giovedì 2 giugno 2011

Zibba e Almalibre



Ho conosciuto “da lontano” Zibba, quando alcuni anni fa ho iniziato a frequentare il Raindogs di Savona. In quel luogo magico l’ho visto esibirsi con gli Almalibre, ma non avevo capito la portata della sua proposta.
Successivamente l’ho osservato da vicino scaldare il pubblico in attesa di Jack Bruce, sulla fortezza del Priamar, e pochi mesi fa ho verificato l’efficacia della sua fase acustica, in occasione del tributo a John Lennon.
Qualche eco importante, il Primo Maggio, il Premio Tenco, ma non ho mai approfondito.
Chissà perché, per me Zibba era “solo” la metà del duo Marco(Traverso)-Zibba, cioè coloro che hanno portato musica importante (soprattutto blues) a Savona, due organizzatori capaci di riempire per un giorno intero (nonostante il caldo e la spiaggia a due passi) tutte le piazze di Varazze con una ventina di artisti “giganti”.
Pochi giorni fa ho trovato su facebook la notizia dell’uscita dell’album “Double Trouble"( 21 maggio), progetto dedicato a Bob Marley e frutto di un paio di collaborazioni di qualità.
Tutti i dettagli del mondo “Zibba” si possono reperire al seguente link:
Spinto dalla curiosità l’ho contattato per approfondire il suo lato artistico.
Le risposte ai miei soliti quesiti via mail sono arrivate prima dell’ascolto dell’album, e devo dire che non ci sarebbe bisogno di nessun mio commento, perché attraverso le parole di Zibba il personaggio emerge con prepotenza e assoluta intelligenza.
Ho avuto l’impressione che anche il buttare giù qualche riga per “accontentarmi” sia diventato alla fine un mezzo per comunicare una filosofia di vita, esattamente come il brano di un nuovo album. Si comunica sempre, anche senza proferire parola, ma lo si può fare con passione, per obbligo o per altri mille motivi, ma le parole di questo artista stanno … in piedi da sole, senza che si avverta il bisogno di cambiare una virgola.
A casa arrivano 2 CD, e non uno come erano gli accordi.
Forse mi sbaglio, ma è stato un (suo) invito ad approfondire, a non fermarsi ad un unico episodio, sicuramente non rappresentativo (anche se significativo) di Zibba & Almalibre.
“Detto questo, caro Zibba, ho dovuto trasformare il mio intento (solito) di recensire un album, in quello di dipingere un musicista (con i suoi musicisti) senza seguire i canoni tradizionali, ma lasciandomi andare a ruota libera, e chiedendo scusa per averti a lungo “trascurato”… chissà perché ci si occupa sempre dell’erba del vicino e un po’ meno della propria!”( … i miei articoli, purtroppo, non migliorano la vita a nessuno, ma analizzando la musica di qualità la mia coscienza si mette a posto… ).
Oltre a Double Trouble ho quindi ricevuto “Una Cura per il Freddo”, terzo lavoro di Zibba, uscito da circa un anno, che ho deciso di assumere come il riassunto di quella che chiamerò “l’essenza Zibba”.
Una delle domande a seguire pone l’accento sul rapporto musica/liriche, argomento su cui non prendo mai posizione (non credo ne esista una oggettiva), anche se di base sono propenso a privilegiare la musica.
A memoria, è questa la prima volta che trovo l’unione perfetta, che riesco a dare il giusto peso alle parole, integrate dai suoni e dalla voce.
La voce… la modulazione utilizzata in funzione dell’episodio raccontato, sembra qualcosa di scientifico, anche se credo sia del tutto naturale, e attraverso quel modo di proporsinasce un forte contrasto tra due movimenti: quello del “buon burbero” e quello del “sensibile all’infinito”. E anche un certo linguaggio un po’ spinto non appare mai volgare e fuori contesto.
Ho ascoltato solitario l’album e al secondo passaggio mi sono fermato prima della fine, ho cambiato stanza e ho coinvolto “i miei”, puntando diretto alla traccia numero 8, “Scalinata Donegato”: “…ascoltate che genio…”. Avevo quasi le lacrime agli occhi e mi sono chiesto: “ … ma come fa a scrivere cose del genere!?”
Ma che musica fa Zibba? In quale categoria si potrebbe incasellare questo novelloBuscaglione?
Avendo assunto come assioma che “Una Cura per il Freddo” è l’anima del lavoro di Zibba & Almalibre, potrei dire che l’enorme capacità di questi musicisti è anche quella di unire il blues, il Jazz, il rock, il reggae, lo ska, il folk, a certa musica etnica, con radici ben salde nelle culture locali. Ce ne sarebbe abbastanza per dipingere un quadro che determina la confusione totale, e invece no, tutto suona come dosato al grammo, senza sbavature, con un linguaggio personale e del tutto nuovo… almeno per me. Di sicuro l’utilizzo di certi strumenti, come il sassofono e il violino, contribuiscono alla creazione di un sound ”diverso”.
Il "circo" delle musica ha bisogno di personaggi, e spesso il talento e le capacità, così come “la scuola”, contano meno dell’ apparire.
Zibba è un personaggio, è bravo, e fresco ed è capace di mettere in piazza, con semplicità e intelligenza cose estremamente personali, che di solito si raccontano a pochi intimi.
I musicisti che lo seguono sono decisamente di alto livello. Conosco personalmente Fabio Biale, il violinista polistrumentista, ma il resto del gruppo non è da meno.
Una grande sorpresa e una bella realtà e … sono sicuro che sentiremo sempre più spesso parlare di Zibba & Almalibre.

