e dintorni; come band nasciamo tra i banchi del liceo e tra le fila di un’orchestra giovanile. Siamo prima di tutto un gruppo di amici, personalmente credo che questa sia la condizione senza la quale l’esistenza di una band non avrebbe alcun senso. Nonostante gli anni siano passati e le responsabilità aumentate, penso che siano tutt’ora la voglia di stare assieme, divertirsi e intrattenere, le ragioni per cui i Syncage esistono. Sono sicuro quando affermo che quanto più un gruppo è affiatato, tanto più il suo sound sarà efficace e veritiero.

E’ abbastanza anomalo vedere musicisti così giovani impegnati in un genere musicale abbastanza trasversale, ma di certo non easy listening: c’è qualcuno in famiglia che ha la… responsabilità di aver gettato il seme?

Questa domanda dev’essere risposta caso per caso: io e Riccardo siamo fratelli, veniamo da una famiglia dove la musica è un accompagnamento alla vita quotidiana, nulla più. Lo stesso caso vale, più o meno, per Daniele. Matteo Graziani è invece figlio di musicisti classici professionisti, suona violino dalla tenera età di 7 anni. Ciononostante, è stato proprio Daniele che, un giorno, mi diede Metropolis pt.2 Scenes from a Memory, dei Dream Theater, introducendo me e tutti gli altri al mondo del Progressive.

Vi ho appena visto al Festival di Veruno e mi ha colpito il vostro “tenere la scena”, aggiunto ad una certa disinvoltura che non è scontata quando si ha il compito di aprire un evento così importante: da dove arriva tale padronanza della situazione?

Dall’amore che proviamo per quello che suoniamo e dalla connessione che è possibile instaurare con il pubblico. C’è da dire che non è stato sempre così: talvolta ci è capitato di suonare di fronte a degli spettatori non entusiasti della nostra musica e in quei momenti non saremmo apparsi tanto disinvolti quanto hai visto tu. Adesso probabilmente gestiremmo meglio la situazione, visto che da qualche tempo cerchiamo gli espedienti più effettivi per intrattenere il pubblico: vorremmo che la nostra proposta live non fosse un semplice concerto, ma piuttosto un viaggio sonoro, uno show vero e proprio dove l’ascoltatore/osservatore possa avventurarsi totalmente.

Rock, metal, prog, ma leggendo il tipo di strumentazione da voi usata -tromba, flauto e violino- mi pare che esista una buona fusione con un lato musicale più classico e serioso: è fatto voluto o casuale, legato magari a rapporti di amicizia che sfociano nel professionale?

Strumentazione: è la parola giusta, da cui possiamo partire. Si tratta infatti di mezzi espressivi. Il fatto che il violino e il flauto siano strumenti utilizzati prevalentemente in ambito classico non ne preclude la presenza in contesti musicali diversi da quest’ultimo.

Mi pare che sino ad oggi abbiate pubblicato un solo EP, “Italiota”: me ne parlate?

È corretto, se non consideriamo il singolo Hellhound, rilasciato qualche mese prima di “Italiota”. È costituito da 3 tracce, che offrono una panoramica eterogenea ma unitaria del sound Syncage. Si parte con Leash and Necks, un blues d’acciaio e ironia, considerabile come il divertissement dell’opera. Segue Anxiety  pezzo che rivela il nostro lato più introspettivo e meno sguaiato: hai presente un caleidoscopio? Ecco, questa traccia per me è la traslazione sonora di un caleidoscopio. Conclude la suite Italiota’s Journey no2 , pezzo a sfondo politico (rimando al testo della canzone per chi ne volesse sapere di più) dai toni teatrali e grotteschi. Forse è la traccia più difficile dell’EP, ma anche quella che può dare di più all’ascoltatore, quella di cui non ci si stanca attraverso gli anni.

Che tipo di soddisfazioni potete registrare sino ad oggi, sia per i giudizi sui live che per quelli derivanti dall’ascolto dell’EP?

