Ray è morto, lunga vita a Ray! I sudditi del rock piangono la
morte di un altro leggendario cavaliere. Ray Manzarek è andato ad incontrare Jim per la
seconda volta, dopo quella a Venice Beach, dove tutto ebbe inizio. Raccontare
quello che è stato Ray Manzarek, i Doors,
raccontare gli incredibili avvenimenti di quegli anni è un po’ come giocare a
nascondino con la retorica, da cui è difficile sfuggire. Devo essere più furbo,
devo distrarla. Mi nasconderò dietro i miei ricordi, per gettarle fumo negli occhi. Il mio primo disco dei Doors è stato Absolutely Live. Li avevo scoperti
grazie a un mio cugino più grande di me, che, in una cassetta mista, tra Deep Purle, Eagles e Black Sabbath,
aveva messo anche i Doors. La canzone
ovviamente era Light My Fire ed era
già Manzarek-mania, prima ancora di Morrison-mania. Perché se Jim era il
personaggio, la follia del genio, il poeta, Ray era il musicista. Le universali
note dell’inizio di Light My Fire mi
avevano catturato e dovevo saperne di più. All’epoca pensavo che solo
ascoltando un gruppo dal vivo avrei capito se mi piacevano davvero o se era
solo un’infatuazione del momento. Poi ho scoperto che non è proprio così, che
un conto e vedere un concerto e un
altro e ascoltarlo e che solo
mettendo insieme le due cose puoi sentirlo.
Ma allora vivevo di convinzioni adolescenziali, madri di inevitabili delusioni
e comprai il disco dal vivo. Che non fu affatto una delusione. Ce l’ho ancora,
bello, nelle sue tonalità di viola e d’azzurro. È un doppio, di quelli che si
aprono in due. Fronte e retro di copertina sono un’immagine unica. Si vede Jim
in primo piano con i suoi pantaloni di pelle, dietro di lui un’ombra, è Robby.
In mezzo, di spalle, John, e defilato sulla sinistra l’architetto del suono dei
Doors, come lui stesso amava
definirsi, Ray Manzarek, naturalmente durante un’esibizione assolutamente dal
vivo. La puntina del mio giradischi imparò a memoria la strada tra i solchi di
quei due elleppì. Da Who Do You Love
a Soul Kitchen, passando per Close To You, cantata da Ray, non
passava giorno in casa mia in cui non si sentisse l’inconfondibile suono del
Vox Continental di Manzarek. Già, perché prima di imparare a conoscere e quindi
innamorarmi dell’encefalica sensualità di Jim Morrison, mi innamorai della
musica di Ray. Per la prima volta di un gruppo non adoravo il cantante o il
chitarrista solista, amavo il tastierista. Quando poi scoprii che le parti di
basso le faceva lui con un Rhodes Piano Bass poggiato sul top piatto
dell’organo, allora l’amore diventò devozione e Ray Manzarek fu asceso al
cielo, nel mio personale Olimpo degli dei della musica. La melodica ossessione
di quel suono colmava tutti i miei sensi. Come una benefica droga scorreva
attraverso i canali sanguigni del mio corpo raggiungendo muscoli, reni, polmoni,
stomaco, fegato, cervello, cuore, lasciandomi ubriaco di bellezza. Un po’ come
la Scimmia di Finardi, “un onda dolce di calore, quasi come
nell’amore”. Le emozioni si rincorrevano come libellule, che volano sul
filo dell’acqua di un fiume e tutto sembrava potesse accadere in quei momenti,
in cui l’eccitazione aveva la meglio sulla ragione, il trascendentale sul
reale, in cui il mondo dell’esperienza cessava di esistere per dar spazio al
mondo della mia fantasia, per farmi volare tra gli universi esistenziali della
mia mente. E tutto questo grazie al sapiente scorrere delle dita delle mani sui
tasti bianchi e neri del suo organo, di quel ragazzo biondo, dalle spesse
basette e dai grossi occhiali, che sembrava un essere mitologico quando sedeva
dietro il suo strumento, metà uomo e metà tastiera.
Immagine di Glauco Cartocci, grazie a
C.M.Schulz che sicuramente avrebbe approvato
Penso a Riders On The Storm, a When The Music’s Over, The Crystal Ship, a Take It As It Comes, Love
Street, a Queen Of The Highway e
quant’altre ancora e penso a quanto fosse sconfinato il talento musicale di
quell’uomo. E quanto
capace dovesse essere nell’individuare il talento negli altri. Fu lui quel
giorno, sulla spiaggia californiana, a riconoscere le smisurate doti di Jim
Morrison mentre canticchiava imbarazzato Moonlight
Drive e subito dopo dichiarava di non saperne un accidente di musica. Fu
lui che di James Douglas Morrison fece Jim Morrison. O per lo meno fu lui che
lo regalò al mondo. Non reclamò mai un posto in primo piano nella band, benché
gli competesse, ma lasciò che fosse Jim a prendersi la scena. Non per umiltà,
ma per semplice onestà intellettuale. Suonare con Jim Morrison era un
privilegio. Attento, la retorica è sempre lì, ti vede. Certo. Dopo Absolutely Live dovevo avere gli altri
dischi. C’era solo un piccolo problema, non avevo una lira! Allora iniziai a
risparmiare sulla miscela, sulla merenda a scuola, sul flipper, ma dovevo
comprare gli altri dischi dei Doors, dovevo sentire ancora il calore di
quell’organo scorrere dentro di me. Arrivai a pensare di vendere i miei Roy
Rogers, ma non ce ne fu bisogno, perché quella santa donna di mia nonna,
buonanima, ogni tanto mi elargiva un paio di biglietti da diecimila, che più di
una volta finivo per spendere in musica e quella volta li spesi per The Doors. Sulla copertina dominava il
viso dionisiaco di Morrison, mentre gli altri tre restavano in secondo piano,
ma sul retro, metà della faccia di Ray era proprio in primo piano! Contento
come sa essere contento un bambino, misi il disco sul piatto del giradischi e
con cautela appoggiai la puntina su di esso. L’eccitante
gracchiare dei primi solchi vuoti fu improvvisamente interrotto dal ritmo di
John, seguito subito dall’organo di Ray, la chitarra di Robby e poi Jim: “You know the day destroys the nigt/Night
divides the day/Tried to run/Tried to hide/Break on through to the other side/
Break on through to the other side/ Break on through to the other side, yeah”. Queste sono state le mie
prime percezioni dei Doors, forse il primo gruppo che ho amato tanto da
comprarmi anche dei poster, che ovviamente sono ancora oggi appesi alle pareti
di casa mia. Gruppo che amo perché prima il rock e il blues, poi il resto.
Gruppo che amo perché Jim Morrison non puoi non amarlo. Gruppo che amo perché
le canzoni le firmavano The Doors,
non Morrison/Manzarek o Morrison/Krieger. Gruppo che amo perché
si coprivano le spalle, come una famiglia. Gruppo che amo perché The End è un capolavoro! Gruppo che amo
perché in una settimana hanno fatto il
loro primo disco. Gruppo che amo perché dopo quarant’anni il suono dei Doors è ancora il suono dei Doors. Gruppo che amo perché John
Densmore e Robby Krieger sono dei grandi musicisti. Perché Jim Morrison era un
genio assoluto. Gruppo che amo perché Ray Manzarek era una brava persona. Ray è
morto, lunga vita a Ray!
E dopo un lungo parto
il VOX40
passa dallo stato progettuale alla piena realtà.
Protagonista assoluto Bernardo Lanzetti,
nella sua città, Parma, il luogo più idoneo per celebrare quelli che lui ha
voluto sottotitolare come “quarant’anni di voce impossibile”.
Sono molti i modi utilizzabili
per il racconto di una vita, ma cosa avrebbe potuto fare di più un vocalist di
lungo corso? Cosa c’è di meglio del ricordare una carriera celebrando lo strumento “voce”- non solo tecnica e
passione, ma anche un dono di Dio?
Avremmo tutti
ringraziato, se Bernardo Lanzetti avesse organizzato un grande evento, con ospiti importanti, italiani ed esteri, evento
sicuramente a portata di mano, probabilmente più semplice del VOX40.
Ma altra cosa è
segnare ogni passaggio significativo della colonna sonora di una vita
attraverso una miscela di attori, conoscitori del genere ed esterni, laddove
per “esterni” si intende professionisti della musica classica, che nello
specifico hanno avuto il compito e il merito, probabilmente senza comprenderlo
completamente, di fornire la chiave di lettura di un genere musicale che,
difficile o no, piacevole o no, ha raggiunto la dimensione dell’immortalità. Per
il giovane Maestro Mariano Speranza, dell’Orchestra Tango Spleen, non è stato
un gioco da ragazzi adattare le musiche degli Acqua Fragile alla dimensione orchestrale, e questo dato fornisce
la consistenza di una band vissuta in un periodo lontano, e durata troppo poco.
