mercoledì 5 dicembre 2012

Elias Nardi Quartet-The Tarot Album


The Tarot Album è il secondo disco dell’Elias Nardi Quartet.
Ho provato a scavare, a trovare qualche riposta che gentilmente Elias mi ha fornito.
L’incontro con la sua musica è stato per me una sorpresa.
Difficile trovare una similare composizione strumentistica, che di base è rappresentata dall’ oud, il fretless bass, tastiere e percussioni.
Inusuale l’utilizzo dell’oud, il liuto arabo di cui Elias racconta l’importanza, che trascende il mero fatto musicale.
Diciotto tracce che utilizzano il doppio binario, digitale e analogico (è previsto un doppio vinile) per raccontare un mondo pieno di fascino e di simboli, quello dei tarocchi, per l’esattezza degli Arcani Maggiori.
La spina dorsale è il binomio “oud - fretless”, Nardi-La Manna, ovvero la continuità tra il precedente Orange Tree e The Tarot Album, e su questo muro portante si costruisce un mondo da favola, fatto di magia, di suoni mediterranei, di trame intimistiche di atmosfere sognanti.
Nello scambio di battute a seguire Elias si sofferma su di un rito, quello del vinile, fatto di tempo necessario per ”preparare la musica”, di condivisione, di  pause necessarie per assorbire i suoni e i loro significati.
Anche un disco strumentale parla, così come il silenzio comunica, e quante storie si potrebbero raccontare, inventare e modellare, descrivendo la luna, il sole, la morte, la giustizia… il mondo intero? La parola si somma all’immagine musicale, e i suggerimenti che derivano dai “trionfi” innescano un disco concettuale di rara efficacia.
Impossibile dare una definizione chiara della musica di questo ensemble di rango: etnica? Certamente sì. Classica? Anche. Sperimentale… poetica… innovativa? Tutto affermativo.
Il consiglio è di lasciarsi andare, immaginare i simboli noti e godere della musica che si diffonde nell’aria… e a quel punto, anche ad occhi chiusi, i tarocchi ci passeranno davanti, stimolando riflessioni che forse avranno scarsa connessione con la previsione del futuro, ma ci spingeranno verso un naturale viaggio tra il tempo e lo spazio, e forse, a quel punto, parte degli obiettivi di questa innovativa band saranno stati  raggiunti.




L’INTERVISTA

Qualche parola su Elias Nardi. Come nasce  e come si evolve la tua passione musicale?

Sono cresciuto in una famiglia dove si è sempre ascoltata musica, ma mi sono avvicinato relativamente tardi ad uno strumento, avevo circa 15 anni e ho cominciato con il basso elettrico e la chitarra cercando di imitare con scarsi risultati qualche mio mito del rock. Dopo pochi anni ed un po’ di studi jazz ho deciso di procurarmi un contrabbasso e superato lo stato confusionale iniziale ("ma chi me l'ha fatto fare?") nel vedermi accanto quel "mobile" con una tastiera nera ed indecifrabile, ho deciso di intraprendere anche un percorso di studi classici, non riuscendo poi ad ultimarlo in quanto nel frattempo l'oud era entrato prepotentemente nella mia vita. Ovviamente ciò mi ha portato a conoscere e a studiare la musica araba per un certo periodo di tempo. Dietro tutto questo peregrinare in realtà c'è sempre stato il bisogno e il desiderio di dedicarmi solo a qualcosa che fosse musicalmente mio, a creare la mia musica, ad esprimermi in tal senso attraverso l'esplorazione di diversi mondi sonori.

Quali sono i punti di contatto con il primo album, “Orange Tree”?

