martedì 14 dicembre 2010

"Apeirophobia"- IFSOUNDS


Sono rimasto molto colpito da “Apeirophobia”, degli IFSOUNDS.
E’ un album che, secondo i miei canoni di gradimento, è riuscito in pieno.
Nell’intervista a seguire emergono un paio di aspetti importanti che vale la pena sottolineare.
Innanzitutto la voce di Elena Ricci.
La timbrica vocale è una caratteristica che contraddistingue un gruppo( alla stregua del suono della chitarra di Mark Knopfler o di Santana, che “è solo loro”), e anche quando non si gradisce, resta una peculiarità che, al primo ascolto, ci riporta a quella particolare band o a quell’artista conosciuto.
Di belle voci, ma “comuni”, scopiazzate e inespressive, il mondo della musica è pieno, ma quella di Elena ha qualcosa che resta, una sorta di retrogusto che magari non si apprezza appieno all’impatto, ma ti rimane dentro e non si dimentica più. Scelta vincente quindi quella che ha portato al rinnovamento della line up:
Un altro punto su cui ho dialogato a distanza con Dario Lastella, uno dei fondatori del gruppo nel 1993, è la questioni testi.
L’utilizzo della lingua inglese è spesso un obbligo per chi vive di rock, e rappresenta una facilitazione espressiva, essendo predisposta per il rispetto di una metrica “musicale”. Esprimere determinati concetti in italiano può risultare arduo e frustrante. Nondimeno, le poesie vanno capite e le storie analizzate, e nonostante tutti ormai utilizzino quotidianamente la lingua di Albione, la comprensione immediata di una lirica non è cosa semplice. Ma in fondo il primo gradimento arriva dalla musica, ed è per questo che, da ragazzini, ci siamo innamorati di canzoni di cui non capivamo assolutamente una parola. Il passo successivo resta comunque lo scoprire che tipo di messaggio è racchiuso, più o meno ermeticamente, nei testi.
I temi trattati da IFSOUNDS sono variegati, ma ne scelgo uno che è forse il simbolo dell’album, e rappresenta una riflessione che probabilmente è caratteristica di particolari fasce di età, quella di chi capisce che non ha più una vita davanti e chi, all’opposto, è solo agli inizi ma è angosciato “dal dopo”, da ciò che troverà in quel cielo blu che non sempre si può definire confortante:
La paura più profonda che avessi mai provato mi bloccò i sensi e mi spezzò il respiro.
Per la prima volta ebbi coscienza della fine, di un giorno senza più domani, di un giornosenza più oggi.
“Dove vivrò la mia eternità? È un luogo dove vivremo in pace? È un luogo dove non avremo più necessità?
Forse è solo un oceano vuoto, il più oscuro dei mari. Dove non avremo più né futuro, né ricordi. Affogherò nella luce eterna di pace? Affogherò nell’oscurità?
Visione pessimistica del futuro? No, accade con regolarità, a me e ai miei figli, ed è una condizione mentale che ci accompagna per tutta la vita.
Le canzoni non potranno cambiare il mondo, ma possono dare un aiuto sulla via della riflessione, di questo sono certo.
La musica.
Come spesso scrivo, il “catalogare” un gruppo è un esercizio sterile, ma utile a chi si avvicina per la prima volta a quella particolare proposta.
Spesso parlo di nuove band collocate nell’area prog, a cui vengono associati prefissi del tipo… new, metal, dark and so on.
Il prog che io riconosco come DOC è quello che mi ha fatto di lui innamorare ad inizio anni 70, e questo “Apeirophobia” mi riporta a quelle atmosfere.
Le influenze si “intravedono”, e accanto a qualche trama pinkfloideggiante ho ritrovato certi passaggi di Steve Howe e atmosfere ad ampio respiro che riportano a Tony Banks.
Ma l’album brilla di luce propria e ciò che mi appare piacevolmente evidente è che la complessità e i virtuosismi tecnici che lo compongono, sono legati tra loro da melodie di comprensibile impatto, ed è questo uno dei motivi per cui potrebbe essere scambiato per un LP seventies.
A corroborare questo mio feeling, l’utilizzo di una lunga suite, caratterizzata dalla variazione dei temi e dei ritmi, ma con una buona e rassicurante dose di equilibrio. Una suite che, come dice Dario Lastella, potrebbe essere l’omaggio alle celebrazioni dei 40 anni di prog italiano.

Una bella sorpresa.




L’INTERVISTA

L’idea del concept album è tipica di una parte della musica rock, quella progressiva e da quanto ascolto ultimamente è una strada che molti stanno percorrendo. Nel vostro particolare caso, sono i testi che si adattano alla musica o le trame armoniche si sposano con testi già precostituiti? O entrambe le cose?

Di solito è molto più semplice scrivere prima la musica e poi i testi. Ovviamente quando decidi di fare un concept tutta la scrittura diventa un processo differente, più simile alla scrittura di un romanzo che a quello della classica canzone pop da 3 minuti. Nel caso di Apeirophobia (parlo soprattutto della suite omonima) ho prima scritto una specie di “sceneggiatura” con dei testi in prosa, poi abbiamo messo su la musica e infine ho riadattato la prima bozza in versi sulla struttura musicale. Comunque davvero non esiste una regola fissa, anche se, per quanto mi riguarda, l'ultimo tocco è quanto meno adattare bene la metrica e la musicalità delle parole alla base strumentale.

