lunedì 6 dicembre 2010

"Nei giardini di Babilonia"-Quintessenza


“… qual è il fine del mio essere qui?

Hai nel destino una scelta da fare: vivere o conoscere. Avanti uomo … fa la tua scelta!”

Nei giardini di Babilonia” è il terzo album dei “Quintessenza”, gruppo toscano nato una quindicina di anni fa.

La biografia del gruppo: http://athosenrile.blogspot.com/2010/09/quintessenza.html

Questo terzo album è il risultato di un progetto molto ambizioso: un opera rock.

La musica progressiva, quella a cui in parte si rifà Quintessenza, è piena di esempi di “dischi concettuali”, legati da un unico filo conduttore, ma un’opera rock è qualcosa di ancora più complesso, che aggiunge alla musica arti differenti, come la recitazione e le arti visuali.

Gli esempi importanti del passato non mancano, ma come sottolineo nell’intervista a seguire, sono sempre di più i “nuovi” musicisti che non si accontentano, ed esplorano i campi più svariati, tentando di riunirli nel loro progetto.

Sempre nel mio scambio di battute con la band, introduco il concetto di “musica didascalica”, un mio pallino alimentato dal banale “controllo” dell’iter formativo dei miei figli, ed è un mio sogno quello di vedere un “lavoro” come “Nei giardini di Babilonia”, presentato e trattato come materiale da trasformare in elemento di discussione, stimolando gli ascoltatori a riflessioni che non derivino solo dai testi, ma dalla globalità della proposta.

Le frasi in apertura di post rappresentano l’inizio di un viaggio, quello dell’uomo semplice che, condotto dalla propria anima a Babilonia, luogo immaginario, verrà accolto dalla guida che gli indicherà il percorso da fare, inducendolo ad un lavoro introspettivo che alla fine lo renderà diverso, nuovo, migliore.

Ma ciò che potrebbe apparire semplice è in realtà un cambiamento radicale, che richiede coraggio, forse incoscienza, ma in ogni caso determinazione. E dove nasce una determinazione così forte da accantonare il “certo e conosciuto” a favore dell’ignoto, abbellito dal concetto di verità? Le allegorie dichiarate in questo album non portano a concetti del passato, ma sono estremamente attuali e la scelta tra “vivere o conoscere” è quella che tutte le teste pensanti prima o poi vorrebbero trovarsi a fare, a maggior ragione nel mondo contemporaneo, dove la realtà supera spesso l’immaginazione, senza che nessuno trovi adeguate risposte ai questi quotidiani.

In questo senso trovo che “Nei giardini di Babilonia” potrebbe contribuire a qualche riflessione supplementare, superando il concetto di mero “album musicale”.

Ma ovviamente è dalla musica che Quintessenza parte.

La catalogazione ufficiale cita una sorta di “progressive”, termine che ormai faccio fatica a rendere/rendermi chiaro, se penso a ciò che ha rappresentato per me negli anni 70. Qualcuno mi ha fatto notare come ciò che contiene elemento di dinamicità è preceduto dal prefisso “prog”, e in questo senso evidenzio che,“Nei giardini di Babilonia”, rappresenta un continuo movimento in avanti, una progressione continua che alla fine ritorna all’origine, entrando in quel loop caratteristico delle vicende umane.

Il cantato si mischia al recitato, alle melodie più vicine alla nostra cultura, con una base molto “dura”, a tratti metal , alternata ad attimi di dolcezza, tipica del flauto traverso.

Non sono molto bravo nel muovermi tra le tante categorie e sottocategorie che pretendono di appiccicare un’etichetta a ogni musicista, per cui mi limiterò a definire “Nei giardini di Babilonia” un album di musica rock (l’unica macrofamiglia che riconosco) pieno di spunti interessanti, di novità, e di complessità. E’ un progetto ambizioso, e “faticoso”, e non è casuale che la sua genesi risalga a una decina di anni fa.

Difficile pensare a una proposta live, ma non impossibile … i precedenti non mancano.

Ma conosciamo meglio “Quintessenza” attraverso le mie domande.



L’INTERVISTA

Sempre più spesso mi imbatto in gruppi di artisti che si rifanno al prog, ma puntano a qualcosa di più completo, che supera il fattore musica, e congloba arti differenti, come il teatro o il visual. Pensate sia una nuova necessità … un vero esempio di “progressione”, o è fatto casuale?

Hai centrato perfettamente il punto: pensiamo che alcune storie, per poter essere narrate comunicando il più possibile, abbiano la necessità di essere non solo ascoltate ma “vissute” dal fruitore. Abbiamo scelto il Progressive perché permette una varietà di licenze che altri generi non consentono, ma ci piacerebbe poter integrare la narrazione con qualcosa di tridimensionale, a tutto tondo, come la rappresentazione teatrale.

La riproposizione della vostra “opera rock” dal vivo è cosa ardua. Non pensate potrebbe avere funzione didascalica in ambito scolastico(è un mio pallino!)?

Beh, portare qualcosa in teatro in modo convincente e che riesca a trasmettere musica e parole senza risultare tedioso è sempre una scommessa … è molto costoso e richiede tempo e dedizione di un sacco di persone, te lo può dire Diego che da anni si impegna nella realizzazione di Musical come il Jesus Christ Superstar ed altri originali anche di sua stesura.Ma è una sfida che ci piacerebbe intraprendere, se ne avessimo le facoltà, e questo purtroppo implica una produzione artistica di un certo livello che ancora non abbiamo. Con funzione didascalica intendi trasformarla in una sorta di insegnamento? Non ci riteniamo così bravi da poter insegnare qualcosa.