Ma c’è ancora tempo per una corretta ricollocazione e visibilità.
Uno spettacolo diviso
in più tronconi, come recitava la locandina: “… musiche di Acqua Fragile, Eclecticlanz, CCLR e PFM “.
Per realizzare
l’intero percorso Bernardo ha chiamato a lui la già citata Orchestra TangoSpleen
di Mariano Speranza, il Quartetto d’Archi Adrian Ensemble, AlexGiallombardo e Anna Barbazza,
e occasionalmente i due ex, Piero Canavera
e Franz Dondi - sezione A.F.; per la
riproposizione delle musiche di “Eclecticlanz e CCLR” si è affidato a Pier Vigolini, Enzo Frassi e Gigi Cavalli
Cocchi.
Per l’ultimo step,
quello legato alla PFM, è intervenuta la Chocolate
Kings Band, con l’ausilio di Franco
Taulino.
Il Teatro al Parco si
trova all’interno di una splendida oasi tranquilla, almeno all’apparenza, e
l’atmosfera che si respira percorrendo il vialetto di accesso è quella dei grandi
eventi. Profumo di musica, profumo antico.
L’atrio del teatro è
stato curato nei particolari da Amneris
Bonvicini, con tele originali realizzate da Bernardo, che lei ha reso
tessuti e custodie per dischi.
Il tema centrale è
l’acqua, elemento fondamentale nell’esistenza di Lanzetti.
Quando lo spettacolo
ha inizio ci sono un’ottantina di persone che restano fuori dai giochi,
impossibilitate nel partecipare al concerto per esaurimento biglietti, anime
che, incontrando casualmente la pillola video a seguire, aumenteranno il
rammarico per l’involontaria assenza.
Ma oltre 400 persone
fortunate hanno potuto assistere ad uno spettacolo da brividi.
Circa tre ore di
musica la cui definizione… mi sfugge. Magia è forse la parola giusta per evidenziare
un feeling che ha lasciato di sasso i presenti, pronti a liberarsi in standing
ovation alla fine dei brani.
Impossibile per me
giudicare lo spettacolo nelle sue varie parti, essendo ben saldo il filo
conduttore capace di saldare le varie tranche in un unico stato di grazia che
non mi ha abbandonato per tutta la performance, in piena comunione con il resto
della sala.
Quale l’idea vincente
di Bernardo? Il superamento delle divisioni schematiche a favore di un unico ideale di musica, in un
disegno dove lui stesso si è “nascosto”, privilegiando l’esaltazione della
voce.
Naturalmente Lanzetti
è uomo da palco, campione di comunicatività, e l’interazione è arte tutta sua.
E questo alla fine paga.
Non ho trovato
sbavature nello spettacolo - con una sezione “classica” pronta a sposare il
professionismo militante con trame più popolari, trasformandole con un gusto
difficile da descrivere - con una parte più moderna legata agli ultimi
trascorsi di Bernardo, ed una finale, quella "PFM", che ha permesso di far
conoscere una giovane band di tutto rispetto.
Non è mancato il
momento dei ricordi… parlati, e in parte “suonati”.
La sezione ritmica
degli Acqua Fragile - Franz Dondi e Piero Canavera - si è resa attiva in un
paio di brani, mentre Maurizio Mori
e Gino Campanini hanno raggiunto i
compagni per uno scambio di battute, che ha messo in mostra molta emozione da
palco, e ha lasciato intravedere molta nostalgia.
Mi limito a questo
piccolo commento, sperando che le immagini a seguire possano dare un’idea della
qualità andata in scena il 28 maggio
2013, al Teatro al Parco diParma.
La speranza è quella
di rivedere il VOX40 in altre città,
anche se esistono difficoltà organizzative oggettive, legate soprattutto al
fattore orchestra, ma un progetto del genere non può rimanere isolato, cercando
e trovando altri sbocchi, e perché no, territori stranieri!
Come ampiamente
annunciato e pubblicizzato, il 25 ed
il 26 maggio l’Ippodromo dei Fiori di Villanova
d’Albenga, in provincia Savona, si è trasformato in un incredibile ritrovo di
situazioni musicali, il più grande evento mai realizzato in Liguria, un
potenziale contenitore capace di radunare migliaia di appassionati e fans.
Ma a
differenza dei grandi raduni del passato, il FIM (Fiera Internazionale delle Musica) non è stato pensato come evento
monotematico, ma come riduzione a multi spazi, ognuno dei quali realizzati in
funzione dei differenti gusti, età e know how specifico.
Difficile
per me dare un giudizio sul risultato, e non mi riferisco naturalmente ai
protagonisti sul palco, ma in questi casi alla parola “riuscita” occorre
abbinarne un’altra, fondamentale, “numero dei presenti”. Mero fatto matematico
per i più, ma occorre pensare agli sforzi fatti da chi ha lavorato mesi
pensando al FIM, e sperare che l’auspicata quadratura del cerchio possa
portare ad una ripetizione della manifestazione.
L’augurio è
quello che Verdiano Vera, Linda Cavallero e tutti i
collaboratori, possano essere stati ripagati per l’impegno ed il coraggio;
sicuramente prematuro tirare le somme, ma il sorriso sempre presente sui loro
volti nel corso della kermesse lascia presupporre uno stato di serenità che…
tranquillizza.
Il mio
piccolo racconto sarà assolutamente parziale, essendo io impegnato in due zone
specifiche dell’ippodromo, quella dello stand di MusicArTeam e quella del palco del Riviera Prog.
La due
giorni musicale ha avuto il naturale prologo del venerdì, giorno dedicato all’allestimento
degli stand.
Si è respirato
aria da grande evento, da momento storico, da fatto incancellabile.
I differenti
palchi montati, funzionali al genere musicale previsto, si perdevano nei quasi
200 mila metri quadrati disponibili, mentre prendeva vita il corpo centrale
espositivo.
Tutti con lo
sguardo rivolto verso il cielo sereno, quasi a rimuovere la razionalità che spingeva
a guardare il telefonino - dannata tecnologia! - che ricordava a tutti che il giorno dopo sarebbe
piovuto… nessuna via di scampo.
Inutile
ribellarsi al meteo, e il sabato mattina l’acqua copiosa taglierà qualche
esibizione, anche se a conti fatti il pubblico risponderà bene al disagio
atmosferico.
E poi si sa,
nessun avvenimento musicale all’aperto può considerarsi grande senza un bell’acquazzone!
La
popolazione dell’Ippodromo dei Fiori la si può idealmente dividere in tre
categorie, escludendo la parte organizzativa: gli artisti, coloro che desiderano
vederli on stage, e tutti quelli che hanno un pezzo di vita da proporre, che
sia una tastiera od un insieme di dischi; tutti all’interno di un contenitore
musicale che calmiera i valori e fa nascere nuove e spontanee conoscenze.
Il pop
accanto al rock, il prog e gli emergenti, il cantautorato e il classico, e chissà
quante sfumature dimentico!
Proprio di
fronte al settore occupato da MusicArTeam,
ho visto lo stand più bello dal punto di vista estetico, quello che evidenziava
Il Festival
Di Musica Da Camera di Cervo. La
giovane donna che nell’occasione era presente mi confidava di sentirsi un po’ intrusa
in quel contesto… grosso errore, e sono proprio queste le occasioni dove le
etichette e i generi cadono, mentre resta in piedi la passione musicale.
E’ stata una
grande occasione per socializzare, per incontrare radio, emittenti televisive,
persone che si conoscevano da una vita, ma solo virtualmente. Impossibile
utilizzare la parola “amici”, ma in questi casi si può anche osare, e pensare
di esserlo davvero stati almeno per 48 ore.
Seconda
giornata piena di sole, ma il freddo intenso (10 °C per la Liguria significano
di solito “inverno”) ha continuato a dare fastidio.
Più della parole
le immagini… questa l’atmosfera che si respirava la domenica:
La musica di
cui potrei raccontare è quella del palco prog - direzione artistica di MassimoGasperini della Black Widow
-, ma non mi pare opportuno commentare il susseguirsi continuo dei musicisti…
lo spirito nera era certo competitivo. Li elenco come da apparizione:
Flower Flesh, La Coscienza di Zeno, Goad,
Biglietto per l’Inferno.Folk, Delirium, The Trip, Claudio Simonetti Project (1°giornata),
Le Porte non Aperte, G.C.Neri Band, Il
Cerchio d’Oro, Il Tempio delle Clessidre, Garybaldi e Latte e Miele (2°
giornata).
Da
evidenziare alcune esibizioni dimostrative di Gianluca Tagliavini nelle vesti di endorser Yamaha, momenti di
sicuro gradimento per i tanti appassionati del genere prog.
Qualche curiosità,
in ordine sparso.