Il tono vocale, più delle reali qualità tecniche del vocalist, diventa una delle caratteristiche principali di una band, che diventa così riconoscibilissima, nel bene e nel male. Che tipo di valore aggiunto ha dato, in questo senso, Elena Ricci?

Vedo con piacere che hai colto nel segno. Dopo il “divorzio consensuale” con Paolo De Santis, abbiamo chiesto ad Elena di entrare nel gruppo innanzi tutto perché è una nostra amica da tanti anni, ma anche e soprattutto perché ha un tono estremamente personale e riconoscibile. A mio avviso Elena ha una voce molto bella, anche se probabilmente non è ancora completamente cosciente delle sue potenzialità. Ad ogni modo credo che l'obiettivo sia stato raggiunto: in molti hanno apprezzato molto il colore della sua voce, altri ne hanno visto il punto debole del nostro suono, ma non ha lasciato nessuno indifferente e questo è un successo quando vuoi definire un sound.

La lingua inglese è inscindibile dalla musica rock, ma utilizzarla significa “nascondere” le liriche e rimandarne la comprensione a ulteriori ascolti o a letture successive. Sono molti i gruppi italiani, non affermati, che cantano in lingua originale e vengono distribuiti in tutto il mondo. Nel vostro caso qual è l’esigenza primaria?

Quando cominciai a scrivere i miei eroi musicali erano tutti britannici, quindi il mio songwriting è andato in quella direzione. Per quanto riguarda il “nascondere” le liriche non sono completamente d'accordo, tant'è che proprio per l'importanza che diamo ai testi abbiamo messo a disposizione a tutti il libretto tradotto in italiano sul nostro sito (lo trovi cercando in questo link: http://www.ifsounds.com/?page_id=183, oltre al fatto che in inglese i testi sono immediatamente comprensibili a un pubblico piuttosto vasto. Poi considera che scrivere dei testi così “impegnativi” in italiano è durissima soprattutto a livello di metrica. Ad ogni modo un pezzo in italiano lo avevamo pure fatto, ma poi lo abbiamo lasciato fuori dall'album solo per scelta artistica. Questo dimostra che in futuro non escludiamo testi in italiano.

Ho letto ciò che pensate in generale delle etichette che attualmente producono e distribuiscono la musica. Io ho esempi di persone che fanno questo mestiere mossi, in primis, dalla passione. Quali sono, secondo voi, i macro problemi che affliggono il businnes che gira attorno al mondo musicale?

Verissimo, infatti il mio era un discorso in generale: per esempio Nick Katona, il patron della Melodic Revolution Records è uno che lavora duro per la sua label solo per passione. Tuttavia ci sono troppi “squali” che non essendo abbastanza forti per “azzannare” il mercato, si rifanno su tanti gruppi di ragazzi sciacallando sui loro sogni. Sui macro problemi potrei scrivere un libro, anzi te ne segnalo uno già scritto da Hank Bordowitz che sto leggendo proprio adesso e si chiama “Dirty little secrets of the record business”... davvero molto istruttivo! Giusto per focalizzare un problema, segnalerei l'imbarbarimento dei costumi e dei gusti a cui anche l'industria discografica si è drammaticamente adattata. Il problema è ovviamente molto più ampio e grave rispetto a quattro canzonette, tuttavia, essendo l'industria discografica un settore in crisi nera (soprattutto per miopia e incapacità dei “padroni del vapore”), nel mondo della musica è molto più evidente.

Qualcuno ha detto: “ …. nella vita l’importante è avere una colonna sonora..”. La musica che più amiamo scaturisce da qualcosa di irrazionale che non ha niente a che vedere col lato prettamente tecnico, e io non sarei in grado di spiegare perché sono accompagnato da sempre dai Jethro Tull. E’ possibile individuare, una musica, un gruppo, che da sempre accompagna IFSOUNDS?

Il mio gruppo preferito sono i Pink Floyd, non è un mistero, anche se abbiamo sempre combattuto per non essere un gruppo-clone e mantenere una forte identità personale, che nel corso degli anni diventa (spero) sempre più evidente. Poi alla fine le influenze della musica che ti piace vengono fuori inevitabilmente, quindi ai vecchi Floyd aggiungici altri mostri sacri come Genesis, Beatles, Who, Banco del Mutuo Soccorso, Premiata Forneria Marconi, ma anche Police, Queen, e tanti altri. L'importante però è che alla fine “suoniamo a ifsounds” e non a brutta copia di qualche altro artista, per grande che sia.

Quale ruolo ha la sperimentazione nel vostro “lavoro”?

