venerdì 29 luglio 2011

Gran Turismo Veloce-"di Carne, di Anima"



Avere tra le mani il CD “di Carne, di Anima”, primo album di “Gran Turismo Veloce”, fa immediatamente rimpiangere l’epoca del vinile, e questo prima di aver ascoltato la proposta. Chi ha vissuto quel periodo sa cosa intendo dire, e sa quanto fosse magico (ancora oggi lo è…) il messaggio visivo e quante soddisfazioni derivavano dal toccare, annusare, leggere e ammirare un contenuto, che oggi è davvero difficile decodificare.
Ritengo che l’art Work faccia parte del prodotto, esattamente come le tracce musicali, e penso che anche in fase live si dovrebbe trovare il modo di inglobare le immagini significative nella performance. Nel corso dell’intervista emergono le motivazioni specifiche, ma vale la pensa spendere qualche parola sulla cover, che potrebbe rappresentare la filosofia musicale del gruppo.
Uno sfondo di assoluta tristezza, con mare, sabbia e cielo che si dividono le tonalità del grigio, con in bella evidenza un pesce allo specchio. Si gira pagina e lo sgombro irrompe nello specchio, uscendone letteralmente a fette, adagiandosi sulla sabbia, probabilmente “vivo”, ma profondamente diverso da prima. Un monito è scolpito nel cielo, all’entrata dello specchio: “ … a coloro che vivranno per sempre… “, quelli che forse non avranno mai il coraggio di osare. Osano invece i membri della band, rappresentati quindi senza capo. Osano con la loro musica, con i loro testi e, appunto, con le immagini cariche di significati.
Nove tracce “italiane” per un disegno sonoro che parte da molto lontano, da anni che i GTV hanno assimilato senza (purtroppo o per fortuna, dipende dai punti vista) viverli direttamente. Viene automatico affibbiare l’etichetta prog, contenitore dalle molteplici definizioni che in questa occasione mi piace definire”rock complesso”, essendo le composizioni molto articolate, varie, contaminate (positivamente) e di impegno, con un sottofondo ritmico che riunisce le variegate influenze dei componenti la band.
Come sottolineato nello scambio di battute a seguire, non ci si siede a tavolino per decidere uno stile da proporre, e mi pare di poter dire che “di Carne, di Anima” sia caratterizzato dalla libertà espressiva applicata a concetti ben chiari e schematizzati. Musica free, lasciandosi guidare dall’amore per il classico, il rock e il pop, ma su linee guida rigorose, con il risultato finale di un album davvero godibile che lascia spazio alla speranza rivolta all’affermazione di una nuova realtà musicale. La strada intrapresa è tra le più complicate possibili, ma, come sottolineavo inizialmente, mi pare che GTV, abbia il coraggio di osare, e non la voglia di stare a guardare.
Il futuro immediato potrebbe regalarci un concept album, nella migliore tradizione prog, e a fine intervista mi viene scherzosamente chiesto se “scriverlo” in italiano o inglese, ritornando ad una domanda precedente.
Italiano… inglese… cinese… la buona musica prescinde dall’idioma. Ma questo è risaputo.

Informazioni sulla band al seguente link:

Informazioni sull’album a fine post.



L’NTERVISTA

Ho letto dell’origine del vostro nome e del legame con gli anni ‘70. Da dove nasce l’amore per una musica che è cronologicamente lontana da voi?

La musica e l’arte in generale non hanno età, esattamente come l’amore. Il punto piuttosto è che in quel periodo era ancora lecito sperimentare ed esprimersi senza costrizioni di sorta. E’ questo che a noi interessa: poter dire la nostra in totale libertà. Sicuramente in quel che facciamo il legame affettivo con la musica degli anni ‘70 è piuttosto evidente, soprattutto nei suoni che utilizziamo, ma l’etichetta “progressive” ci è stata regalata ex-post da chi ci ha ascoltato. Non ci sediamo a tavolino dicendo “OK, facciamo un pezzo prog”: semplicemente suoniamo quello che sentiamo dentro. La cosa interessante è che molti “puristi” del progressive storcono il naso quando i nostri brani finiscono dopo soli cinque minuti.