In primis un
incontro inaspettato, quello con Simon
Luca, artista di spessore che ricordavo in prima pagina su Ciao 2001: portarlo sul palco per un
racconto progettuale era il minimo che potessi fare.
Tanti gli
ospiti, da Pino Sinnone - che non si è esibito con i Trip ma con il
Cerchio d’Oro, nel giorno dell’uscita del loro secondo album - a Giorgio “Fico” Piazza (che con
Tagliavini ha portato un pezzo di PFM al FIM), sino ad arrivare ad Aldo De Scalzi, sul palco con i Latte e
Miele.
Andando a
ruota libera mi viene in mente la piccola sfortuna, strettamente connessa alla professionalità
e alla capacità di reazione di Claudio
Simonetti, per venti minuti impossibilitato nell’utilizzo del proprio
strumento (guasto tecnico), mentre la temperatura calava, attorno alle ore 23.
E poi Joe Vescovi che ritorna a casa sua, accompagnato
dal decano dei promoter/manager, quel Pino
Tuccimei che tutti si augurano di vedere stabilmente al lavoro.
Dal palco
abbiamo anche scoperto qualcosa in più sul nuovo libro di Maurizio Galia, la seconda edizione di “Prog40”, sui progetti
futuri di Paolo Siani e, si spera,
della NuovaIdea, e su quelli di Stefano Lupo Galifi e quindi del ricomposto Museo Rosenbach.
E ancora… la
performance dei Garybaldi dedicata a Bambi
Fossati, e il ricordo di Don Andrea
Gallo, che avrebbe dovuto donare un personale cameo nel nuovo album dei Latte
e Miele.
Mi vengono
spontanee ancora un paio di annotazioni, la prima riguardante la G.C.NeriBand, frustrata da un inconveniente tecnico (banale nella sua
causa) che ne ha momentaneamente interrotto l’esibizione, rinfrancata
parzialmente dal giudizio di uno che se ne intende, il già citato Fico Piazza
che mi confidava: “… questa è la musica
che vorrei suonare!”.
La seconda è
un fatto meramente personale tra me e i Latte Miele, o per meglio dire Alfio Vitanza.
Avevo 16,
era il mio primo concerto. Rimasi colpito da un batterista, che mi appariva
troppo giovane per essere su di un palco così importante, prima dei VDGG. Erano 41 anni che non lo vedevo
suonare dal vivo, ed è stata una grande emozione!
Nessuna
graduatoria di merito… ho apprezzato tutto quello che ho potuto ascoltare,
interagendo con service e musicisti, in totale armonia.
Nell’occasione
ho ritrovato altri frammenti di passato, in fondo bastava ruotare su se stessi
per rendersi conto del verde, della musica proveniente da più parti, dei
profumi tipici degli incontri all’aria aperta. E in quella zona “antica”,
dedicata ad un rock un po’ speciale, c’era il tocco in più che forse non tutti
hanno notato, e che ho in parte trascurato per mancanza di tempo; mi riferisco
al pulmino rosso anni’70 di Yastaradio,
adiacente alla zona mixer, dove era possibile registrare interviste e musiche,
con disponibile un frigo carico di birre.
Ecco… Dalse è un giovane capace di incarnare
quello spirito da festival musicale che è ancora tanto amato, e mi piace
utilizzare il suo “van” come simbolo dello spazio Rock della Fiera
Internazionale della Musica.
Due giorni
di “fatiche serene”… felice di averle vissute.
Gianni Sapia ci racconta qualcosa su (in)quiescenza, deiMathì
Napoli è una delle cose più belle che mi siano capitate nella
vita. Ho vissuto quasi un anno a Napoli, avevo diciotto anni, e per me è stato
un po’ come superare le colonne d’Ercole. Ragazzino della provincia ligure mi
ritrovavo all’improvviso a vivere la dionisiaca realtà napoletana. Il puledro
scaturito dalla mia fantasia poteva finalmente lasciar esplodere la potenza dei
suoi muscoli e cavalcare al galoppo le immense praterie dell’irrazionale, che
quella città mi offriva. Ho conosciuto odori e sensazioni che mai più ho
provato negli anni. Napoli mi ubriacò coi suoi sapori forti, col suo epidermico
fatalismo. Napoli mi stordì col suo gridare, perché a Napoli, se non gridi, dai
l’idea che potresti essere malato. Ma nel contempo mi stupì, coi suoi silenzi,
fatti di fumettistiche espressioni facciali e sguardi ammiccanti. Infine
m’innamorò, con le sue contraddizioni. Miseria e nobiltà. In questo contesto
contraddittorio si inseriscono a buon merito i Mathì, che della napoletanità
rendono la parte più raffinata e delicata, diretta discendente di Partenope, la
sirena più bella del golfo. Ve li presento: Francesco De Simone (voce e
chitarre), Antonio Marano (piano elettrico, glockenspiel, synth), Gennaro
Raggio (chitarra elettrica), Raffaele Manzi (basso) e Gennaro Coppola
(batteria, percussioni). Contraddittorio dicevo. Sì, perché il loro album (in)quiescenza sembra più il frutto di un
bosco fatato di qualche leggenda del nord che il piatto piccante di una cucina
del sud. Ma anche questa è Napoli. L’atmosfera che si respira in tutto l’album
è fatta di odori metafisici, gusto surreale, visioni immaginifiche. L’uomo dei Mathì torna a vivere quel sogno da cui
l’imperante materialismo dell’attualità ci ha allontanato. La musica
sapientemente minimalista accompagna e si fa accompagnare da una poetica
barocca resa armoniosamente dall’amalgamante voce di De Simone. Più che poesia
in musica è musica in poesia, è musicoesia. L’accento è posto sulla dimenticata metafisica,
che viene rinvigorita per essere contrapposta ad un mondo soggiogato da realtà
e materialismo. Il titolo stesso dà quell’idea di ancestrale intimismo
dell’essere umano fatto di inquietudine e attesa.
La poetica dei Mathì
inizia a prendere forma già dal primo pezzo, La Mano di Dio Sulla Mia Schiena, dove l’intrinseco desiderio umano
di conoscenza divina si palesa tra sogno e realtà, tra sensazioni tattili e percezioni
oniriche. Una squisita dolcezza musicale che ci introduce ne L’Abisso e l’altrettanta dolcezza del
canto, si intersecano con la preghiera dei versi, in cui si invoca una pioggia
di “afflati in barlumi di luce”. Con Il Muro viene affrontato il tema della
ricerca. Le parti cantate sono intramezzate da una batteria quasi rock, che
aiuta a sottolineare quella frenetica voglia di scavare per scoprire cosa c’è
aldilà del muro della realtà, fino ad arrivare alla fatalistica conclusione, “bene posso dire ora cosa vi trovai: un vuoto
colmo di Nulla”. La quarta traccia, anzi, la quarta inquiescenza è la mia preferita. La Serpe è un pezzo che gode di una musicalità melodica e tribale
nello stesso tempo, accompagnata da una voce che abbandona la consueta dolcezza
per divenire acida e schizofrenica, lasciando intravedere una peculiarità che,
parere personale, andrebbe sfruttata maggiormente. Nel testo l’uomo tenta di
liberarsi dall’ansia malata che lo sta soffocando, rappresentata dal serpente “avvinghiato al collo molle”, ma, “abbandonate le fedeli catene, maciullerò la
tua testa, dimenticando le mie pene”. La fine dell’album è vicina, sono
rimasti due pezzi. Rileggo quanto scritto finora è mi accorgo di quante volte
ho citato i versi delle canzoni e so perché. Perché sono canzoni fatte di
poesia e la poesia non si spiega, si cita, perché la poesia regala emozioni e
le emozioni non si spiegano, si vivono, ognuno a modo suo. E Segue La Notte non fa che confermare
questa vena poetica, fatta di pennellate che sembrano essere indipendenti tra
loro, ma che disegnano un quadro d’insieme che non lascia scampo e tocca le
corde dell’anima e inizia il viaggio tra mille splendenti pianeti e “tra mille fuochi in emblemi incastonati,
sono io la torcia più ardente, di ansietà infinita e niente più”. E siamo
all’atto conclusivo, dove il surreale raggiunge la sua sublimazione scandito
dal tintinnare del glockenspiel, fino all’ossessivo finale. A Ritmo Di Pioggia ci congeda da un
album coraggioso, perché in un modo devoto al dio Apparire e servo dei
sacerdoti del materialismo, fare della poesia e della metafisica il proprio
marchio di fabbrica, beh, ci vuole coraggio e, cito ancora, “tripudio sarà, le tue mani a ritmo di
pioggia”.
I Mathì
sono:
Francesco De Simone: voce | cori | chitarra elettrica | chitarra acustica Antonio Marano: piano elettrico | glockenspiel | synth Gennaro Raggio: chitarra elettrica Raffaele Manzi:basso Gennaro Coppola: batteria | percussioni
Un appassionato di musica sta ad un “magazzino” carico di
vinili (e CD), come un bimbo sta ad un negozio di giocattoli.
