martedì 1 ottobre 2013

XV Itullian’s Convention-Vigevano, CIVICO TEATRO CAGNONI

Fotografie di Fulvio Bava

Il mio  quarto personale raduno a base di … anime ammalate della musica dei Jethro Tull, ha coinciso con la XV Itullian’s Convention. In questo caso la sede scelta è il CIVICO TEATRO CAGNONI, a Vigevano, città in cui vive Andrea Bandi - uno degli assi portanti di questa associazione così sana e particolare - che ha dovuto sobbarcarsi molto del lavoro organizzativo che una manifestazione del genere richiede. Ma da chi gioca in casa, si sa, si “pretende” sempre qualcosa in più!
Per chi non conoscesse la tipologia di evento riassumo sinteticamente dicendo che da svariati anni esiste un gruppo consistente di appassionati della musica dei Jethro Tull, aggregato in una associazione no profit, all’interno della quale si organizzano raduni alla presenza di musicisti che fanno parte o hanno fatto parte della band di Ian  Anderson… il RE! E il meeting di cui mi appresto a scrivere era il quindicesimo.
Difficile dare un giudizio oggettivo di un pomeriggio che rimarrà in ogni caso tra i miei ricordi musicali più belli. Naturalmente il mio pensiero è da mettere in relazione ad altre esperienze molto significative, come quella di Novi Ligure nel 2006 o di Alessandria nel 2008. Aldo Tagliaferro, il presidente, con l’aiuto di fidi collaboratori inventa e pianifica come solo chi è mosso da passione può fare, ma i tempi cambiano, noi cambiamo, il paese cambia e i paragoni col passato perdono di significato… come se decidessimo di comparare Rivera con I baldi faticatori degli attuali centrocampi calcistici! Irrrealistico.
Però posso oggettivamente dire che l’atmosfera goliardica, festaiola, fatta anche di giovani, non l’ho avvertita in questa occasione e tutti mi sono apparsi come - solo -  in attesa del concerto… ma che concerto!
Ecco, la parte musicale è stata davvero super - e forse è quello che più conta - perché mettendo da parte i soliti chiacchiericci sulla voce di Ian e sulla validità dei suoi compagni di avventura, ciò che Anderson ci ha regalato in questa occasione (regalato sotto tutti i punti di vista dal momento che il compenso ha preso una via nobile, vedremo quale) è ciò che probabilmente nessun altro vedrà, dal momento che il tour è basato sul TAAB 1 & 2, e quindi abbiamo assistito ad una chicca che ha richiesto prove di affiatamento estenuanti - si vociferava 10 ore - necessarie per poter coordinare al meglio e in modo professionale una formazione collaudata con un quartetto di archi del luogo, e in questi casi la valenza tecnica non è l’elemento principe per la riuscita dell’evento.
Abbiamo quindi goduto di nuovo e antico allo stesso tempo, se è vero che già a metà anni ’70 i J.T. si erano cimentati in un progetto simile, decisamente complicato da portare on stage in un epoca in cui la tecnologia specifica era poco evoluta.
Ma andiamo con ordine cercando di rispettare la cronologia.
L’apertura è affidata alla Beggar’s Farm, ovvero a Franco Taulino - vocalist, leader e fiatista -   e ai suoi attuali musicisti che vale la pena elencare:
Kenny Valle alle tastiere, Daniele Piglione al basso elettrico, Mauro Mugiati alle tastiere e alla chitarra acustica, Brian Belloni alle chitarre, Andrea Stofler alla batteria, Sandro Bellu alla chitarra acustica, Vittoria Olgiati presente nel ruolo di ballerina e Paola Gemma, di solito vocalist e corista, in questo caso nei panni di lepre/coniglio.
Lepre Coniglio? Ballerina?
Correva l’anno 1973 e i Jethro Tull sfornavano un album controverso  nei giudizi,  ma comunque entrato nella storia, quell’A Passion Play che è stato sintetizzato sul palco dalla Beggar’s per ricordare un ragguardevole traguardo, i 40 anni di vita. Il pubblico ha apprezzato in modo incondizionato, e tenendo conto delle difficoltà tecniche che si accompagnano a quel concept non si può che fare i complimenti al “Maestro Taulino”.
Ma non basta… ovviamente. La prima parte di spettacolo continua con brani storici che conducono a Wind Up e quindi favoriscono l’entrata del primo ospite, Clive Bunker, incredibile esempio di longevità musicale e fisica.
Non arriva l’assolo che spesso Clive propone in Dharma for One, nell’occasione non in scaletta, ma zio Clivio riesce a ritagliarsi spazio adeguato e a ricevere la giusta dose di applausi. Il mio amico Gian Piero Chiavini, casualmente affianco a me, si lascierà andare commentando: “ … è come dire che una batteria… può cantare!”. Battute e innamoramenti a parte, il dott. Chiavini potrebbe provare a spiegare da dove arriva contanta energia… gli anni di Clive non mi sembrano un dettaglio!
La band di Taulino è in evoluzione, ma la forza di questo infaticabile musicista è l’entusiasmo, che lo porta a contorniarsi di giovani che non possono che crescere. E anche in questa occasione la Beggar’s raggiunge l’obiettivo e gli amanti della musica live dovrebbero fare un monumento al buon Franco, esempio di efficienza musicale e organizzativa.


