lunedì 20 giugno 2011

Strings 24-"Speak"



Il secondo album di Strings 24 si intitola ”Speak”.
A parlare sono soprattutto le chitarre, protagoniste assolute di un disegno abbastanza specifico e, apparentemente, diretto ad un pubblico particolare, di settore, capace di apprezzare il virtuosismo tecnico e i funambolici passaggi tra un tasto e l’altro. Gli esempio illustri non mancano, e senza ricorrere agli incontri sullo stesso palco di Satriani, Vai e Malmesteen (una delle possibili composizioni del G3) mi viene in mente il progetto The Hellecasters, davvero di prima qualità.
“Speak” è un album prevalentemente strumentale, anche se sono presenti frammenti di voce ("Take my hand" e "I love me"), ed è impreziosito dalla presenza di importanti chitarristi di livello internazionale, come Andy Timmons, Kiko Loureiro, Mattias IA Eklundh e Rob Balducci, e una sezione ritmica da favola, con Roberto Gualdi (batteria) e Gabriele Baroni(basso). Lista degli “ospiti” articolata, come segnalano le note di copertina.
Nell’intervista a seguire viene allo scoperto la filosofia del gruppo, del progetto e della musica di questo trio virtuoso, formato da Frank Caruso, Stefano “Sebo” Xotta e Gianni “Jana” Rojatti.
Dodici brani esplosivi, dove emerge la tecnica e dove ci si incanala nella via della sperimentazione, rappresentata dall’utilizzo della nuova Ibanez 8 corde, le cui caratteristiche e la cui utilità in “Speak” sono evidenziate, a seguire, dalle parole dei musicisti.
Dovendo inserire questo album in una categoria, farei riferimento alla grande e confortevole famiglia del Rock, senza scendere in dettagli troppo specialistici. Ed è proprio alle grandi band che un tempo venivano definite “hard rock” che corre il pensiero ascoltando il disco. E nelle differenti tracce si vive l’evoluzione dell’utilizzo dello strumento, dal ’70 ai giorni nostri, partendo da Blackmore e Page, passando per Van Halen, arrivando sino all’eleganza di Eric Johnson.
Anche le ballate e le melodie fanno parte del repertorio del “duro rock”, con "linee morbide" miste ad esplosioni di suoni, come già accadeva ai Grand Funk Railroad o agli UFO, tanto per citare esempi antichi.
I richiami al passato e a gruppi storici sono sempre pericolosi e quasi mai si indovina l’accostamento, ma la musica è fatta di feeling che si ripete (e che spesso si va a cercare) e queste mie “sensazioni d’ascolto”, seppur personalissime quindi confutabili, hanno lo scopo di dare piccoli segnali e stimolare la curiosità.
Sì… questo “Speak” non ha bisogno di una casella su cui posarsi assieme a rassicuranti presenze, ma può brillare di luce propria e farsi strada, non solo in una giungla di chitarristi affamati di tecnica e velocità, ma in un panorama più generico, formato da un pubblico predisposto all’esplosione di note, e al contempo al gusto per la melodia.
A chi “non consigliare” questo album? Statene alla larga se non amate il rock!


INTERVISTA

La prima cosa che mi è venuta in mente dopo un paio di brani è la presenza di “musicisti virtuosi”. Quando ero molto giovane e Alvin Lee era in auge, di lui si diceva che fosse il più veloce in assoluto, con una grande tecnica, ma… c’era sempre un “ma”. Che cosa occorre per trovare l’amalgama tra tecnica, gusto e melodia?
Sebo: La tecnica è necessaria per qualunque esecuzione, c’è chi ne ha molta, chi meno, ma un livello minimo di tecnica è indispensabile per esprimere la propria musicalità. Non è possibile fare un discorso se non si conosce la lingua parlata e le sue regole, allo stesso modo uno strumento musicale deve essere studiato e praticato tecnicamente per darci modo in seguito di esprimere la nostra musicalità. Nel nostro caso sicuramente diamo alla tecnica uno spazio importante, ma siamo anche convinti che le scelte melodiche siano le migliori e che la tecnica espressa senza senso non generi buona musica.

Solo in un paio di brani è previsto il cantato. Che significato hanno per voi i testi? La sola musica è il miglior modo possibile per esprimersi?
I testi di una canzone sono sicuramente una parte molto importante di essa laddove vengono scritti con sapienza, se vengono concepiti giusto per rappresentare una parte cantata diventano sicuramente marginali. va detto però che la voce è uno strumento essa stessa ed ha una gamma espressiva e timbrica impressionante. Abbiamo deciso di inserire due brani cantati perché amiamo anche questo tipo di musica ma non volevamo svoltare bruscamente o rinnegare il nostro album di esordio! La musica strumentale è sicuramente più globale, non essendo legata ad una lingua può essere capita e sentita in egual misura da chiunque.

Ho letto dell’utilizzo di una chitarra a 8 corde. Quanto è importante per voi la sperimentazione, la ricerca di nuovi percorsi espressivi?
Ibanez ha iniziato a produrre questi strumenti tre anni fa e ci furono forniti tre esemplari per lavorare sul nostro allora neonato progetto Strings24. Le diversità timbriche di queste chitarre si manifestano nelle parti ritmiche, essendo le corde in più posizionate sui registri bassi. La larghezza della tastiera è sensibilmente maggiore, ma la costruzione di questi strumenti è davvero ottima e la suonabilità rimane altissima, quasi si trattasse di strumenti a 6 corde. A livello espressivo non viene introdotto nulla di nuovo, mentre a livello di atmosfere la presenza di note così basse apre nuovi spazi e nuove soluzioni.