Questa anomala proporzione mi serve per tentare di spiegare
cosa ho provato alcuni giorni fa, trovandomi nei locali di BTF/AMS, label discografica e distributrice, il cui direttore
artistico è Matthias
Sheller.
L’occasione dell’incontro era l’ascolto dell’anteprima del
prossimo album dei Pandora, altro
momento magico.
Difficile di questi tempi riproporre l’antico rito del
vinile, mancano i tempi e i ritmi giusti, anche se sono attimi di cui spesso si
parla, auspicandone il ritorno, salvo poi arrendersi al cospetto della realtà,
fatta di frustrazione da ascolto.
Eppure è accaduto, non con un vinile, ma con un CD, e se il
fascino non è esattamente lo stesso del passato, la partecipazione ad una prova
di ascolto collettiva di un prodotto ancora in fase di assemblaggio (non certo
dal punto di vista musicale), e soprattutto, il silenzio religioso che ha
tenuto bloccati i presenti per 60 minuti, è fatto che lascia il segno.
Uno stereo di qualità, qualche sedia, un fascicolo da
consultare, una matita per gli appunti e… parte la musica, e da quel momento
musicisti e addetti ai lavori smettono di fiatare e si concentrano su qualcosa
che richiede attenzione.
Il primo impatto è sempre un’incognita, anche se l’80% di ciò
che si riceve non cambierà più in fase di commento finale, ma è grande il
rispetto che occorre avere per chi ha dedicato mesi di lavoro ad un progetto
che è un condensato di vita, un mosaico che pezzo dopo pezzo ha preso corpo,
con grandi sacrifici e immensa passione.
Accantono al momento il discorso “Pandora” dopo aver creato,
spero, un minimo di curiosità, e della loro nuova musica parlerò a tempo debito.
L’opportunità descritta mi ha permesso la visita nel mio secondo “paese dei balocchi” - il primo è
quello che raccoglie valanghe di strumenti musicali - e sono stato investito
dall’odore della musica, dalla carta da imballaggio, dalle cover degli album,
da un ambiente che amo profondamente.
Ma al di là delle mie sensazioni e dei miei pruriti
adolescenziali, esiste un aspetto più concreto e professionale che è fornito
dalla parole di Matthias Sheller.
Appassionato di progressive, in origine avvocato, decide
attorno ai 30 anni il grande passo, e armato di coraggio ed intraprendenza
prova a ricercare quello che io chiamo “un modo sicuro per vivere sereni”, e
cioè fare coincidere lavoro e passione. E si tuffa nella “sua” musica.
Ma in questo contenitore malato grave la vita si complica,
qualunque sia lo spazio in cui ci si muove, e l’ambiente musicale non è immune
dalle problematiche sociali e lavorative in genere.
In mezzo a tanto ben di Dio si trova, credo, l’ispirazione, e
a Matthias ho chiesto il suo giudizio oggettivo sull’attuale situazione di un mondo che lui ben conosce.
Manager, lungimirante, schietto, con i piedi per terra,
coraggioso e, come lui stesso dice, con qualche colpo di buona sorte iniziale,
nonostante la riservatezza ha accettato di raccontare qualcosa davanti alla video
camera.
Tratto da MAT2020 di maggio, con annessa l’intervista a Leonardo De Muzio
Il mio servizio taxi da Verona al BLUE NOTE di Milano.
Alle origini della musica dei PINK FLOYD con “dei clienti speciali", la tribute b dei BIG ONE
Di Gian Paolo Ferrari
Lo spettacolo è appena terminato, mi trovo in un angolo del
locale, solitario e felice ad assaporare fino all’ultimo respiro tutte le
emozioni di questo bellissimo concerto al quale ho assistito. Dalla mia postazione
vedo i ragazzi sul palco che, terminata
la loro esibizione, raccolgono orgogliosi i meritati applausi da parte del
pubblico del Blue Note. In questo
miscuglio di sensazioni all’improvviso vado a ritroso con la mente e come nelle
sceneggiature di quei film che iniziano con le immagini dall’epilogo … vi ricordate ad esempio in “THE WOMAN IN RED”?
dove il povero Teddy Pierce, interpretato dal grande Gene Wilder, si ritrova in
accappatoio sul cornicione di un palazzo
al ventesimo piano a chiedersi come avesse fatto a trovarsi in quella
situazione assurda, e proprio da lì parte il racconto che porterà a comprendere la giusta causa, ovvero
la bellissima Kelly Lee Brook. Ecco! Anch’io vorrei fare la stessa cosa,
certamente non di starmene su di un cornicione, sarebbe troppo “pericoloso” per
i miei gusti, mi basta solo raccontarvi la storia che mi ha portato in questa
nevosa domenica di febbraio, al Blue Note Di Milano, più avanti vi parlerò del
concerto … abbiate solo un po’ di pazienza, buona lettura …
IO E I BIG ONE
Ero molto scettico nel
giugno 2005 quando, su invito di un mio carissimo amico, mi recai al
Teatro Romano di Verona. Quella sera in cartellone c’era una tribute band
Floydiana di nome BIGONE.
Mi accomodai nelle prime file, ero
curioso ma nello stesso tempo molto distaccato, per me i Pink Floyd sono sempre stati “intoccabili”, per questo motivo
pensavo di assistere ad una carrellata di cover da parte di qualche simpatico e
volenteroso musicista, ed invece …
niente di tutto questo, le luci si spengono e parte il famoso intro di tastiere
di Shine on you crazy diamond, entra
in scena Leonardo De Muzio con la sua chitarra, rimango incollato alla
poltrona, mi chiedo: “ Non è possibile!
Questa è una base registrata! Sta suonando come Gilmour … lo
stesso tocco, la stessa tecnica … incredibile!”… Questa fu l’emozione che
mi accompagnò per tutta la durata del concerto,
il mio scetticismo scomparve, la mia mente mise in atto un reset totale,
mi lasciai avvolgere da questa intrigante, per me nuova, alchimia musicale,
anche perché la scaletta proposta era molto ricca, dopo Shine, Learning To Fly, Sorrow, Hey You,Another Brick In The
Wall, e l’intera esecuzione del famoso album The Dark Side Of The Moon, per poi chiudere con Wish you Were Here, Confortably Numb e Run Like
Hell. Su Confortably Numb mi resi conto di avere davanti a me il clone
naturale di David Gilmour, mai prima d’ora avevo sentito niente di simile, per non
parlare dell’esecuzione di The Great Gig
InThe Sky, dove la stupenda voce
di Rossana D’Auria non faceva certo rimpiangere la famosa Clare Torry.
Tornai a casa
soddisfatto, e cominciai a ricredermi sul ruolo e sul valore delle tribute
band, un dolce pensiero cominciò a passare nella mia mente: “… se ho tanto amato i Floyd quando ero
adolescente perché non potevo fare lo stesso con i loro nipoti? E poi abitano
nella mia stessa città… quindi…”
Ecco in breve il mio primo incontro con questo gruppo, per
essere sinceri devo dirvi che dopo il Teatro Romano seguirono altri concerti,
vissuti sempre con le stesse emozioni e con la consapevolezza di avere di
fronte una fra le migliori tribute band
Floydiane in circolazione.
Nel 2012 ho avuto la possibilità e il piacere di conoscere i
membri della band, partecipando a tutte le date del Summer Tour 2012, Tour che partito in aprile dal famoso Blue Note di Milano, si
è concluso in ottobre al teatro Obihall di Firenze, dopo avere visitato con
quattro date prestigiose Belgio e Olanda. Qui all’estero c’è stata la
consacrazione e il definitivo riconoscimento di oltre vent’anni di esibizioni
dal vivo. Entusiasmo del pubblico incredibile che in certi momenti ha sfiorato
l’apoteosi. Un’ultima curiosità, qualche anno fa mentre si trovava di passaggio
a Verona, dopo l’uscita del suo libro autobiografico “ INSIDE OUT”, Nick Mason
ha conosciuto personalmente i Big One usando nei loro confronti parole di stima
e di apprezzamento(vedi foto) .
LA STORIA
Il gruppo nasce nel 1990 da un idea del chitarrista Elio
Verga. All’inizio la band ha un repertorio variegato, esegue numerose cover
senza avere ancora una precisa identità, nel repertorio proposto ci sono alcune
canzoni dei Pink Floyd. La svolta avviene con l’arrivo nella band del
bravissimo chitarrista Leonardo De Muzio, da qui ha inizio un percorso di
ricerca nella vasta produzione Floydiana. I Big One attualmente spaziano nei
loro spettacoli dal periodo psichedelico dei primi anni ’70, fino agli album più
recenti. I Big One hanno pubblicato tre importanti dvd che riguardano i loro
spettacoli:
Oppure su
Facebook Big One- The European Pink
Floyd
BIG ONE formazione
attuale: Leonardo De
Muzio (chitarre-voce), Elio Verga (chitarre), Paolo Iemmi (basso-voce)Alex
Iannantuoni (batteria-percussioni), Claudio Pigarelli (tastiere-piano) Stefano
Righetti (tastiere-synth-voce) Debora Farina e Rossana D’Auria (cori), Marco
Scotti (sax).