Leggendo la vostra biografia ho notato l’evoluzione della line up, con partenze, ritorni e nuove partenze. Quanto è difficile trovare i giusti componenti di un gruppo di lavoro musicale, e quanto è complicato condividere gli stessi obiettivi?

Complicatissimo, dal momento che ci muove soprattutto la passione per la musica originale e, come è ben noto, in Italia questa non paga. Ci sarebbero migliaia di validissimi musicisti sulla piazza (sicuramente migliori di noi a livello tecnico), ma a noi servono elementi motivati e volenterosi, più che musicisti cosiddetti professionisti. Ed allora è dura, perché è una qualità che non si studia in conservatorio.

”Nei giardini di Babilonia” ha avuto lunga gestazione. Che cosa vi ha frenato dal terminare il più rapidamente possibile qualcosa iniziato dieci anni fa?

Sicuramente il fatto di aver abbandonato ogni vincolo discografico, anche minore, che ti spinge a produrre in fretta e in funzione di un benché risicato mercato. Abbiamo deciso che se non esiste una realtà discografica che consenta di esprimersi nei tempi e nei modi che si confanno alla nostra musica, allora non ci interessa alcuna realtà discografica. Ma siamo pronti alla smentita in qualunque momento, ovviamente.

Siete partiti da un‘autoproduzione(Pharmakon-2004) per passare alla Videoradio (Cosmogenesi -2006)per poi tornare alle origini. Quali motivazioni ci sono dietro a questi mutamenti di rotta?

Ecco, come dicevamo la motivazione è proprio quella del non volersi vincolare a pseudo contratti con scadenze e limitazioni, nonché notevoli COSTI. Marco volutamente questa parola, COSTI, perché la realtà discografica per i gruppi emergenti e che propongono generi non convenzionali è quella di dover pagare per un contratto, esperienza che non ci teniamo a ripetere. Cosmogenesi ha venduto meno copie di Pharmakon, ci crederesti? Certo, stare sotto ad una Label, anche minore, ci ha fatto guadagnare un po’ di nome… ma purtroppo viviamo in tempi che viaggiano alla velocità della luce e quello che fai oggi ha valore fino a domattina, poi devi saperti rinnovare. Continuamente.

Ripensando ai gruppi prog degli anni 70, ne esiste uno che, nonostante le vostre differenti culture musicali, vi può rappresentare in toto… una band su cui tutti vi trovate in pieno accordo?

Credo si tratti del Banco, un po’ perché ha sempre trattato la musica con ogni sfumatura si addicesse al caso, un po’ perché ha coraggiosamente proposto anche all’estero delle stesure in italiano e non di facile lettura armonica, che alla fine sono state premiate anche dai più difficili in termini di gusti.

Le collaborazioni con altri musicisti per la realizzazione di un album, sono qualche volta … un obbligo, un impegno morale?

No, non per noi almeno; chi partecipa alle nostre “pazzie” lo fa per il piacere di farlo, per amicizia o per gioco. Noi affrontiamo questa nostra passione con serietà quando serve, ma anche divertendoci, perché quando un musicista smette di divertirsi diventa un esecutore. Lungi da noi!

Incuriosisce l’utilizzo dello “Chapman Stick”, strumento non largamente diffuso. Quanto conta per voi la sperimentazione musicale?

Tantissimo. Federico ha deciso anni fa di apprendere l’utilizzo di questo grandioso strumento di cui il vessillo più conosciuto è certamente Levin e ne siamo felici, anche se questo significa rinunciare al basso in qualche brano. Per il futuro ci piacerebbe introdurre anche altri strumenti e sonorità, la musica è un linguaggio così articolato che sarebbe un peccato usare solo qualche vocabolo tra i più inflazionati.

Ho assistito alla Prog Exhibition di Roma e ho visto quale e quanto entusiasmo sia ancora in grado di suscitare musica di 40 anni fa. Il prog può diventare eterno come la musica classica?

C’ero anche io (Gabriele) e devo dirti che ho vissuto per due giorni in un’altra dimensione. Mi guardavo attorno mentre sul palco suonavano questi grandissimi Italiani coadiuvati da IMMENSI artisti come Ian Anderson, David Cross, David Jackson, e non credevo ai miei occhi, oltre che alle mie orecchie. Il Progressive è un genere che forse non ha mai totalizzato cifre da finanziaria di un piccolo stato, ma che ha saputo sopravvivere a tutte le mode più o meno commerciali ed esplosive della storia della musica, un genere che non morirà mai. Tra altri quarant’anni, sono certo che chi ascolterà Nursery Crime o Darwin sospirerà di soddisfazione esattamente come oggi faccio io. Inoltre, il prog ha molto in comune con la musica classica, non ce lo dimentichiamo.

Cosa vorreste vi accadesse, musicalmente parlando, entro i prossimi cinque anni?

Vorremmo che tornasse la cultura della musica suonata, e questo è un augurio non solo per noi ma per tutti i musicisti che sono mossi dalla passione e non dal guadagno facile. Tutto questo fingere, mettere basi, scomodare attrezzature da migliaia di euro per canticchiare su un file MIDI deve lasciare spazio a chi si dedica da tutta la vita ad uno strumento, è fisiologico che accada. Per quanto ci riguarda direttamente, speriamo di conservare questa passione e di lavorare ancora tanto assieme per fare quello che ci piace fare: comporre e suonare.