Formazione:
  • Zibba - voce, chitarra
  • Andrea Balestrieri - batteria
  • Fabio Biale - violino
  • Daniele Franchi - chitarra
  • Lucas Bellotti - basso
  • Stefano Riggi - sassofono


INTERVISTA

Partiamo dal presente, da questo “Double Trouble" a base di “reggae”. Da dove nasce questo tuo amore per una musica così particolare, non certo alla base della “nostra”cultura musicale ?

Il messaggio. Marley è stato un grande comunicatore. Un profeta del nostro tempo. Un essere in grado di veicolare attraverso la musica qualcosa di importante per l’umanità. Non sono appassionato di Reggae, ma di Marley (Lo porto tatuato sulla spalla insieme a Hendrix, Totò, Marilyn e Oscar Peterson, e c’è spazio per altri che si aggiungeranno presto). Marley è un esempio per molte cose, non per tutto. Il reggae di ora è spesso distintissimo dalle sue tematiche. Tocca l’omofobia e il razzismo più estremo. Non è in linea con lo spirito rastafariano e nemmeno con la politica sociale Marleyana. Per quanto mi riguarda il messaggio che la musica porta con se è spesso molto più importante della qualità e degli arrangiamenti. E Marley era stramaledettamente fortissimo in tutte queste cose. Un pezzo importante della musica. Mi piaceva omaggiarlo a mio modo, e ho trovato due compagni di viaggio eccellenti che condividono questo pensiero.

Il blues fa parte delle tue radici. Attraverso il blues si passano messaggi precisi, spesso legati a situazioni di dolore(“non pain no blues…”). Ma tu sei una sorta di “cantastorie”, un musicista che ama comunicare, inviare messaggi e fare riflessioni, non necessariamente pensieri ”neri”. Qual è il tuo rapporto con le liriche? Hanno priorità rispetto alla musica?

Le liriche sono importantissime, e come dici tu sono molto legato alla comunicazione di qualcosa attraverso la musica. Fossi nato duemilaundici anni fa sarei stato tutto il giorno a parlare con Cristo, e se non fosse esistito me ne sarei inventato uno. Non hanno priorità rispetto alla musica, ma è vero che la musica dev’essere al servizio del messaggio, e non il contrario, almeno per me s’intende. Il blues è la madre di tutto, e c’è poco altro da dire su questa musica meravigliosa. Inoltre l’approccio live della band Almalibre è molto blues, non solo nel fraseggio ma soprattutto nel modo. Non si può prescindere dal blues come non si può prescindere dall’onestà di riconoscere da dove veniamo.

L’ angolo dei ricordi: cosa ti è rimasto maggiormente nel cuore (e nella mente) dell’esperienza “Raindogs”?

Il Raindogs è stata la mia isola felice nei momenti di buio, casa mia quando volevo riparo e un posto da maledire altre volte. Ma soprattutto una grande amicizia con Marco “Jerry” Traverso con il quale posso dire di aver costruito qualcosa di grandioso e senza il quale non sarei riuscito ad arrivare dove sono oggi. Il Rain e Marco sono stati importantissimi per me, e lo sono ancora. Non solo nei ricordi. Il Raindogs c’è sempre. È vivo in chi lo ha vissuto e nei sogni di chi se lo è perso.

Ho visto che nella tua piccola biografia c’è un ricordo per tutti i musicisti che non suonano più con te. Quanto conta l’amicizia per pianificare e seguire un progetto e arrivare al risultato? Non basta a volte essere “professionisti”?

Si diventa musicisti nel momento in cui lo si decide. Non quando si è bravi tecnicamente abbastanza. Avrei lo scaffale dei dischi vuoto se fosse il contrario. Sono la passione, la dedizione, l’impegno e l’amicizia a fare si che da una cantina o da una sala prove si esca verso l’esterno e si vada verso qualcosa di importante. Ogni persona che incontriamo ci regala qualcosa di prezioso. Io sono stato molto fortunato, perché chiunque abbia suonato con me in questi anni mi ha lasciato molto in molti sensi. E l’amicizia conta davvero molto. Sapere che accanto a me c’è il Bale da oltre tredici anni mi fa sentire bene. Rilassato. Sereno. Perché sono con un amico. E tutto è più bello quando lo fai con un amico. Inoltre per carattere non potrei lavorare con nessuno che non potrebbe anche essere mio compagno di bevute o di cene. Con chi lavora con me ci devo poter parlare e ragionare come con un amico. Sennò meglio lasciar stare.