OTTOBRE 2012,
attraversando gli Appennini nel viaggio di ritorno dopo il concerto di Firenze,
con Alessandro Iannantuoni ed una spruzzatina di neve ….
(Alessandro oltre ad
essere il batterista del gruppo, è anche un grande studioso e conoscitore del
mondo Pink Floyd, molto conosciuto nell’ambiente per essere uno dei più grandi
collezionisti di bootleg, praticamente un archivio umano di informazioni, se
vuoi sapere come avevano suonato i Pink Floyd in quel concerto , in quella data
… chiedi a Alex, lui sa tutto …)
Mi trovo alla guida del furgone con gli strumenti, al mio
fianco Alessandro Iannantuoni, batterista del gruppo preoccupato per le
condizioni meteo che stanno improvvisamente peggiorando, comincia a nevicare!
Cerco di tranquillizzare Alex con qualche battuta ,risalendo alle mie origini
“montanare” ( sono nato in provincia di Sondrio) con calma cerco di fargli
capire che qualche fiocco di neve non poteva certo crearmi problemi. In questi
casi una buona chiacchierata è sempre la formula migliore per distogliere la
mente da chissà quali catastrofi imminenti … quindi dopo svariati argomenti,
cerco di toccare un tasto magico che con Alex
funziona sempre, provate a indovinare …
“Adesso che il tour è
terminato cosa bolle in pentola Alessandro? Se non sbaglio nel 2013 si celebra il
quarantennale di The Dark Side Of The Moon…
“ Hai ragione, è ovvio
che per l’anno prossimo, The Dark sarà il tema principale nei nostri concerti,
ma c’è dell’altro, adesso ci prenderemo qualche giorno di riposo, questo ultimo
periodo è stato molto impegnativo, ultimamente abbiamo girato parecchio,
Olanda, Belgio e questa sera Firenze. Abbiamo un progetto ambizioso in
cantiere, stiamo pensando di portare sul palco Atom Hearth Mother, è da molto
tempo che né parliamo e tutti nel gruppo sono favorevoli, anche perché tu che
ci conosci bene sai che il nostro dna è legato ai Pink Floyd di quegli anni,
quindi qualche giorno di relax e poi … in sala prove.
Scusa Alex, ma in Atom Heart
Mother c’è tanto di orchestra con i cori, non mi vorrai dire che farete
altrettanto!
Oh Giampy! Guarda che i P.F. nei primi anni
’70 mica erano già diventati famosi e miliardari! In quel periodo mica potevano
permettersi un’orchestra ad ogni
concerto, se non ricordo male credo che Atom
venne rappresentata con cori e orchestra probabilmente una ventina di volte, 17
date in Europa e 3 in USA. Ad ogni modo noi la rifaremo originale come la
suonavano loro, senza questo supporto, abbiamo molto materiale a disposizione,
per noi questa è la vera fonte storica che vogliamo rispettare, la nostra
Bibbia! Comunque non ti preoccupare, ti chiamerò in sala prove quando sarà il
momento, così potrai sentire in
anteprima questo nuovo progetto e dire la tua … sapientone …
Con questi pensieri e queste chiacchiere interessanti
arrivammo sani e salvi a Bologna, il peggio era passato, ora il ritorno a
Verona diventava meno problematico e stressante. Ovvio che nei mesi a venire cogliendo l’invito di Alex, mi recai qualche
volta in sala prove. Ebbi nell’immediato la consapevolezza che i ragazzi
stavano preparando qualcosa di veramente speciale, adesso bisognava attendere
la data del debutto ufficiale che sarebbe avvenuto in un altro posto molto ma molto speciale … quindi appuntamento a
domenica 24 febbraio al BLUE NOTE di Milano …
La musica dei PINK
FLOYD batte il derby Inter-Milan con un secco 2 a 0, marcatori:
nel primo tempo” The Dark Side of The Moon”, nel secondo “Atom Heart Mother”
La formazione scesa in campo è la seguente: Leo De
Muzio(chitarre-voce), Paolo Iemmi(basso-voce), Alex Iannantuoni (batteria),
Stefano Righetti (tastiere-synth-voce) ,Gabriele Marangoni (tastiere-piano),
Marco Scotti (sax), Debora Farina e Rossana D’Auria (cori). (Elio Verga e
Claudio Pigarelli assenti giustificati)
Confesso che avevo
qualche timore sull’esito in termini di presenze per questo concerto, troppe le
coincidenze avverse: il derby di Milano, le elezioni politiche e per finire le
condizioni meteo non certo delle migliori, un mix di dettagli che potevano far
pensare ad una classica serata in pantofole della serie … mi guardo la partita
in tv (70/80000 erano già allo stadio) un occhiatina ai primi commenti politici
ed alla finestra per vedere chi poteva essere quel disgraziato che con questo
tempaccio aveva avuto la brillante idea di uscire, e invece non avevo
considerato che ... Il Blue Note ha un fascino
unico e particolare, il pubblico del Blue Note come già detto è
speciale, The Dark Side Of The Moon è un
evento al quale non si può rinunciare, quindi già dalle 20 il locale era quasi tutto
esaurito in ogni ordine di posti, cosicchè tutti i miei pensieri negativi si
sciolsero come neve al sole (volendo restare in tema). Alle 21 puntuali, i Big
One salgono Sul Palco, Paolo Iemmi frontman del gruppo presenta lo spettacolo
con queste semplici parole: “Questa sera celebriamo i 40 anni di un grande
capolavoro, The Dark Side Of The Moon quindi nella prima parte suoneremo per
intero tutti i brani dell’album, nella
seconda parte che abbiamo chiamato “The
Early Years”, ci saranno delle sorprese che noi tutti speriamo vi siano
gradite, andremo un po’ indietro nel tempo … buon ascolto”
Il pubblico applaude,
e poi … si chiudono gli occhi … si prende in mano il prezioso vinile custodito con cura, lo si
mette sul piatto e … parte la magia ... Speak To Me,
Breathe, On The Run, Time, Breathe reprise, The
Great Gig In The Sky,Money, Usand
Them, Any Colour You Like , Brain Damage, Eclipse … Credo
non ci sia bisogno di aggiungere altro, la sensazione è quella che vi ho
descritto, il nostro vinile ha incantato anche questa volta, i ragazzi eseguono questi famosi brani con una
sicurezza quasi disarmante, questa suite affascinante di The Dark è da anni il
manifesto musicale D.O.C. di questa tribute band. Il diamante della serata come
sempre resta l’esibizione solista di Rossana D’Auria in The Great Gig In The Sky che fa alzare in piedi il pubblico facendolo
esplodere in un fragoroso applauso. (continuo a ripeterlo convinto,
nulla da invidiare a Clare Torry, Rossana è su questi livelli) Ottimi gli
interventi al sax di Marco Scotti nei brani Money
e Us And Them, in chiusura prende la
scena LeonardoDe Muzio con la sua
chitarra , in scaletta Shine On You Crazy
Diamond, Wish You Were Here e l’immancabile
assolo Gilmouriano di Confortably Numb.
Si arriva così dopo
una breve pausa alla seconda parte dello spettacolo, la più attesa e
affascinante, viste le premesse, infatti arriva “spaziale” con le sue voci
distorte, segnali morse,
l’inconfondibile Astronomy Domine,
pezzo trascinante che ci fa respirare in pieno le atmosfere care ad un nostro
vecchio caro amico: Syd Barrett. Da Syd passiamo ad uno dei primi pezzi scrittida David Gilmour: Fat Old Sun, e qui ancora una volta
nel lunghissimo assolo finale Leonardo (o come viene chiamato
affettuosamente dagli amici Leo Gilmour) sbalordisce i presenti con la sua
indiscussa abilità. L’atmosfera del Blue Note si scalda, il pubblico si sente
pienamente coinvolto dall’atmosfera particolare che si sta respirando, sembra
quasi abbia sentore che sta per succedere qualcosa di importante. Paolo Iemmi con
il suo immancabile sorriso, presenta così il brano a venire: “Credo che il
prossimo pezzo non abbia bisogno di presentazioni, noi cercheremo di fare del
nostro meglio, buon ascolto a tutti voi e buona fortuna per noi !” Ci siamo!