La seconda parte di spettacolo è introdotta dal presidente che racconta, tra le altre cose, la finalità benefica della serata, il cui ricavato è stato devoluto all’Associazione LIFE”,  il cui obiettivo è la prevenzione e la cura dei tumori. Un teatro pieno significa in ogni caso un contributo rilevante, e al successo musicale si associa quindi quello materiale. Aldo Tagliaferro ne approfitta per ricordare un musicista prematuramente scomparso, Gianni Mocchetti, presente in altre Convention, a cui io associo Marco Manfreddi, sempre in platea nelle precedenti occasioni, anch’esso non più tra noi, anche se la continuità è stata garantita dalla presenza del figlio Jacopo.


Ed entra in scena Ian Anderson e non è solo… che banalità!
Partiamo dalla novità locale, un egregio quartetto d’archi composto da:
Matteo Ferrario al Violino, Marco Medicato al Violino, Alessandro Sacco alla Viola e Raffaele Ottonello al Violoncello.
L’integrazione c’è, così come la fiducia di Anderson, che concede l’intero palco all’ensemble per una performance  a base di Songs From The Woodaffascinante e inaspettato (e visibile nel video a fine post).
Per i curiosi della “scaletta” ecco pronta la foto di Zia Ross, corsa in mio soccorso in zona mixer.



Sul palco oltre a Ian i suoi due devoti musicisti, John O’Hara alle tastiere e Florian Opahle alla chitarra. In un mondo fatto di stereotipi e di frasi e luoghi comuni, si è stabilito che O’Hara è scarso e Ophale l’enfant prodige, magari troppo rock per il genere. E si è stabilito anche che a forza di stare vicino al genio sono entrambi  progressivamente cambiati.
Certo, le comparazioni con il passato non portano benefici agli attuali comprimari di Anderson, ma sono dell’opinione che un fuoriclasse non carica mai sulla sua auto una squadra mediocre che lo condurrebbe alla rovina, ma semmai dei soldatini obbedienti, capaci, ma consci dello spazio concesso. Dice John nell’intervista inserita nella brochure distribuita in teatro: “ Lavorare con Anderson è un dialogo continuo”. Ecco, è sicuramente un dialogo la cui conclusione potrebbe portare sempre in una direzione, ma non mi pare elemento fondamentale per il pubblico, e cioè per chi è mero fruitore di una musica che giudico ancora oggi fantastica. E poi occorrerebbe pensare a ciò che mediamente è difficile valutare, ovvero la sezione “arrangiamenti” di cui non si può occupare un musicista qualunque, e il buon John ha avuto grande responsabilità musicale con un altro grande, Pete Townshend, mettendo le mano sulla sua Quadrophenia, e questo mi pare più che sufficiente stabilire i giusti meriti.
Ritorno allo specifico. O’Hara è fornito di qualche elemento percussivo mentre Opahle non si schioda dalla sua Gibson, qualunque sia il brano da proporre, e la fusione tra classico/acustico e rock elettrico è a mio giudizio il motivo vincente della performance, il cuore del progetto di serata.
Florian ha anche modo di lasciarsi andare e presentare un assolo alla Malmsteen, molto di effetto, ma che non aggiunge poi molto in sede di valutazione perché sono quei casi in cui ciò che si capta è superiore a ciò che realmente c’è in gioco.
Provo a sintetizzare … ho percepito un lavoro corale, dove lo spazio per il singolo non viene mai a mancare, ed è questa la mia definizione di lavoro di squadra.
E se potessi fornire un‘altra angolazione della sintesi (purtroppo la mia video camera era ormai scarica) proporrei una incredibile versione di Aqualung, che niente ha a che vedere con quelle tradizionali, ma che mi pare il più grande esempio dell’unione delle menti di Ian, John e Forian.
Grande, grandissima serata di musica.
Sottotono la sezione “stand disponibili”, con Wazza Kanazza in front of Massimo Orlandini, ma difficoltà importanti di ordine personale hanno limitato le idee di base, con rinuncia alla statuine con flauto di Gian Piero Chiavi, sempre lui, e alle memorabilia di Alessandro Gaglione, amico di cui si è sentita la mancanza.
Molte le facce conosciute, di quelle che si vedono una volta all’anno con estremo piacere, ”amici” con cui si potrebbe parlare per ore, almeno di musica.
E’ mancato il contatto con gli artisti, elemento cardine di altre Convention, ma la serata è davvero riuscita.
Bellissima Vigevano, almeno a giudicare da ciò che abbiamo potuto gustare, e forse non è un caso che i Jethro Tull abbiamo già sostato più volte in questa zona.
Come sempre un grazie immenso a tutti quelli che sono stati decisivi in fase organizzativa ed ai tutti i partecipanti, in attesa di qualche altro regalo sotto forma di musica.