venerdì 13 marzo 2015

Raindogs House:The Who/Quadrophenia/A Very Special Tribute

Immagine catturata dalla rete

Ci voleva il tema “The Who” per farmi uscire un mercoledì sera.
Chi mi conosce sa bene del mio incondizionato amore per una band che conobbi all’età di otto anni e che mai ho abbandonato. Pete Townshend è tutt’ora oggetto delle mie docenze sulla sicurezza sul lavoro, quando arrivo al capitolo “rumore”, fattore che ha distrutto la sua capacità uditiva e che spesso lo innervosisce. Un esempio? Quando tra il pubblico, nel corso di un concerto, appaiono gli otoprotettori colorati, si scatena il suo "It's Too Late!".
Ho avuto la fortuna di vederli dal vivo, seppur dimezzati, al loro ritorno in Italia dopo 40 anni, e giusto tre anni fa non mi sono perso “Tommy”, portato in tour da Roger Daltrey.
Ciliegina sulla torta un’intervista realizzata con Simon Townshend, fratellino di Pete, chitarrista e frazione della band in tour.
Insomma, partito da “Substitute”, quando ancora avevo i pantaloni corti, sono arrivato all'11 Marzo 2015, quando il Raindogs di Savona e il Filmstudio si inventano la serata a tema: proiezione del movie Quadrophenia e, a seguire, riproposizione di musica degli Who, con diverse band sul palco del Raindogs.
E’ proprio il pacchetto intero che mi incuriosisce, perché sia il film che la musica a seguire, è qualcosa di cui potrei fruire tranquillamente da casa.
Ma vedere il film su schermo gigante, con un volume appropriato (una volta ogni tanto è concesso!), condividendo l’esperienza con un centinaio di persone, è al tirar delle somme una bella esperienza.
La trama del film è nota ed è la fotografia di un’epoca, di una cultura, di una ribellione, di una insoddisfazione che imperava in quegli anni ’60 tra i giovani inglesi, simboleggiata dalla contrapposizione tra Mods e Rockers, ma tipica di ogni paese occidentale.
Rivederlo - mi capita almeno una volta all’anno - non mi entusiasma più per il contenuto, ma mi soddisfa per il contesto, per le atmosfere, per i suoni, ed ogni volta ritorno alla mia giovinezza, quando gli echi di quanto accadeva oltremanica ci condizionavano nel quotidiano, e lasciavano increduli i nostri genitori.
Da quelle difficoltà, molti, sono usciti attraverso la musica, e pare che mai tanti talenti siano nati tutti assieme, nello stesso paese.
Tra questi The Who, capaci di essere ancor oggi attualissimi, “usati” come colonna sonora nei film di successo, o nelle performance delle tradizionali bande che intrattengono il pubblico americano nelle soste dei match di football.
Fine del movie e trasferimento in massa nel club.
Non sono poi molte le band presenti, forse qualche defezione dell’ultimo minuto, magari difficoltà nel reperire “esperti in materia”, sta di fatto che il locale è sufficientemente affollato, se si pensa che è mercoledì, e allora… si parte.
Sul palco un duo. Non ha un nome, pare nato apposta per l’occasione, e mi dicono abbia provato una sola volta l’unico brano che presenteranno, “Happy Jack”. Non sono certo sprovveduti, e l’estemporaneità del progetto è l’occasione per colorare di nuova vernice un “pezzo” storico.
Alla batteria Simone Perna, dei 3 fingers guitar, e alla chitarra acustica Nicola Calcagno (Rostropovia-Jasban).
Quando partono in sordina non è ancora chiaro quello che accadrà. Ciò che è sempre stato presentato secondo i sacri crismi cambia improvvisamente passo, entra in gioco una loop machine, una buona dose di effetti, e la chitarra acustica a cui accennavo si trasforma in strumento a sé.
Sono solo due, ma la tecnologia, l’entusiasmo e il talento compensano la poca quantità, e quando il brano finisce c’è un po’ di rammarico per non aver avuto il seguito dell’antipasto.
Un bella scoperta, che ho documentato…


Secondo e ultimo gruppo i The Moonshiners, band dedita al rock tradizionale, nell’occasione propositrice di tre brani inerenti al tema: My Generation, Pinball Wizard e See Me Feel Me. Line up formata da Ivano Vigo (voce e chitarre), Luigi Ferracane (batteria), Alessandro Delfino (chitarre) e Simone Perata (basso).
Buona presenza da palco, con alcune varianti armoniche e ritmiche che evidenziano la voglia di dare un tocco personale a pietre miliari della musica.


Il pubblico risponde bene, mentre arriva il momento del passaggio, tra Who e… tutto il resto possibile.
A questo punto nasce nella band l’esigenza di cercare un link ideologico tra il prima e il dopo, trovandolo nell’inglesità dei protagonisti, ma già il noto legame di amicizia tra Pete Townshend ed Eric Clapton è un buon motivo per proporre i Cream. Vado a memoria… Sunshine of your Love, White Room, Badge, tutti episodi capaci di scaldare l’audience.
Si chiude con altri miti, i Led Zeppelin (Good Times Bad Times, Stairway to Heaven), ma prima dell’ultimo atto arriva una sorpresa, una energica Whole Lotta Love che prevede una giovane ospite, la vocalist Margherita Zanin, che mette in mostra una grinta adatta alla serata abbinata a doti canore ragguardevoli, e rappresenta dal mio punto di vista una luce vivida, quella della speranza che anche le nuove generazioni possano avvicinarsi, o almeno fare un tentativo, ad una musica che ha lasciato il segno, e che non svanirà come neve al sole. 
Un bella serata, carica di ricordi, di suoni, di giusto feeling e di nuove scoperte.