Tante ore di studio in sala prove stanno per essere riversate su questo palco, inizia Atom
Heart Mother! Siamo giunti alle
origini dei Pink Floyd! Parte subito un’ ovazione che si spegne nell’immediato
per lasciare spazio alla musica, sembra quasi che si voglia portare rispetto a
questo evento, io mi sento emozionato, per ovvie ragioni anagrafiche non ho mai
potuto vedere un concerto dei Pink Floyd inizio anni ’70, mi sono sempre dovuto documentare con articoli dell’epoca o
con la lettura di qualche libro autobiografico, e da qui lasciarmi trasportare
dalla fantasia e dall’immaginazione. Finalmente era arrivato il momento! La
famosa mucca frisona Lulubelle III stava per conquistare il Blue Note! Dal
punto di vista musicale la suite di Atom
Hearth Mother è molto complessa, è un brano strumentale strutturato in sei
movimenti, ognuno conformato su un tema diverso che rimanda sempre a quello
principale. I Big One dall’iniziale Father’s
Shout e a seguire da Breast Milk
danno subito la netta impressione di avere scelto la tattica giusta, traspare
netta la pura essenza dell’anima Floydiana nella loro interpretazione, sono
ormai padroni della scena, e questo si nota dai loro sguardi complici di intesa . Nella
parte più complessa Mother Fore , Leonardo
De Muzio e Paolo Iemmi ci fanno capire come Gilmour e Wright mediante voci
piene di effetti, si sostituivano ai cori e relativa orchestra, il pubblico
presente accenna ancora a qualche timido applauso, ma sembra quasi che non voglia esporsi troppo per non spezzare questo
incantesimo. Dai sorrisi e dagli sguardi d’intesa che i ragazzi si scambiano sul
palco capisco che tutto sta procedendo per il giusto verso, infatti Funky Dug, Mind Your Throats Please e Remergence
chiudono la suite in maniera
entusiasmante, lasciando finalmente a tutti i presenti (che nel frattempo si sono alzati in piedi) la
possibilità di lasciarsi andare in un caloroso applauso liberatorio.
Anche i membri del gruppo sul palco, coinvolti
da questi spontanei e sinceri attestati di stima, si congratulano reciprocamente
con una stretta di mano. Ma il nostro viaggio non è ancora terminato, dopo la
consueta presentazione arrivano come in un arcobaleno Floydiano: Embryo, Cymbaline e per finire … Echoes ! Credo che non serva aggiungere
altro, non vorrei cadere nella solita banale retorica, lo spettacolo offerto da
questa tribute band ancora una volta è stato all’altezza della sua riconosciuta fama e bravura. Io, come vi ho
anticipato all’inizio dell’articolo, ho preferito restarmene nel mio angolo
solitario, lasciandomi avvolgere da tutto questo caldo entusiasmo che mi ha
fatto riflettere e ricordare un pensiero scritto da Cesare Rizzi nell’introduzione
del suo libro. Penso che questo possa concludere nei migliori dei modi questa
recensione, rendendo più chiara
l’essenza di questa serata indimenticabile “
Dei Pink Floyd si è detto tutto, e si continua a farlo. Una cosa però non è mai
stata sottolineata a dovere: l’universalità della loro musica, la mancanza di
confini del loro messaggio, il fatto che dovunque al mondo, senza restrizioni
generazionali, né di cultura o linguaggio, i Pink Floyd hanno lasciato
qualcosa. Un messaggio in un esperanto finalmente comprensibile a tutti. Una
musica che negli anni è stata usata dappertutto e per tutto, per feste
psichedeliche, grandi raduni rock, film, documentari, sottofondi ambientali,
momenti romantici … Uno strano alone di suggestione fa sì che ogni qualvolta
suonino i Floyd il pensiero vaghi irrimediabilmente tra le stelle, il mondo sia
un po’ più a portata di mano, la vita diventi meno frenetica, i sogni rimangano
reali un po’ più a lungo …”
L’intervista
a Leonardo De Muzio … il nipote acquisito di David Gilmour.
Bob Ezrin, produttore
di “The Wall” ha detto: “ possiamo dare a Dave un ukulele e lo farà suonare
come uno Stradivari”: stiamo parlando di David Gilmour il chitarrista dei Pink
Floyd, un vero architetto del suono che con la sua Stratocaster “total Black”
ha entusiasmato e ispirato generazioni di chitarristi. Nei Big One Leonardo De
Muzio, con la sua indiscutibile bravura, viene definito il Gilmour italiano per
eccellenza; dopo il concerto del Blue Note sono riuscito a scambiare qualche
parola con lui.. ecco qui la nostra conversazione …
Caro Leo, mi sembra che
anche questa sera nonostante le avversità ci sia stato l’ennesimo successo,
direi che siete stati perfetti!
Beh!Non
esageriamo, diciamo che abbiamo cercato di fare del nostro meglio, mi rendo
conto però che questo concerto, specialmente nella seconda parte, ha regalato
al pubblico, ma anche a noi che eravamo sul palco, delle forti emozioni.
Era un debutto
importante, con una scaletta di brani molto ambiziosa e affascinante, credo che
nessun’altra tribute band abbia proposto niente di simile, come mai questa
scelta?
Il nostro
repertorio abbraccia tutta la produzione discografica dei Pink Floyd, il nostro
DNA però si rispecchia maggiormente con l’immagine dei primi anni 70, siamo
legati ai Pink più psichedelici e sperimentali per intenderci, ecco spiegato il
motivo della scelta. Per quanto riguarda la scaletta, ti confesso che era da
molto tempo che pensavamo di suonare Atom
Hearth Mother con altre canzoni di quel periodo, lo stesso pubblico che
viene ad assistere ai nostri concerti ce lo aveva richiesto molte volte, c’è
voluto un po’ di tempo ma alla fine ci siamo riusciti. Il debutto era
importante, e non potevamo scegliere una location migliore per rendere onore a
questa musica. Il Blue Note è qualcosa di veramente unico e inimitabile, mi
sembra inutile ricordare quali grandi nomi del jazz abbiano calcato il palco di
questo locale; le persone che vengono al Blue Note sono speciali perché chi
entra vuole solo ascoltare musica dal vivo, vuole il contatto musicale con
l’artista. Qui gli effetti speciali contano poco, qui dentro non devi incantare,
ma emozionare, che è diverso. Se tu ti presenti con la musica dei Pink Floyd
devi sapere portare rispetto nei confronti di quello che stai suonando, il
pubblico che è davanti a te conosce ogni sfumatura delle canzoni, quindi da te
vuole solo rivivere le stesse emozioni, essere avvolto dalle stesse atmosfere.
Questa sera abbiamo cercato di trasmettere tutto questo e mi sembra che ci
siamo riusciti abbastanza bene, tu cosa ne pensi?
Se devo essere sincero c’è stato un attimo in
cui mi sono guardato attorno e mi è sembrato di tornare indietro nel tempo, hai
presente l’Ufo Club, il famoso locale underground londinese dove i Pink iniziarono ad esibirsi? Si insomma …
restando in tema musicale ti posso dire
…”Chiamale se vuoi … EMOZIONI”; a parte le battute, vorrei chiederti… quando
hai iniziato a suonare la chitarra e soprattutto quando è nata la tua passione
artistica-musicale nei confronti dei Pink Floyd?
Ti
premetto che io sono un autodidatta della chitarra, dall’inizio della mia
passione ormai sono passati più di cinque lustri … sembra ieri. Ricordo che ad
un certo punto del mio percorso musicale mi sono trovato a dover scegliere tra
Dire Straits e Pink Floyd. Beh, La mia scelta è caduta sui Floyd perché rispecchiavano in maniera
incisiva la mia anima, il mio modo di
essere.
Se non erro possiedi
una strumentazione quasi identica a quella di Gilmour, quali sono le chitarre
che usi nei tuoi concerti?
Magari
poter avere tutta la sua strumentazione! Direi che con la mia riesco ad
avvicinarmi molto a quel sound inconfondibile, ma replicare la strumentazione
di un musicista che suona da più di 40anni credo sia pressoché impossibile. Di solito cambio le
chitarre in base al brano che devo eseguire, per cui si susseguono varie
STRATOCASTER, TELECASTER, LES PAUL, LAP
STEEL e acustiche. Tutto al servizio dei brani da suonare.
Per la tua indiscussa
bravura e per la tua voce molto simile a quella di David, molte persone ti
chiamano “LEO GILMOUR”, ti lusinga questo paragone con il famoso chitarrista
dei Pink Floyd oppure ti infastidisce, conoscendo il tuo carattere molto
riservato.
Certo, mi
lusinga moltissimo, essere associato ad una persona di quel calibro credo
farebbe piacere a chiunque, anche se un po’ il paragone mi imbarazza …
Pink Floyd. Solo a
pronunciarne il nome vengono i brividi, alla fine di ogni concerto riservi
sempre delle parole di ringraziamento nei loro confronti per avere scritto
della musica che resterà immortale. Avverti sul palco questa grande responsabilità
nell’eseguire le loro canzoni.