Notevole, almeno concettualmente. Certo è che nel 2010 si può dire che si è già sperimentato tutto (e probabilmente questo “tutto” era già stato sperimentato nel 1980!). Ad ogni modo siamo sempre alla ricerca di nuovi linguaggi artistici “non convenzionali”, anche se personalmente non amo la sperimentazione fine a se stessa, soprattutto se a portarla avanti sono dei non-musicisti che se ne escono con “destrutturazioni” che in realtà nascondono il fatto che non sanno suonare. Apprezzo (anche se a volte non comprendo a pieno) i lavori di Stockhausen, Berio e (tornando alla musica popolare) i primi album di Battiato o “Ummagumma” dei Floyd. Lì comunque vedi una ricerca artistica e di un linguaggio emozionale nuovo. Per quanto riguarda il nostro lavoro la sperimentazione spesso l'abbiamo cercata negli arrangiamenti e negli accostamenti. Nel nostro vecchio album “The Stairway” per esempio c'è un pezzo (“Uneasy sleep Part 2”) di musica completamente sperimentale, ma comunque contestualizzato nel concept e mai fine a se stesso.

Un amico, musicista blues, Fabrizio Poggi, racconta di come non esista differenza tra pubblico e musicista, tranne la posizione, uno di fronte all’altro, a sottolineare l’integrazione necessaria per la buona riuscita di una performance. Che tipo di relazione riuscite a stabilire col vostro pubblico durante i concerti?

È vero, ma a certi livelli è difficile avere un pubblico che riesca a mettersi sulla tua stessa lunghezza d'onda e a cui riesci davvero a parlare. Purtroppo poi, a causa della nostra particolare situazione geografica (io vivo in Spagna, mentre gli altri sono in giro per l'Italia), ultimamente non stiamo avendo troppe opportunità di esibirci dal vivo e quindi di instaurare questo rapporto speciale con il pubblico.

Esiste qualche gruppo della nuova generazione, italiano, che consigliereste agli amanti della musica di qualità?

Gente brava ce n'è tanta, ma spesso non in sintonia con i miei gusti. Comunque un nome di un gruppo che ho ascoltato recentemente e mi è piaciuto è Psicosuono.
Approfitto dello spazio e faccio pubblicità a due cari amici, che in realtà sono solo-performers. Il primo è un pianista-compositore straordinario che si chiama Corrado Rossi, un vero maestro dell'atmosfera: mi ha mandato il suo ultimo album solista “The Wood of Kites” ed è pieno di potenziali temi per colonne sonore da pelle d'oca.
Il secondo è un bassista veneziano che si fa chiamare Hox Vox. Un pazzo totale, un genio dell'art rock nel senso più letterale del termine (lui sì che fa musica davvero sperimentale), oltre che dell'arte multimedia (vedere per credere i suoi video!).

Tra il Festival di Sanremo e una musica “d’impegno”, può esistere una via di mezzo che possa soddisfare entrambe le situazioni, non tanto per l’obbligo del compromesso, ma per pubblicizzare la qualità musicale utilizzando un grande mezzo di diffusione capace di arrivare a milioni di persone?

È un vecchio dibattito, ma è sempre d'attualità. Sono anni che ormai non vedo il Festival, ma temo che sia stato “sorpassato a destra” da tali schifezze che forse sarebbe necessario riformulare la questione. Riferendomi al Festival “classico” posso dire che a volte c'erano anche buoni brani, ma che comunque normalmente si trattava di brutta musica fatta da professionisti almeno dignitosi (se non buoni) che ci dovevano campare. Oggi la musica di Sanremo non ha più neppure successo ed è comunque ampiamente sovrastata nella scala dell'osceno da musica fatta da chiunque abbia alle spalle una buona macchina di marketing, “tanto il popolo idiota mangia qualunque merda” pensano nei piani alti dove si prendono le decisioni e si tirano fuori i soldi. Per fortuna esiste internet, che è un mezzo realmente democratico: pensa che ifsounds, ovvero un oscuro gruppo art rock molisano, ha centinaia di migliaia de segnalazioni su Google ed è stato ascoltato da decine di migliaia di persone. Tutto sommato questa è una diffusione di massa. Ad ogni modo per arrivare al “grande pubblico”, quello fatto da milioni di persone, un musicista è ancora legato ai mass-media tradizionali, che per definizione cercano le cose che “fanno audience”. Da questo punto di vista la situazione è addirittura peggiorata rispetto a 30-40 anni fa, visto che i gusti della “massa” sono oggi osceni. Tuttavia c'è una sacca di resistenza che appunto nel web ha un mezzo attraverso il quale prendere coscienza e conoscenza di forme musicali più impegnate e interessanti. Questi coraggiosi “resistenti” finalmente hanno avuto il coraggio di spegnere la TV e le radio commerciali tradizionali e cercano la loro musica altrove. Il percorso è ancora lungo, ma sono ottimista!

Come vorreste che fosse , musicalmente parlando, il percorso di IFSOUNDS nei prossimi 5 anni?

Spero che tra cinque anni ci sia ancora tanta gente che ascolti e apprezzi la nostra musica, spero che la nostra proposta possa arricchirsi ed espandersi anche ad altre espressioni artistiche multimediali, ma soprattutto spero di avere ancora tante cose da trasmettere con i nostri suoni!