The Tarot Album e OrangeTree sono due dischi molto differenti nel suono, nell'approccio e nella direzione. The Tarot Album ha un suono molto più moderno e verticale rispetto ad OrangeTree, che era più vicino ad un sound folk, quindi più orizzontale, anche se comunque con spunti sperimentali già marcati. Per arrivare a questo cambiamento la formazione è stata rivoluzionata per il 50%, sostituendo uno strumento melodico come la Nyckelharpa in favore di  Piano,Tastiere e Synth, che hanno favorito lo sviluppo armonico, mentre le percussioni mediorientali hanno lasciato il posto ad un set minimale di batteria con un uso particolare e preponderante dei piatti. Inoltre  sono aumentate le collaborazioni. Nel rimanente  50% ci sono io ed il bassista Carlo La Manna, e non è un caso che il principale punto di contatto nel suono e nel concepire le composizioni si trovi nell'ossatura creata dall'interazione tra oud e basso fretless. La nostra intesa anche in sede compositiva, che già era evidente in OrangeTree, si è qua rafforzata e quindi  proprio l'utilizzo di oud e basso fretless all'interno delle composizioni è l'elemento comune dei due lavori, assieme all'idea di concepire i brani dal punto di vista tematico e armonico seguendo quello che è ormai un nostro personale modo, un nostro linguaggio.

Qual è il lato più affascinante del mondo dei tarocchi, un contenitore carico di simboli e magia, capace in questo caso di stimolare la nascita di un album come “THE TAROT ALBUM”?

I tarocchi sono così densi di significati che non è un caso che molti personaggi della storia più o meno recente, parlo di filosofi o esponenti delle varie arti figurative e anche molti musicisti, si siano cimentati nella loro personale interpretazione. A livello personale non credo all'aspetto strettamente esoterico, ma sono molto affascinato da tutto ciò che riguarda la storia  degli Arcani Maggiori e il  loro sviluppo nel corso dei secoli, dalla loro origine arcaica e da come ci si possono rispecchiare le antiche virtù e paure dell'essere umano fin dai tempi antichi, dalla correlazione con gli archetipi e l'inconscio collettivo, come nel pensiero di Jung, e in fondo anche dall'aspetto ludico. Sono veramente molteplici i punti di interesse  che possono stimolare delle forme creative sui tarocchi. Basti pensare che l' idea di concepire un lavoro sui Trionfi ci è venuta dopo una visita al Giardino dei Tarocchi di Niki de Saint Phalle, nei pressi di Capalbio (GR), dove le incredibili sculture a tema dell'artista franco-americana ci hanno fornito a loro volta una grandissima fonte di ispirazione; direi forse la principale. Proprio da lì abbiamo deciso di partire per documentarci ancora di più sul mondo dei tarocchi  e  mettere in musica una nostra personalissima interpretazione di tutti gli Arcani Maggiori.

Il disco esce anche in versione doppio vinile, formato che sta tornando prepotentemente a galla, anch’esso fortemente legato  alla tradizione e ad una simbologia comportamentale. Cosa rappresenta per te, che non hai potuto vivere per ragioni anagrafiche l’età d’oro dell’LP, questo percorso parallelo al CD?

Comincio subito col dire che per me è una cosa molto romantica. Poi il dibattito tra i sostenitori del vinile e quelli del cd sarà qualcosa di eterno. Personalmente, io che sono del 79 , ho vissuto a cavallo tra la fine dell'LP e la nascita del CD e sono cresciuto in una famiglia nella quale il passaggio dal vinile al digitale è stato lento  e fatto un po’ a malincuore, anche se naturalmente necessario ad un certo punto. La discussione su quale supporto sia migliore è e resterà infinita, anche se io ritengo il vinile molto più vicino al bisogno di calore dell'uomo. L'uomo è una "perfetta macchina analogica” e per quanto sfrutti tutte le comodità dell'era digitale alla fine ciò che più continua ad emozionarlo credo risieda ancora nell'analogico. Personalmente preferisco di gran lunga l'LP anche se le caratteristiche tecniche del CD offrirebbero più possibilità. Purtroppo però il Cd non è mai stato un supporto amato e sfruttato in pieno per quelle che erano le sue possibilità tecniche, anche per il target a cui il mercato lo ha indirizzato nel corso degli anni, con l'ascolto medio fatto su autoradio o comunque su impianti audio di scarsa qualità, per la corsa a  compressioni esasperate e la cosiddetta Loudness War. Un altro capitolo meriterebbe: l'era della musica liquida che sta rivoluzionando sempre di più le modalità di ascolto non solo in riferimento alla scarsa qualità degli mp3 (teoricamente è prevedibile il download di files ad altissima qualità e definizione) o degli apparecchi di riproduzione, ormai ridotti alle casse del proprio personal computer, ma anche a come la gente fruisce della musica stessa, alla quale dedica sempre meno tempo per un ascolto attento e dedicato e che prende sempre più campo come elemento di mero sottofondo nella "nostra" quotidianità. Fare un vinile oggi non vuol dire quindi solo fornire una scelta in più all'acquisto a chi è legato alla bellezza timbrica e alla spazialità del vinile, giusto per citare alcune caratteristiche, ma anche e soprattutto comunicare un bisogno di tornare ad ascoltare un disco con attenzione e dedizione, mettendosi da soli in poltrona o su un divano con amici, come era abitudine fino a qualche anno fa, prendersi cura del proprio disco, pulirlo,  cambiare lato maneggiandolo con cura, tornare a dare un valore alla cosa che si sta ascoltando, quel valore che la musica si merita.