Che tipo di evoluzione personale vi ha portato alla nascita della band? Come vi siete formati, musicalmente parlando?

Ciascuno di noi ha sempre ascoltato molta musica, senza particolari preclusioni o gusti esclusivi. Claudio, il tastierista e cantante, studia jazz ma ascolta Alan Parsons, Flavio, il bassista, è il metallaro del gruppo che però gode con Bach, Stefano, il batterista, ha una passione per Frank Zappa ma adora anche Stewart Copeland dei Police, e io, Massimo, quello delle idee strane e delle chitarre, sono cresciuto a pane e Genesis ma mi “perdo” molta nella musica elettronica. Quando scriviamo quindi giochiamo a carte scoperte pescando nel mazzo quello che ci serve. Il bello di suonare nei GTV è che tutto scorre sempre in modo molto fluido: raramente discutiamo di come dovrebbe essere un pezzo. Tutto avviene naturalmente e lavorare così è molto stimolante.

Molti dei nuovi gruppi italiani scelgono di utilizzare la lingua inglese, privilegiando il suono alla facilità di comunicare un messaggio. Quanto è importante per voi la comprensione immediata delle vostre liriche?

In tanti, soprattutto giovani, non sanno che il prog è nato in Italia parallelamente al prog britannico. Potremmo parlare del prog italiano come di “musica tradizionale” senza allontanarci troppo dalla verità. E’ stato quindi naturale scrivere in italiano piuttosto che in inglese. Band come la PFM hanno scelto l’inglese solo in un secondo momento, solo dopo aver varcato i confini nazionali e solo quando il mercato glielo ha chiesto. L’assurdo, nel nostro caso, è che ci contestano l’italiano in Italia, mentre all’estero sono entusiasti della nostra scelta!

Che cosa pensate del rapporto tra nuove tecnologie e la visibilità che da esse si può ottenere? Si può stilare una sorta di bilancio tra benefici e problematiche?

Penso che potremmo parlare di un bilancio in pareggio: incidere un disco che suoni bene è oggi veramente alla portata di tutti, così come è alla portata di tutti far sentire la propria musica a tutti mettendola in rete. Se prima il problema era trovare un produttore che ti facesse registrare un disco, oggi il problema è far emergere dalla selva musicale la propria visione, le proprie idee. Purtroppo anche gli mp3 non aiutano in questo perché il file digitale spinge a un ascolto superficiale: prima compravamo un CD (quando non un vinile) e lo ascoltavamo fino allo sfinimento; ora, se un brano non convince al primo passaggio, si preme “delete” con disarmante facilità.

Come spieghereste il vostro progetto musicale e le vostre linee guida, a un giovane che decide di avvicinarsi alle composizione di impegno?

Una cosa che ci ha sempre fatto storcere il naso nelle varie rassegne e contest per band emergenti a cui abbiamo partecipato è che molto spesso i gruppi mancano di personalità: nascono cloni dei Muse o dei Subsonica, quando non dei Genesis. Molto raramente abbiamo sentito idee veramente nuove. Senza salire in cattedra, ma da compagni di classe, potremmo quindi consigliare di cercare la propria strada. E’ senz’altro più divertente. La musica è un mezzo perfetto per trovare la propria identità e la spinta dovrebbe essere la passione, non il “successo” (virgolette d’obbligo). A noi, che dal successo siamo ben lontani, la possibilità di fare un disco è arrivata quando meno ce lo aspettavamo. Di sicuro, non ci è mai mancata ne la determinazione, ne un po’ di sana disciplina.

Mi ha colpito la cover dell’album, che sarebbe un enorme stimolo per la creazione di una storia ricca di metafore. Che cosa vi ha spinto a evidenziare una simile immagine?

“di CARNE, di ANIMA” è figlio di un EP dal titolo “In un solo brivido”. Avevamo affidato la copertina al pittore grossetano Francesco Serino che disegnò per noi qualcosa che rappresentasse il momento subito prima di un evento imprecisato, l’attimo in cui si scatena il brivido che precede l’azione. Da EP a LP, dal brivido siamo passati all’azione, che è fatta appunto di carne e di anima, e la copertina del disco è quindi un’evoluzione fotografica per mano del fotografo grossetano Francesco Rossi, con il quale abbiamo sviluppato anche il resto del packaging. Non ci piace lasciare le cose al caso e ci incuriosisce e ci gratifica che le persone si domandino “perché questo pesce?”, ricamandoci su le loro storie ricche di metafore...