Sei ancora molto giovane ma… esiste qualche rammarico per un treno che non hai voluto prendere per eccesso di cautela?

Direi di no. Nessun treno perso. Anzi, quando non ne passavano me ne sono inventati. Carattere. Tenacia. Non so, forse anche incoscienza. Ma al mattino mi alzo sereno, e quindi vuol dire che tutto va bene.

L’ultima volta che ti ho sentito era dicembre, Filmstudio di Savona, celebrazioni della morte di Lennon. Ricordo come evidenziasti la mancanza di prove preventive, eppure quel’attimo acustico, miscelato ad un momento di teatro, è risultato per me assai efficace ed emozionante. Sei interessato a spettacoli, magari semplici, ma che sappiano unire differenti forme d’arte?

In realtà lo faccio spesso. Nel mio spettacolo “vocechitarra” unisco piccole cose teatrali alla mia performance acustica. E in passato ho sperimentato queste cose anche con la band. Mi piace molto mischiare le arti. Ma in fondo la musica stessa è un miscuglio di roba. Poesia. Suono. Ritmo. Fantasia. Inoltre sto iniziando un esperienza come attore, visto che sarò uno dei protagonisti di “all’ombra dell’ultimo sole”, musical scritto da Massimo Cotto e diretto da Emilio Russo. Debuttiamo il 1 luglio ad Asti. E sto scrivendo musiche per il teatro, iniziando dallo spettacolo “commedian blues” dei Turbolenti, scritto da Matteo Monforte e Lazzaro Calcagno. Mi piace davvero mischiare le cose e sono contento che la vita mi dia la possibilità di sperimentarne sempre di nuove.

Che differenza esiste tra l’essere ospite al Premio Tenco, partecipare al concerto del 1°Maggio o fare “la spalla” a Jack Bruce? C’è qualcosa di comune alle tre esperienze?

Il Tenco lo sognavo, e ancora non ci credo. Il primo maggio è stato otto anni orsono, ed è un ricordo sfocato anche se piacevole. Jack Bruce non mi è piaciuto come persona e nemmeno molto sul palco, ma ho regalato a Rigo la possibilità di realizzare uno dei suoi sogni (suonare prima di Bruce) quindi è stata una grande esperienza comunque. Non li accomuna molto, se non il sudore e un certo appetito preconcerto. Il Tenco credo ce lo siamo guadagnati con gli anni e spero di tornarvi, il Primo Maggio è stata una botta di culo allora e ora spero di tornarvi, ma il concerto di Jack Bruce fu una grande impresa del Raindogs che ricorderò per molto tempo come pietra di un momento storico in cui si faceva fatica in nome di un qualche impegno malsano di rieducazione alla musica figa in un paese spesso semimorto. E sono certo che Marco non mollerà, e continuerà quest’opera iniziata insieme in nome dello stesso malsano impegno.

Ricordo che un paio di anni fa mi raccontasti dell’amore di tuo padre per certa musica rock anni ’70. Quanto ti ha influenzato, o quanto ti ha “lasciato sbattere” la tua famiglia?

La mia famiglia è ed è stata tutto. Sprono e voglia. Mi hanno tenuto per mano nei miei sogni, e se ne prendono il buono e il brutto. Come una famiglia dovrebbe fare. Non li ringrazierò mai abbastanza.

Per lungo tempo hai anche organizzato eventi. E’ un ruolo che ti gratifica, ti preoccupa, ti sta stretto?

Ti ringrazio per averlo detto tu. Mi gratifica, mi preoccupa e mi sta stretto. Come ogni cosa ha i suoi lati positivi, e quelli negativi inevitabili che spesso ti fanno dire “ma chi me lo ha fatto fare”. Ora non lo rifarei, non in questo momento in cui sono molto impegnato nelle mie cose. Ma l’anima c’è, e in fondo mi piace un sacco perché la parte di gratifica di mangia le altre due poi…

Che cosa vorresti ti accadesse, musicalmente parlando, nei prossimi tre anni?

Fare un disco che resti nella memoria delle persone. Scrivere qualcosa di grandioso magari. Ma in ogni caso, quello che davvero voglio è stare sul palco. Quanto più possibile. Con gli amici, con gli affetti. Dividere i piccoli successi quotidiani con la mia famiglia e con i compagni di viaggio, e non smettere di credere che sono un privilegiato e che per questo posso e devo trovare nella musica il mio modo di regalare emozioni alle persone che oggi più che mai hanno bisogno di sentirsi dire che la vita è una figata, e che vale la pena lottare per essa. Grazie Athos, un abbraccio grande come il Mississippi…