martedì 7 settembre 2010

Effetto domino... tra Janis Joplin e Donovan...


Inizio a scrivere questo post accompagnato da una piccola frustrazione, quella legata alla possibilità di non riuscire a trasmettere il feeling che mi induce alle seguenti, semplici, considerazioni.
La comunicazione è arte ( o mestiere) di per se complicata, e se parliamo di “traduzione” di sentimenti e ricordi, da proporre in modo chiaro e semplice, le probabilità di fraintendimenti aumentano.
La frequentazione della rete mi da la possibilità di allacciare fatti e personaggi che magari sono agli antipodi. Avere tante informazioni a disposizione e mantenere freschi nella mente i fatti significativi della giovinezza alimentano la mia “elasticità” mentale (fervida solo per le cose che mi interessano) e l’effetto domino conseguente annulla gli spazi temporali.
Ieri sera, non so per quale motivo, ho ricercato un video di Janis Joplin che amo particolarmente, per poterlo condividere su facebook. Sto parlando di “Piece Of My Hearth”, brano riproposto in mille modi da un esercito di musicisti.
Ma a me interessava un’esibizione particolare, quella del 1969, a Francoforte. Ci sono arrivato con pochi clic di mouse, ma anziché la solita versione sbiadita, di scarsa qualità, ne ho trovata una “ripulita” e nitida quanto basta per poter apprezzare i particolari.
Verso la fine del filmato il palco si riempie, e decine di fan si ritrovano a ballare e interagire con la Joplin, un esercito di ventenni, oggi sessantenni, se ancora integri fisicamente.
Uno di questi mi ha colpito per il suo modo goffo di stare on stage, inadeguatamente incravattato, fornito di ventre prominente, impegnato in una danza impacciata che comunque cattura l’attenzione di Janis.



Mi è venuto istintivamente da pensare a cosa avrà riprovato quel giovane dalla camicia bianca nel rivedersi a distanza di anni (se ci è riuscito), in un movie accanto a un’icona della musica rock di sempre.
Chi è gravemente “addicted to music” e ha alle spalle qualche lustro pieno di esperienze musicali, soffre della sindrome dell’ “Io c’ero”, che acquista maggior valenza se si aumenta la condivisione del ricordo.
Quando la scorsa estate mi sono ritrovato a un metro da Jack Bruce, in quel minuto di attesa prima del suo bis (… Io c’ero!) ho rimembrato in una frazione di secondo tutte le volte che avevo fantasticato ascoltando i Cream, e tutte le parole spese da adolescente nel commentare lo stato di Eric Clapton … e ora Bruce era li vicino a me … in carne e ossa( più ossa che carne), scontroso, scorbutico, ma mi sarebbe bastato allungare una mano...
La mano la allungai invece in un caldo pomeriggio estivo del 1972, quando al palazzetto dello sport di Albenga erano di scena i Van der Graaf Generator. Passai una mano sulla spalla di Dave Jackson e trattenni per un po’ il suo sudore, come una reliquia da conservare. Quando recentemente ho raccontato l’episodio a Jackson, ora mio caro “conoscente”, ne abbiamo riso di gusto, ma sono certo che non ha capito il significato della mia stupidità di allora.
Di episodi e aneddoti ne potrei raccontare a bizzeffe, ma lo scopo non è il vanto gratuito (anche se quando parlo di musica i miei pudori e le mie barriere cadono vergognosamente), ma l’evidenziare la differenza di significati che si tende a dare a fatti antichi quando questi ritornano prepotentemente a galla sotto forma di ricordi, scatenati magari da un vecchio filmato che inaspettatamente ritroviamo su youtube.
Ma può capitare a un povero (ex) ragazzetto italiano di ritrovarsi in un video inquadrato insieme alla Joplin, a Hendrix o a uno dei tanti rock artist che hanno presenziato ai grandi raduni a cavallo anni 70?
Sì, è possibile, e ritorniamo a bomba, al collegamento che mi è venuto naturale fare dopo aver rivisto il filmato di Janis, ieri sera, quando ho recuperato un episodio che mi era stato raccontato tempo fa, e di cui esiste testimonianza.

Michael Look (pseudonimo che usa quando si trasforma in musico) è un mio conoscente, spero amico, toscano.



Di mestiere fa l’architetto, ma largo spazio lo dedica alla musica e ho la fortuna di possedere il suo CD (non so se è l’unico), "Keep off the Children" che mi regalò senza che ci conoscessimo, o meglio fu quello il momento che passammo dal virtuale al reale.
Eravamo alla Convention dei Jethro Tull di Alessandria, nel 2008 e proprio l’amore per Ian Anderson e soci ci aveva fatto interagire all’interno del fan club.

Questo il suo racconto (con testimonianza video) legato alla sua adolescenza.

Ero in vacanza di studio in Inghilterra, come tanti, e avevo forse quindici anni.
Il figlio della direttrice della scuola dove andavamo la mattina era un produttore della BBC, e ci aveva dato il permesso per andarlo a trovare dandoci così la possibilità di visitare gli studios.
 
Arrivati lì ci fu detto che parte del pubblico che doveva venire ad assistere ad un concerto televisivo di Donovan aveva dovuto rinunciare, non so perché, e ci invitò a sostituirci ad esso.
Fummo piazzati alle spalle del cantautore, su degli ampi cuscini disposti un po' alla fricchettona, sul pavimento, dietro di lui. Donovan arrivò con un vestito tutto ricoperto di stelle, salutò e si mise a sedere all'indiana, imbracciò la chitarra e con varie armoniche a bocca piazzate sul supporto cominciò...
... e poi ci toccò sentire le urla infuriate del suddetto produttore, in perfetto italiano ("questo programma costa 500 sterline al minuto!") solo perché noi quindicenni non riuscivamo a stare fermi, accavallavamo le gambe, ci grattavamo e muovevamo la testa e, a quanto pare dovevamo stare fermi, fermissimi... mi ricorderò per sempre le occhiate di fuoco di quel direttore di scena! “.

Di quella serata esistono numerosi testimonianze, anche se Michelangelo mi aveva segnalato “The Pied Piper” (ora ho capito da dove deriva il nick che usa ogni tanto nel forum tullico).
Lui è il "giovanetto" immediatamente alla sinistra di Donovan, con la maglietta blu e tanti, tanti capelli in testa, e non sta mai fermo.


Era estate, era l'Inghilterra, era il 1972.