Ho molto rispetto verso le cose che faccio. La
musica dei P.F. è senza tempo, mentre suono avverto una forte responsabilità
nell’eseguire i brani che loro hanno
scritto, e vedere a fine concerto la gente estasiata mi fa percepire che il
compito è riuscito … diciamo che mi sento come se avessi contribuito anch’io a
scrivere quella musica.
Simon Reynolds, uno dei
più autorevoli critici musicali contemporanei ha scritto nel suo ultimo libro –RETROMANIA-
: “L’era pop in cui
viviamo è impazzita, gruppi che si riformano, reunion tour, album tributo e
cofanetti ecc …” . E se il pericolo più
serio per il futuro della nostra cultura musicale fosse … il passato? Un tempo
il pop ribolliva di energia vitale, perché non sappiamo più essere originali?
Cosa succederà quando esauriremo il passato a cui attingere? Riusciremo a
emanciparci e a produrre qualcosa di nuovo?” Ti chiedo Leo: le tribute band
sono una componente di questo fenomeno, molto spesso si sentono giudizi
negativi in merito a queste, o meglio qualcuno le definisce un “ mercimonio “
sulla musica di altri. Tu cosa ne pensi?
A dire il
vero io la vedo un po’ diversamente: portare in giro una musica come quella dei
Floyd, è come farlo con la musica classica, e mi spiego meglio: Paganini,
Mozart, Vivaldi, Verdi, Toscanini ... non esistono più ormai, nonostante ciò la
loro musica continua a vivere grazie ai musicisti contemporanei che la
propongono e la fanno conoscere in tutto
il mondo. Anziché definirlo mercimonio parlerei piuttosto di opportunità,
soprattutto per i più giovani di poter conoscere ed apprezzare certa musica,
grazie a chi intende prendersi l’onere di farlo, aggiungo che qui a Verona ogni
anno si svolge il festival della musica lirica, e proprio quest’anno si celebra
il centenario di questa importante manifestazione, poter assistere a spettacoli
quali: Aida, Nabucco, La Traviata, Il Trovatore, Rigoletto del grande Giuseppe
Verdi non sia altro che offrire a milioni di appassionati la possibilità di
rivivere emozioni uniche e irripetibili in una cornice fantastica quale
l’Arena. Credo che tutto questo non si possa definire mercimonio. La musica dei
Pink Floyd, con tutto il rispetto, si può considerare immortale e noi con la
nostra passione e sacrificio, cerchiamo di offrirla a tutte quelle persone che
con affetto ci seguono nei nostri concerti. E’ capitato ancora alla fine di uno
spettacolo di essere avvicinati da qualche adolescente che ti dice “ascolto i Pink Floyd perché il mio papà a
casa ha tutti i loro dischi, non ho mai potuto vederli dal vivo se non in
qualche filmato. Per questo sono venuto a vedervi questa sera con i miei amici,
vi ringrazio per le grandi emozioni che mi avete regalato, adesso ho le idee
molto più chiare e capisco perché mio padre li ami così tanto!” secondo te
questo si può definire mercimonio?
Ok, sei stato
chiarissimo. Dopo l’ultimo tour che ha toccato le più importanti città
italiane, tour che ha fatto tappa anche in Belgio e Olanda, riscuotendo un
successo strepitoso, mi sai elencare quali differenze hai potuto cogliere fra
queste due realtà e qual è in
particolare un ricordo che ti è rimasto nel cuore?
Suonare
per me è sempre stata un’opportunità meravigliosa a prescindere dal luogo.
Certo, suonare all’estero è stata un esperienza nuova. Rendersi conto di come
la musica unisce i popoli, a prescindere dalla razza, una lingua diversa … sicuramente è un esperienza che spero si
possa ripetere. Fra i tanti ricordi uno
dei più belli senza ombra di dubbio è stato condividere con il gruppo queste
emozioni.
Secondo il tuo parere
qual è il segreto del vostro successo e in quale aspetto i Big One devono
ancora migliorare?
Non c’è
un segreto in particolare, credo che il pubblico che ci segue abbia capito
quale sia tutto l’amore e la passione che noi riversiamo in quello che stiamo
facendo, avendo molto rispetto delle intenzioni di chi ha composto la musica
che stiamo suonando, poi per quanto riguarda il migliorare penso che si cerchi
sempre, come nel nostro vivere quotidiano,
di farlo. Comunque credo che i Big One nel corso di questi ultimi anni,(
e lo dico con molta umiltà )siano cresciuti molto a livello professionale, e di
questo sono molto orgoglioso.
C’è una canzone alla
quale sei più legato e che in assoluto
ami suonare maggiormente?
A dire il
vero non esiste” una canzone “o “la canzone “che amo suonare maggiormente, a
seconda del periodo ne preferisco una o un’altra, dipende sempre molto dal mio
stato d’animo, dal momento che sto vivendo, la verità è che è molto difficile
per me stilare un ordine di preferenze sulle canzoni dei P.Floyd … mi piacciono
tutte!
Credo non sia facile
svolgere un’ attività professionale per tutta la settimana per poi calarsi nei
panni di un musicista acclamato o viceversa. Come fai a gestire tutto questo?
Non so …
mi piace pensare di avere due personalità: una lavorativa/quotidiana ed una
artistica/musicale. Mi definisco un musicista che svolge un lavoro ordinario
per poter vivere … ( sorriso…).
Progetti futuri per te
e i Big One … hai qualche desiderio nascosto?
Progetti
futuri? Suonare, suonare, suonare. Ormai è diventata una necessità, passano gli
anni ma non posso farne a meno, desidero solo suonare. Mi auguro di tornare
all’estero perché ho avvertito nella gente la voglia di ascoltare la musica dei
Pink Floyd, soprattutto la produzione meno recente, che è quella che noi
preferiamo, quindi se devo esprimere un desiderio mi piacerebbe ritornare in
Belgio e Olanda, nei loro locali che assomigliano molto come caratteristica al
famoso Ufo Club che avevi menzionato prima.
Ok Leo, ti ringrazio
nuovamente, ci vediamo al prossimo concerto.
Ciao
Giampy, sono io che ti devo ringraziare per tutto quello che fai, con passione
e tanta professionalità, vorrei cogliere questa occasione per mandare un saluto
a tutti i lettori di Mat2020 e soprattutto a tutte le tribute band che come
noi, con enormi sacrifici girano l’Italia nel segno della musica. A proposito,
dobbiamo caricare gli strumenti sul furgone se vogliamo ritornare a casa, cosa
ne pensi? Andiamo?
P.S. per la cronaca nel
viaggio di ritorno prima di Bergamo ci siamo imbattuti in una bufera di neve
che ha rallentato, non di poco, il nostro rientro a Verona avvenuto verso le
ore 4. Quasi tutti alle 8,30 dovevano presentarsi sul posto di lavoro , è stata
dura ma anche per questa volta ce
l’abbiamo fatta, per una serata così ne valeva proprio la pena … frammenti di
vita di una tribute band … alla prossima, il vostro inviato.
MAT2020 incontra Sonja Kristina,
in occasione dell’uscita del CD/DVD
“LiveAtmosphere”. I Curved
Air sono più vivi che mai…
La leggendaria band Inglese “Curved Air” pubblica il CD/DVD “Live
Atmosphere”
Tornati insieme nel 2008 - dopo un periodo
sabbatico di 18 anni - con diversi concerti e la presenza in numerosi festival
(Gran Bretagna, Giappone, Italia, Malta, Germania, Portogallo, Olanda e
Belgio), i Curved Air continuano a entusiasmare una massa sempre crescente di
fan vecchi e nuovi. I loro mix sperimentali di temi classici, suoni elettronici,
energia pop/rock e belle canzoni senza tempo, vengono eseguiti con calore e
passione oltre che con una musicalità straordinaria.
Il 12 novembre 2012, con grande entusiasmo da parte dei loro fan in tutto il
mondo, i Curved Air hanno presentato
ufficialmente il nuovo CD / DVD dal titolo “Live Atmosphere”,canzoni di rivoluzione, pazzia,
sconfitta, desiderio e fantasmi: una compilation unica di canzoni dei Curved Air interpretate in modo vitale e “contemporaneo”.
“Live Atmosphere” include nuove e
rivisitateversioni di molti brani
classici del loro repertorio dei primi anni '70, tra cui le hit "It Happened Today" e "Backstreet Luv", così come
alcuni brani preferiti dai fan come "Propositions",
"Phantasmagoria" e "Stretch". Prodotto da Marvin Ayres, l’album mette in mostra
sia i nuovi membri della band che gli “originali”, e viene fornito con un DVD
bonus caratterizzato da un collage visivo d’atmosfera.
