lunedì 30 giugno 2014

Yossi Sassi-"Desert Butterflies"



L’album di cui parlo oggi è Desert Butterflies, di Yossi Sassi, uno dei fondatori del gruppo metal, israeliano,  Orphaned Land, in questo caso pieno “titolare” del progetto.
Non ho mai effettuato ricerche sulla musica di quel paese, e non so che tipo di fervore sonoro sia in atto, nascosto - o esaltato - da problemi di natura sociale e politica, ovviamente importanti e tali da poter condizionare aspetti artistici e culturali che sono spesso la via di fuga verso la serenità e la rivalsa personale e di gruppo.
E’ stato quindi con curiosità - e successiva sorpresa - che mi sono avvicinato ad un mondo sconosciuto, che vede un protagonista assoluto - Yossi Sassi - virtuoso dello strumento, capace di inventare quello che per me è il primo esempio di chitarra/bouzouky, fusi in un unico “body”, ma abbastanza attento nel privilegiare la coralità espressiva a discapito dell’intraprendenza personale.
Undici tracce per realizzare un disco concettuale, incentrato sulle nuove sfide quotidiane che sfuggono dalla routine, nel tentativo di creare le condizioni per un futuro basato su una migliore qualità della vita, e sono questi concetti che accomunano le anime di ogni paese, anche quelli in apparente stato di pace.
La musica proposta è qualcosa di sorprendente, sicuramente una novità per il pubblico italiano. L’unione del rock e delle linee prog alla cultura specifica del luogo di provenienza creano un sound inusuale, dove l’etnia acustica e il folk si sommano al lato elettrico, realizzando un prodotto non comune, vario e raffinato.
Yossi utilizza 19 tipi di chitarre differenti, con lo scopo di esaltare i dettagli della sua musica, curando ogni sfaccettatura che accompagna i tratti melodici, quelli orientaleggianti e la “durezza” che solo un power group riesce a realizzare e a condividere con successo.
E in questa musica che arriva da Israele c’è anche un tocco italiano, per la partecipazione della “nostra” Mariangela Demurtas, di cui parla Yossi nell’intervista a seguire.
Difficile fornire una collocazione, un genere, un’etichetta alla proposta di Sassi, e forse l’esempio video a seguire potrà chiarire meglio le idee, ma al di là delle caselle facilitatrici mi preme sottolineare come quello che spesso andiamo a ricercare - un nuovo sound - potrebbe essere contenuto in Desert Butterflies, un album in grado di aprire le porte verso un concezione parallela di Musica, un contenitore tutto da scoprire e da condividere.


L’INTERVISTA

Come definiresti  la tua musica per il pubblico italiano e per quelli che non ti conoscono?
La mia musica è una fusione tra le radici e il folklore proveniente da tutte le parti del mondo - soprattutto il lato orientale e mediterraneo - e si fonde con gli aspetti contemporanei, con particolare attenzione al rock. E 'un mix di rock orientale e world music, un viaggio è vario, intenso, sviluppato in differenti direzioni.

Come nasce la tua passione per la musica e quali sono stati i tuoi riferimenti musicali più importanti?
Sono nato in una famiglia “musicale”. Mio padre era il quarto di dieci fratelli e sorelle, e tutti sapevano suonare strumenti o cantare, o fare entrambe le cose. Mio nonno Yossef Sassi (io sono il suo omonimo) è stato un suonatore di Bouzouki e Oud, e insegnante di scale arabe e  makamat (opere rimata, a cavallo tra prosa e poesia). Le mie influenze arrivano dunque dalla mia famiglia, da mio padre in particolare, e poi dalla musica di tutto il mondo - da Dead Can Dance, Joe Satriani, Dream Theater e fino a Omar Faruk Takbilek.

Sei considerato un virtuoso della chitarra ma ciò che emerge dall'ascolto della tua musica è un sound globale, un gioco di squadra: mi sto sbagliando?
Infatti, mi pare sia chiaro il senso della band, del gruppo al lavoro. Sono abituato a lavorare con altri musicisti, suonare e cooperare in gruppo. Nel mio progetto solista è privilegiato il “suono di squadra”, e sebbene sia io a comporre e arrangiare le canzoni, ogni musicista contribuisce con il proprio talento, colore e stile.

Mi racconti qualcosa di questo tuo nuovo album, "Desert Butterflies"?
Il nuovo album, “'Desert Butterflies”, è stato registrato in quattro paesi e tre continenti, e  include un cantante italiana che arriva dalla Sardegna, Mariangela Demurtas (Moonspell, Tristania). Comprende tanti musicisti e buoni amici, come Marty Friedman, Ron 'Bumblefoot' Thal (Guns'n'Roses) e molti altri. Io suono 19 (!) diverse chitarre, e le canzoni costituiscono un concept album che parla della routine, del perseguire i sogni personali, lasciando ciò che è familiare e usuale, alla ricerca di  nuove e grandi sfide.

In un brano è presente una vocalist italiana, Mariangela Demurtas: come nasce la vostra collaborazione?
Mariangela è un grande cantante e una persona straordinaria. Ci siamo incontrati qualche anno fa in alcuni festival, e sono rimasto colpito dalla sua voce e dalla sua capacità di stare sul palco. Ho anche un po’ di sangue italiano in me (sono un quarto italiano, da parte di mio padre), e forse questo è il motivo per cui abbiamo legato bene. Dopo la nostra conoscenza siamo rimasti in contatto, e mentre stavo lavorando sulla canzone “Believe”,  ed ero alla ricerca di un cantante capace di esprimersi in spagnolo o italiano, lei è stata la prima che mi è venuta in mente. Mariangela è protagonista di una straordinaria performance nel disco, così come accade negli spettacoli dal vivo, dove abbiamo l’opportunità di  esprimerci assieme.

Sono rimasto incuriosito dalla Bouzouki-Guitar di tua invenzione: me ne parli?
E 'un unico corpo, due manici, tre anime elettrificate - chitarre acustiche e bouzouki in un unico strumento. Nel 2011, decisi di progettare uno strumento che sarebbe poi diventato l'incarnazione del mio percorso musicale. Ho avuto un chiaro bisogno di trovare un modo efficace per passare dalla acustico Greek Bouzouki alla mia chitarra elettrica, e dopo molti tentativi e duro lavoro è nato il "Bouzoukitara", uno strumento unico che combina un mandolino tradizionale greco (Bouzouki) ad una chitarra solid-body elettrica. Insieme al Liutaio Bejamin Millar  sono stato in grado di trasformare questo progetto in realtà.

Potresti raccontarmi qualcosa sullo stato della musica nel tuo paese?
Purtroppo, la musica e la cultura in generale, non sono così importanti come io vorrei che fossero in Israele. Provenendo da una regione in fase di lotte e conflitti, vedo che a volte la musica è superata da questioni più urgenti. Ma questo è anche il motivo per cui è così importante per me fare musica nel mio paese, e in tutti i paesi limitrofi - la musica è il vero linguaggio universale capace di fare da tramite tra le persone. Essa ha il potere di unire la gente, riuscendo  laddove la politica fallisce. Ed è questa la ragione per cui a quel punto prendo in mano la chitarra e cerco di fare al meglio ciò che… so fare meglio!

C'e qualche possibilità di vederti prossimamente in Italia, per qualche concerto di presentazione dell'album?
Certo! Stiamo lavorando su alcune date relative all’Europa, e l'Italia dovrebbero essere inclusa. Sono già stato in tour in Italia  in occasione dell’uscita del mio disco precedente, i “Melting Clocks", a Prato e a Milano, e spero  di tornare!