Che cosa può esprimere “l’oud”, strumento che personalmente non conosco?

L'oud è uno strumento molto evocativo. Abbracciare un liuto arabo e sentire le sue vibrazioni sulla pancia, godere da vicino dell'emissione del suo suono  è qualcosa per me di  altamente terapeutico. E' lo strumento con il quale riesco ad esprimermi al meglio non solo artisticamente ma anche emozionalmente, con il quale posso avere una ricerca interiore profonda, e lo è stato fin da subito. Ricordo ancora il momento in cui ho aperto la custodia del mio primo oud e ho cominciato a strimpellarlo. E' stato amore a prima vista e sono rimasto folgorato. Mi sono veramente detto: "Io qui ci sono già stato", proprio come se lo strumento e il suo timbro fossero un luogo-non-luogo dove risiedeva la mia anima di musicista un po’ stanco di tutto quello che stava studiando, suonando ed ascoltando in quel momento. L' oud è lo strumento principe della musica araba e tutta la teoria musicale araba è stata teorizzata sulla tastiera del suo manico corto. Il maqamat (il sistema musicale arabo) è così ricco di modi che ognuno di essi riesce ad essere diretta espressione di un sentimento e di uno stato d'animo specifico.

La tua musica profuma di cultura ed etnia. Non amo molto le suddivisioni in generi, ma sono spesso utili per far comprendere di più al lettore curioso. Come inquadreresti la tua musica?

Neanche a me piacciono le suddivisioni e sono ben contento che la musica che faccio col mio quartetto metta in difficoltà un po’ chiunque da questo punto di vista. Non appartenere ad un genere definito e proporre un proprio linguaggio può portare anche non pochi problemi nelle varie catalogazioni, e già da un po’ vivo questa situazione. In realtà quello che ricerco è propriamente la creazione di un'unicità. Se proprio vogliamo chiudere un occhio, una volta ci hanno definito come "Ethno-Jazz-Progressive del 21°Secolo". Forse ci siamo quasi!

Che cosa ti affascina maggiormente della cultura araba?

Sono sempre stato attirato dalle varie forme di arte di quei posti, dalla storia dall'archeologia, da quanto queste civiltà siano state importanti in passato per lo sviluppo delle arti stesse della musica e delle scienze. Poi mi sono trovato sempre a mio agio nel mondo arabo. Sarà per i miei tratti somatici da siro-libanese e per il mio nome che sembra davvero un segno del destino.

Credo che un ensemble musicale, quando funziona, sia un grande esempio di efficacia del lavoro di squadra. Come funziona il “tuo” team?