La band, che vede ancora Sonja Kristina
come frontwoman, ha selezionato i brani dopo aver effettuato una registrazione
multitraccia dell'intera prima tappa del “Live
AtmosphereWorld Tour”.
Lo scambio di battute con Sonja…
A.E. Quali sono le maggiori differenze tra la musica dei Curved Air
realizzata 40 anni fa e quella attuale?
S.K. Florian
Pilkington Miksa, il primo batterista dei Curved Air, suona meglio che mai. I
nuovi musicisti, il chitarrista Kit Morgan, il bassista Chris Harris, il
tastierista Robert Norton e il violinista Paul Sax, hanno molte influenze in
più rispetto a quelle degli autori originali, e molti anni di esperienza
supplementare come musicisti e performers. Robert e Paul, da giovani, sono
stati entrambi ispirati in buona parte dai primi album dei Curved Air. Tutti
sono in grado di apprezzare lo spirito e la libertà dentro la nostra musica e
farla vivere attraverso lo sviluppo dei modelli originali. Attualmente stiamo
creando nuove canzoni che daranno la misura delle possibilità e dell’elasticità
di questi artisti, che si esprimeranno tra l’area progressiva e quella
contemporanea.
A.E. Cosa significa per te stare su di un palco ed interagire con il
pubblico?
S.K.Mi
piace far sognare, vedere immagini, ascoltare le storie e sentire
l'eccitazione. La gioia del pubblico e l’ apprezzamento per la nostra musica sono
una cura per l’anima.
A.E.Che cosa hai fatto nei 18 anni
in cui i Curved Air si sono… riposati?
S.K.Ho gioito nel
condividere il successo internazionale di Stewart con i Police (Stewart Copeland, ex
marito di Sonja) e nel fare la madre dei
nostri figli. Mi sono stati offerti ruoli
teatrali in commedie e musical, e mi sono cimentata con la scrittura e
la registrazione - sviluppo di nuovo
materiale con formazioni diverse: in primo luogo “Escape”, nel 1977, che mi ha
condotto alla pubblicazione del mio primo album da solista, “Sonja Kristina”,
nel 1980; poi “Tunis”, nel 1983, mi ha portato a girare il Regno Unito con materiale vecchio e nuovo.
Darryl Way ed io (Curved Air 84), abbiamo
pubblicato un singolo, “Renegade”, e William Orbit ha mixato e prodotto una
versione di “Walk on By” che ho pubblicato nell’ '83. Durante i miei anni felici
con la Acid Folk, tra l’89 e il 96, ho pubblicato due album, "Songs from the Folk Acid e “Harmonics
of Love". Dalla fine degli anni '90 ho studiato canto e “pulizia del suono”,
insegnando poi a vocalist impegnati in fase “studio”, e ho lavorato per sei
anni in una università, preparando alla performance gli studenti aspiranti
artisti. Ho anche ottenuto un Master in “Performing Arts”.
Poi ho raccolto e registrato un po’ di canzoni jazz
e alcune usate nei musical, approcciandole con il mio personale stile. Ho chiesto
al compositore / produttore Marvin Ayres, se volesse aggiungere un po’ di “atmosfera”, con il suo
stile che lo caratterizza, e abbiamo così collaborato a questo progetto, e poi lui
ha prodotto materiale che abbiamo creato insieme come “MASK”, tra il 2000 e il
2008. Abbiamo anche registrato due album, "Heavy
Petal, the Tenebrous Odyssey and Jack and Virgina” (2005), e “
Technopia” (2010).
I Curved Air continuano a beneficiare del talento di
Marvin. Lui ha suonato e prodotto le belle e nuove rivisitazioni delle mie
canzoni "Elfin Boy ” e “Melinda More orLess”, che sono
state incluse nella versione del 2008 di
Curved Air “Reborn”, (prodotto da Darryl Way). Ha poi prodotto “Live
Atmosphere”, l’uscita del 2012 dei Curved Air, registrato durante il “Live
Atmosphere Tour 2011 – 12”. La sua produzione cattura la brillantezza della
nostra band in concerto e sono molto orgogliosa di questo album. Ha anche
rimasterizzato la vecchia registrazione della BBC, “Airwaves”, pubblicata dalla
Cleopatra Records negli Stati Uniti, nel 2012.
A.E.So di una tua partecipazione ad
un album di Sophya Bacini, prodotto dalla BWR. Puoi dirmi qualcosa in
proposito?
S.K. Sophia mi aveva scritto per proporre una sorta di collaborazione,
dicendomi anche che le sarebbe piaciuto scrivere una canzone per me. Dopo circa
diciotto mesi mi ha inviato il brano, un dialogo tra Eva e il Serpente che è risultato
molto suggestivo. Ho registrato la voce nello studio di Marvin Ayres, a Londra,
e l’ho inviato a Sophya. Sophya è rimasta
molto soddisfatta del mio lavoro, e questo mi ha resa felice.
A.E. Ultimamente ti sei esibita assieme a Jerry Cutillo. Che tipo di
rapporto ti lega agli artisti italiani?
S.K.Nel
2002 sono stato invitata a registrare in Italia da Arturo Stalteri e Fabio Liberatori.
Ho scritto i testi per due canzoni del loro album, “The Assimov Assemby”,ed
è stato un privilegio “entrare” nella loro musica.
I Curved Air hanno instaurato un buon rapporto con
l’Italia, sin dagli anni ’70.
La nostra ultima performance risale a “Stazione
Birra”, a Roma nel 2008, e spero di partecipare a qualche a festival italiano
nel corso del 2013.
Jerry ed io abbiamo avuto modo di conoscerci su facebook.
Mi aveva chiesto un anno fa di registrare la sua canzone “Baba Gaia”… non è
stato possibile, ma ho accettato il suo invito a partecipare al concerto all’ X
Roads, a Roma, con gli OAK, il giorno di Halloween, nel 2012.
E 'stato un incontro molto positivo. Jerry ha una grande energia che incontra
perfettamente il rock progressivo. Speriamo di suonare ancora insieme in
futuro. Nell’occasione ho avuto anche il grande piacere di incontrare la bella
Sophya Baccini, che ci ha raggiunto sul palco per il bis.
A.E. Che cosa hai pianificato per il tuo futuro e per quello dei Curved
AIR?
S.K. Un tour
mondiale con i Curved Air, e la registrazione di un sacco di materiale nuovo.
Note sui
Curved Air
Considerati (secondo
AllMusic) "uno dei maggiori risultati conseguiti fra tutte le band
concentrate nell'esplosione prog-Britannica della fine anni '60", I Curved
Air sono un gruppo progressive rock pionieristico, costituito da musicisti
provenienti da esperienze artistiche miste.
Sono famosi per le
loro indimenticabili performance dal vivo e per la loro musica “Art Rock”, e
anche per le impronte quasi classiche di Terry Riley agganciate al violino
bellissimo e demoniaco, combinate con avventurosi sintetizzatori elettronici e
intessute con brillanti trame di chitarra, ricamate in modo magico e
ipnotizzante dalla presenza subliminale ed esotica di una cantante solista
unica, Sonja Kristina.
Insieme con gli High
Tide e gli East of Eden, i Curved Air sono stati uno dei gruppi rock dopo gli
It's A Beautiful Day e gli United States of America, ad usare un violino
elettrico esplorato in modo “alternativo” dall'eccellente Darryl Way e ora dal
dinamico Paul Sax. L'originario tastierista/chitarrista Francis Monkman è stato
il precursore del futuro genere “elettronico” e dell'improvvisazione
d'ambiente. Robert Norton ha ereditato questo modello sonoro e lui stesso
intesse paesaggi sonori eterei e ne espande i confini verso altri orizzonti,
mentre Florian Pilkington Miksa, già allora come oggi alla batteria - con la
maestria di Chris Harris al basso - fornisce l'impulso ritmico espressivo che è
la firma dei Curved Air.
I Curved Air hanno
pubblicato otto album in studio e, pur appartenendo agli innovatori del
“progressive”, sono stati salutati come pop star quando il loro singolo, la
sensuale "Back Street Luv", è entrato nella Top 5 nel 1971.
La line-up di “Live
Atmosphere”, composta da Sonja Kristina, Florian Pilkington-Miksa, Kit Morgan,
Chris Harris Robert Norton e Paul Sax, è insieme in tour dal 2009.
Sonja
Kristina
Prima dei Curved Air,
durante la sua adolescenza, l'attrice e cantante Sonja Kristina si esibiva nei
folk club britannici.
Nel 1968 ha
interpretato il ruolo di "Chrissy" in “Hair”, il radicale Tribal-Rock
Musical, quando è stato messo in scena al Teatro Shaftesbury di Londra. Come
cantante solista e paroliera dei Curved Air, ha superato la media delle top
vocalist femminili britanniche, diventando la prima cantante britannica leader
di una rock band conquistando il cuore di una generazione di giovani uomini,
ragazzi e di intenditori di musica.