Se doveste fare una graduatoria dei cinque album più importanti della storia del rock… riuscireste a mettervi d’accordo?

La prima risposta che mi viene in mente è un rapido “NO” perché andrebbero definiti i parametri che rendono importante un disco. E, una volta definiti tali parametri, sarebbe comunque difficile stilare una graduatoria. Possiamo dirti i must di ognuno di noi: Sgt Pepper’s dei Beatles, Made in Japan dei Deep Purple, Live at Pompeii dei Pink Floyd, The Turn of a Friendly Card degli Alan Parsons Project.

Cosa pensate dello stato attuale del businnes musicale?

C’è solo da sperare che collassi su se stesso: le radio hanno cominciato a fare da produttori degli artisti da promuovere, i locali chiamano soltanto tribute band, le agenzie di booking e promozione rispondono sempre con un “siamo pieni”, le etichette e i produttori puntano sempre sui soliti noti. Ci ricolleghiamo in parte al discorso tecnologia/visibilità: l’offerta è tanta, tantissima, ma il vero problema è che manca sia l’educazione culturale del pubblico, sia la voglia di investire sul nuovo. La musica, più del cinema e della letteratura, proprio a causa dei mezzi tecnologici, viene trattata come cibo in un fast food. Dovrebbe nascere un movimento slow food anche per la musica, qualcosa che faccia tornare la voglia delle cose buone. Senti questa equazione: “Hamburger: Tokio Hotel = Filetto al pepe verde: GTV”. Si può dire “Tokio Hotel” in un’intervista?

Sono molto frequenti le collaborazioni live con musicisti importati del passato (niente a che vedere con le jam di 30 anni fa). Chi vi piacerebbe ospitare sul “vostro palco”?

Più che sul palco, ci piacerebbe scrivere con accanto qualche mostro sacro: un bel disco prodotto da Brian Eno, con Vangelis alle tastiere, David Gilmour alla chitarra, Sting alla voce, Pino Palladino al basso, il tutto magari missato da Alan Parsons. Facile, no?

Che tipo di soddisfazione trovate on stage?

La soddisfazione più bella è quella di guardare “down stage” e vedere che ci ascoltano sia i ragazzi di 16 anni che i nostalgici del prog. Ci sentiamo onorati perché certe cose succedono solo ai concerti dei grandi. Forse è la conferma che siamo sulla strada giusta ed è anche il più grande stimolo a far meglio. Poi, se da un lato ci dà fiducia nella gente, dall’altro ne toglie sempre di più al music business...

Cosa potrebbe esserci dopo “di CARNE, di ANIMA”?

In realtà la promozione del disco non è mai partita in grande stile per una serie di problemi legati a quanto dicevo prima, comunque abbiamo girato un videoclip per “La Paura” diretto da Stefano Lodovichi. Dovrebbe uscire a settembre e magari ci aiuterà a smuovere un po’ le acque. Nel frattempo stiamo scrivendo il nostro secondo disco, che con molta probabilità sarà un concept album, nella migliore tradizione del prog. E’ un idea che è nata quasi per caso, anzi direi per sbaglio, ma che ci ha affascinato da subito. Ci piacerebbe che fosse il mezzo per fare un altro passo in avanti… che dici lo scriviamo in italiano o in inglese?

NOTE
Produzione
Lizard Records
Distribuzione
Lizard Records
Line-Up
Claudio Filippeschi: voce, pianoforte e tastiere
Flavio Timpanaro: basso, voce secondaria Stefano Magini: batteria
Massimo Dolce: chitarre,programmazione loop, weird ideas
Tracklist
1. Anec Retrorsum
2. Sorgente Sonora
3. Misera Venere
4. Quantocamia
5. L'artista
6. L'estremo viaggiatore
7. La paura
8. Misera Venera (reprise)
9. L'indice e l'occhio