Per me è importantissimo il rapporto umano con i musicisti con cui collaboro e posso dire serenamente che questo gruppo è davvero come una famiglia, siamo molto amici e questo contribuisce a godere del poter fare musica insieme, a condividere i palchi, gli spazi e i viaggi, le gioie e le fatiche di questo mestiere. In questo disco il contributo del quartetto al completo è stato fondamentale. Oltre a Carlo La Manna col quale abbiamo affrontato integralmente il lavoro a quattro mani fin dall'inizio, anche Roberto Segato ha portato idee preziose. Carlo per me è un fratello in musica, e la nostra sintonia compositiva continua a farci produrre materiale senza sosta. E' un bassista eclettico ed eccentrico e il suo suono al fretless è ormai per me  qualcosa di imprescindibile per creare musica. Allo stesso modo Roberto è dotato di un gusto infinito e di una raffinatezza unica sia nell'utilizzo del piano che delle tastiere. Infine Zac ha fatto un lavoro encomiabile mettendosi completamente al servizio della musica e distaccandosi dal tradizionale ruolo del batterista portatore di groove e ritmo. 
Al di là del quartetto vorrei aggiungere che in questo lavoro fondamentale è stato  anche l'apporto degli ospiti come Andrea Vezzoli al sax baritono e clarinetto basso, Emanuele Le Pera alle percussioni, Dania Tosi, voce soprano,  Savino Pantone alla viola, e un ringraziamento speciale va al fonico e amico Giacomo Plotegher che ha trovato la formula giusta per far coesistere nel disco tutte le componenti stilistiche e timbriche.

Tra le tue tante collaborazioni, ne esiste una che ti ha lasciato maggiori soddisfazioni dal punto di vista umano?

Non ho una classifica particolare in tal senso. Non penso neanche che sia giusto averla. Tutte le collaborazioni mi hanno lasciato qualcosa di importante sotto molti punti i vista. Posso dire di essere felice e fortunato di condividere musica con i ragazzi del mio gruppo, sono le persone migliori con cui posso e voglio fare musica ed è bellissimo lavorare così. Poi da ex-contrabbassista quale sono posso tranquillamente dire che lavorare e suonare con Ares Tavolazzi è ed è stato un grande onore per me come musicista, ma anche e soprattutto umanamente visto che è una persona meravigliosa.

Che cosa significa per te la performance live?

Per un musicista la performance live è tutto. Ovviamente la musica è nata per essere suonata dal vivo e non certo per essere registrata su un supporto, quindi ritengo che quella live debba essere la dimensione naturale per uno strumentista. Io non riesco a concepire la mia vita senza starmene in giro a suonare. Il rapporto con il pubblico, l'interazione con chi ti sta ascoltando e l'interplay con gli altri musicisti sul palco è pura linfa vitale per me. In realtà trovo  molto stimolante e appagante  concepire e realizzare dischi, continuerò a farne e continuerò a scrivere musica da poter "incidere", ma per quello che riguarda il mio quartetto il massimo dell'energia la si ottiene indubbiamente dall'esecuzione live. 




Elias Nardi bio

Nato a Pescia (Pistoia) nel 1979 Elias approfondisce lo studio dell' OUD (liuto arabo) compiendo numerosi viaggi in tutto il Medioriente. Segue le lezioni del virtuoso palestinese ADEL Salameh, sviluppando un  personale approccio allo strumento se pur nel pieno rispetto della tradizione liutistica mediorientale. Contestualmente porta avanti i suoi studi di contrabbasso classico e jazz.
Grazie al contatto costante con musicisti arabi, ha assorbito, secondo l’antico metodo della tradizione orale, la tecnica del liuto e le conoscenze teoriche relative al sistema musicale arabo, lo spirito e il senso di una musica modale che si tramanda da secoli da maestro a discepolo.
Oltre a sviluppare la propria ricerca musicale e compositiva  con il suo progetto  "Elias Nardi Quartet" col quale svolge regolarmente l'attività concertistica in tutta Europa,  ha suonato, registrato, collaborato tra gli altri con il contrabbassista Ares Tavolazzi; con l'organettista Riccardo Tesi e Banditaliana; con il virtuoso di NyckelHarpa Didier François, con il pianista Pino Jodice e la fisarmonicista Giuliana Soscia; con il cantautore Max Manfredi partecipando alle registrazioni del suo ultimo disco "Luna Persa" (Premio Tenco 2010); con il fiatista Edmondo Romano; con il virtuoso di Tar Azero Fakhraddin Gafarov; con il clarinettista Ermanno Librasi e il percussionista Zakaria Aouna nell' Ensemble Sharg Uldusù; Riahi; con il TrioAmaro.
Il suo disco di esordio OrangeTree (ZDM 1006 - 2010) si è classificato 3° tra le migliori produzioni Etno/Folk/Revival al Premio Italiano della Musica Popolare Indipendente 2011 (MEI) e al n. 172 nella TOP 200 della World Music Chart of Europe.