Che tipo di interazione riuscite a creare, in fase live, col vostro pubblico?
Il nostro pubblico è composto generalmente da chitarristi, perciò ci rendiamo conto che l’approccio è molto tecnico, un pubblico esigente insomma. Le nostre scelte melodiche cercano di allargare la nostra musica anche a chi semplicemente ama la musica, senza per forza dover far digerire a chiunque il fatto di essere tre chitarristi che suonano insieme e che usano questa o quella particolare tecnica.

Tra le presenze nell’album c’è un mio concittadino ( e di Beppe Aleo), Roberto Gualdi. Come nasce la vostra collaborazione?
Sebo: ho conosciuto Roberto nel lontano 1991, si era appena trasferito a Milano spinto dalla voglia di diventare un batterista di professione. Da allora abbiamo collaborato in diversi progetti insieme e ancora oggi ci dilettiamo a suonare da grandi amici con i Four Tiles, band che da oltre 10 anni portiamo avanti insieme a Cesareo di Elio e le Storie Tese e Guido Block. Roberto è oggi uno dei professionisti più apprezzati e richiesti nel nostro paese, inoltre ha una tecnica ed un approccio decisamente rock, da qui l’ovvia scelta di coinvolgerlo nelle registrazioni.

Che cosa significa per voi essere distribuiti da Videoradio?
Frank: Con un pizzico di orgoglio nazionale, mi sento di dire che finalmente qualcuno in Italia ha avuto il coraggio di credere nelle buona musica, e non mi riferisco a noi, ma a tutto il percorso che ha contraddistinto l’attività di questi ultimi anni di Videoradio. Incontrare Beppe Aleo è stata una esperienza fantastica che mi ha riportato indietro nel tempo, quando esistevano le figure dei “discografici”, dei “produttori artistici”, di esperti del settore insomma che ti affiancano per darti dei buoni consigli, per aiutare l’artista a tirare fuori il meglio di sé, magari consigliando un mix diverso da quello che l’artista aveva immaginato. Questo è quello che ho trovato in Videoradio e che ci ha fatto pendere questa volta per una etichetta italiana, e sono certo che la nostra collaborazione darà ottimi frutti!

Quali percorsi personali vi hanno portato al progetto “Strings 24”?
Sebo: Io e Frank frequentavamo lo stesso istituto tecnico nei favolosi anni 80 (favolosi per un chitarrista ovviamente) e già allora suonavamo insieme e ci frequentavamo da teenagers. La vita ci ha portati poi a seguire strade differenti, poi un giorno grazie a MySpace ci siamo risentiti e abbiamo scoperto di vivere nella stessa città. Un incontro, una birretta, la promessa di trovarsi per suonicchiare un po’... ed ecco il desiderio di creare un progetto vero e proprio, gli Strings24! In prima battuta era stato coinvolto Gianluca Ferro, un chitarrista prog metal virtuoso presente sul nostro primo album. Successivamente il suo posto è stato preso da Gianni Rojatti, nostra vecchia e stimata conoscenza.
Frank: Ritrovare Sebo dopo percorsi di vita diversi è stato fantastico, da ragazzi si suonava insieme, si discuteva come tutti gli adolescenti per banalità musicali, ed essersi ritrovati da “professionisti” ciascuno nel proprio settore, è stato divertentissimo! Ricordarsi “quella volta che” e riderci sopra mentre stai finendo la produzione del secondo album insieme è stata un’ esperienza bellissima!

Esiste un nome di un gruppo, magari del passato, che vi mette tutti d’accordo?
Queen? Van Halen? Diciamo che la buona musica ci mette sempre tutti d’accordo!

Che giudizio date dello stato attuale della musica italiana?
L’Italia non è un paese di patrioti, anzi, tutto ciò che è nostrano è sempre snobbato e boicottato, a meno che non si tratti di calcio ovviamente! Questo fa si che per degli artisti o delle band sia molto difficile farsi apprezzare nel nostro paese, però siamo convinti che esistano tanti musicisti eccezionali e delle idee davvero originali.

E del business che gira attorno ad essa?
Sebo: Il business che gira intorno alla musica è molto agguerrito; al giorno d’oggi i profitti sono infinitamente inferiori a quelli che si potevano trarre 15 anni fa, per questo motivo spesso il rapporto tra un’etichetta e un artista non è più un solido matrimonio, bensì una vera e propria scappatella: ottengo ciò che voglio e ti mollo in mezzo ad una strada!
Frank: Sicuramente chi lo fa per business deve cercare di produrre profitto, perciò non c’è spazio per la morale in tempi come questi. In Videoradio però l’aria che tira è diversa, e chiunque lo può capire vedendo il catalogo! Qui si parla di musica, non di business, e noi stessi (Strings 24) abbiamo fatto una scelta artistica molto lontana dal concetto di business. Mi sembra chiaro a tutti che la musica che giri per radio sia altra. Io stesso mi occupo di pubblicità e televisione, e sono autore di molti spot e sigle televisive per il gruppo Mediaset… quello è business, gli Strings 24 sono musica! Sono finiti i tempi in cui l’indice di popolarità di una band si misurava con il numero di copie vendute, più probabile che un buon indicatore sia il numero di pagine che ti saltano fuori in google…

Descrivetemi il vostro sogno musicale, da realizzare entro tre anni.
Ottenere un buon riconoscimento internazionale che ci permetta di portare la nostra musica live in Europa, America, Asia, ecc.


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