La critica si è espressa positivamente riguardo il nostro EP e i nostri concerti: ovviamente ciò ci ha fatto piacere. La soddisfazione più grande rimane sempre e comunque vedere il pubblico che si entusiasma.

I vostri testi sono rivolti al sociale: che ruolo pensate possa avere la musica, in questi giorni, per favorire il cambiamento in positivo?

Questa non è del tutto giusta: in effetti, della nostra produzione ad oggi, solo Italiota (la traccia) è a sfondo sociale. Tuttavia anticipo che il nostro prossimo LP lo sarà interamente, per quanto in chiave favolistica. Il cambiamento è un processo estremamente articolato e lungo, certo qualsiasi mezzo d’espressione può concorrere a ispirare e istigare una rivoluzione. Ciò che fa la Musica e che manca alle altre arti è il toccare l’emotività cruda dell’ascoltatore, scavalcando barriere concettuali e logiche. Pelle d’oca, lacrime, esaltazione, tristezza, ilarità e quant’altro possono essere innescate senza il consenso dell’individuo nello stesso, attraverso la Musica. È uno strumento meraviglioso, allucinante, quasi magico.

Perché nel vostro repertorio esiste alternanza dal cantato inglese e quello in italiano?

Si è trattato di un singolo caso: sono stato spronato dal resto della band a traslare (non tradurre) i contenuti di Italiota’s Journey no2 in italiano visto il soggetto trattato. Non penso che ciò si ripeterà in futuro. La ragione per cui scrivo in inglese non è commerciale o comunicativa. Io scrivo in questa lingua per il suo suono, che si adatta perfettamente al contesto sonoro generato dai Syncage.

Mi date un giudizio su quanto pesi sul vostro “lavoro”, nel bene e nel male, l’evoluzione tecnologica?

La tecnologia ci ha sempre dato una grande mano. Se fossimo nati qualche anno prima, non sarebbe stato possibile registrarci per conto nostro, per esempio. L’idea musicale e compositiva, tuttavia, deve essere libera e nasce prima dei marchingegni tecnologici, non grazie e questi.

Cosa dobbiamo aspettarci dai vostri prossimi progetti?

Da ormai un anno lavoriamo a quello che sarà il nostro prossimo LP. Posso anticipare che si tratta di un concept: nell’epoca della velocità, dell’internet ancora più veloce, vogliamo proporre un’alternativa apprezzabile su una scala temporale più vasta. Un concept permette di incidere molto di più di qualsiasi altro lavoro musicale, grazie a espedienti come la narrazione e la ricorrenza degli elementi. Posso essere onesto e dirti che con Italiota ci siamo appoggiati ad elementi musicali di comprovata efficacia, mentre ora stiamo esplorando la nostra identità, alla ricerca di nuovi canali espressivi. Siamo consapevoli del fatto che il progetto sia ambizioso, ma vogliamo che l’ascoltatore si senta cambiato, una volta ascoltata l’opera. Non vedo l’ora di condividere ciò che bolle nella nostra pentola! Ultima anticipazione a riguardo, non ci limiteremo alla musica. Per quanto riguarda la musica dal vivo, la prossima stagione di concerti ci sposteremo all’estero.

Un ultima curiosità legata ad un fatto che mi ha molto colpito, positivamente, appena vi ho visto sul palco, mi riferisco all’utilizzo di earplugs da parte di Daniele Tarabini, particolare che ho cercato di immortalare per usare come esempio (prossimamente sarò più chiaro): da dove nasce tanta saggezza?

Nasce dalla consapevolezza dei danni che un sistema di amplificazione tradizionale causa alle orecchie, che altro non sono che i nostri principali strumenti di lavoro. Non è sempre possibile lavorare live con i costosissimi inear systems, che limitano e riducono drasticamente il pericolo di lesioni al timpano, per cui Daniele (e Riccardo), hanno intelligentemente adottato questo metodo alternativo.


Line up:
Matteo Nicolin: voce, chitarre, live electronics
Daniele Tarabini: basso, cori, flauto
Matteo Graziani: tastiere, cori, violino
Riccardo Nicolin: batteria, cori, percussioni