giovedì 19 agosto 2010

Intervista a Tony Pagliuca.


Alcuni giorni fa ho pubblicato il mio pensiero su "Apres Midi-Ormeggiando", di Tony Pagliuca
Tony mi ha dedicato un pò di tempo, rispondendo a qualche domanda.
Una mia piccola premessa per Tony Pagliuca, come cappello all'intervista.
Sono convinto che i musicisti rock (mi piace utilizzare un’unica grande famiglia musicale) di un tempo non potessero capire che cosa essi significavano per noi, in un periodo in cui i nostri miti si potevano solo vedere su CIAO 2001, o sulle copertine dei vinili. Anche mentre sto scrivendo, mi appare … innaturale poter aver questa possibilità, questo privilegio.
Ricordo come fosse ora quel pomeriggio in cui un amico, appassionato di musica come me, scese in strada con in mano l’eterea copertina di “Collage”. Io avevo ben in testa le Orme, per una canzone che, come spesso accade agli adolescenti, aveva segnato due mesi estivi del 1970, ed era “Irene”.
Bei ricordi, ma cosa c’entrava il facile ritornello di Irene con la musica d’oltremanica a cui mi stavo avvicinando?
Il mio amico, insuperabile nel “raccontare” un disco, mi portò quindi il vinile da “guardare” e quando fu possibile appesi in camera il poster di CIAO 2001 che riprendeva l’immagine dell’LP.
Comprai, e ascoltai quel disco incessantemente per giorni e, al di là delle cronologie ufficiali, ricordo “Collage” come il primo disco di musica progressiva italiana.

L'INTERVISTA

La linea di demarcazione tra “Irene” e “Cemento Armato” mi appare come una voragine, che per essere oltrepassata richiede sforzi enormi di immaginazione, volontà e coraggio, elementi determinanti per affrontare un cambio culturale. Che cosa realmente vi affascinò di quella musica, di quella formazione alla NICE, che di fatto accantonò la tradizione pop italiana del momento? 
Irene è una canzone di Nino Smeraldi, il leader delle Orme dell’epoca beat, una melodia giovane e nobile che io amo suonare nei bis in alcuni concerti di solo piano. Irene nasce giusto nel periodo delle decisioni, il gruppo si trovava confuso davanti al bivio: continuare a suonare il beat magari con l’obbiettivo di rinfrescare la melodia italiana o tentare il salto nell’incognita del nuovo. Irene con il suo testo innocente ci ha accompagnato per quel breve periodo al bagliore dell’aurora del grande cambiamento.

Le attuali collaborazioni con gli artisti stranieri importanti, provenienti soprattutto dall’Inghilterra, sono all’ordine del giorno, ma anche allora i contatti erano obbligati e frequenti, non solo nel caso delle ORME. Senza scendere sulle qualità tecniche, come erano i rapporti tra di voi? C’era una specie di sudditanza psicologica? Qualcuno trattava con sufficienza chi non apparteneva geograficamente al gotha della musica prog?
 Gli inglesi sono i maestri della musica moderna e da parte nostra c’è stato sempre grande rispetto e ammirazione. I rapporti sono sempre stati all’insegna della cordialità e della professionalità, ma il divario culturale potrebbe aver viziato qualche collaborazione; Ci consola il fatto cheTony Stratton Smith, lo scopritore deiGenesis e dei Nice, si sia interessato a noi, pubblicando " Felona&Sorona" in inglese.

Hai un aneddoto significativo, positivo o negativo, legato a qualche collaborazione o incontro on stage? 
Per l’esigenza di crescita del gruppo avevamo deciso di confrontarci e volevamo riuscire a fare un LP senza l’aiuto del nostro “Guru” l’amico e direttore artistico GianPiero Reverberi. Per superare questa prova scegliemmo Londra; eravamo molto caricati per il successo di "Canzone d’amore" . La casa discografica ci trattò al meglio prendendo in affitto un appartamento nella zona centrale di Myfair, ma doveva essere molto preoccupata perché ci prenotò lo studio di un altro maestro delle tastiere, il NEMO studio di VANGELIS. Poteva sembrare una mossa intelligente per darci sicurezza nel caso ci fossero state difficoltà, ma a me fece l’effetto contrario. La sudditanza che provavo con Reverberi l’avevo trasferita su Vangelis per cui passammo uno, due giorni, una settimana senza fare una sola registrazione. “Stanno accordando le chitarre” si sentiva al telefono a Milano. Al mattino dell’ottavo giorno  il grande Vangelis Papathanassiou si presentò in studio con a fianco un ometto con una giacca di flanella e una borsa da ostetrica in mano. Pensammo: "Oddio cosa succede ora?" Vangelis in quel momento salutò tutti con un sorriso molto ... greco ed entrò in sala di registrazione; l’ometto si sistemò in un angolo dello sterminato studio pieno di tastiere e salì sopra una piccola pedana di legno, si piegò sulla borsa ed estrasse una tromba tutta lucida e cominciò a suonare una melodia strana, incomprensibile, ma con il passare dei minuti sembrava si diffondessero nell’aria parole del tipo : "ragazzi muovetevi questa è la sveglia!" Era per noi la sveglia! Poco dopo ci riprendemmo e rinfrancati chiesi a a Vangelis : Secondo te in questo passaggio in Fa maggiore ci metteresti come basso il primo rivolto o il fondamentale? E lui guardandomi stupito: - Ma uno vale l’altro, lasciate perdere l’accademia e suonate come sapete suonare-. La crisi cessò di colpo e partimmo suonando senza mai più fermarci.

Ho visto le ORME negli anni 70 a Savona, la mia città. Ho ripetuto l’esperienza lo scorso anno, stesso teatro. Tu non c’eri, ma devo onestamente dire che l’entusiasmo verso la “vostra” musica non è scemato, come a dire che cambiando gli attori, se il copione resta lo stesso ed è di qualità, anche il risultato non cambia. Sei d’accordo che la musica delle ORME ha assunto la dimensione che prescinde da chi la propone(se di artisti si tratta, ovviamente)? 
Ahi ahi, qui tocchi un tasto delicato. Va da se che qualsiasi musica reinterpretata da musicisti professionisti offra sempre una dose più o meno variabile di emozione. Nel caso delle Orme è un fatto molto personale: io me ne sono andato dal gruppo nel 1992 perché non condividevo più il loro modo di vivere la musica; sono sempre un po’ coinvolto per dare un giudizio obbiettivo e scevro di un senso critico, per cui quando sento i miei ex colleghi che suonano la musica delle Orme mi viene spontaneo dire -sì bravi ma mancano un po’ di Toni-.

Senza voler entrare nei particolari e nei rapporti interpersonali, ti sei mai pentito di aver lasciato il gruppo e di aver intrapreso una più difficile carriera autonoma? 
Con Le Orme mi sono lasciato due volte: la prima per un mio peccato di superbia, pretendevo dagli altri un maggiore impegno; la seconda , dopo la reunion del 1996, perché non potevo più sopportare la loro “vendetta”. Per cui, mi pento solo per il primo abbandono.

Nel 2004 sono andato a Voghera a sentire gli YES, cioè il gruppo che un anno prima, a Savona, mi aveva fatto capire quanto per me fosse importante la musica che da un po’ avevo accantonato. Sapevo di trovare la PFM preceduta da un ulteriore gruppo spalla, i Malaavia. Non sapevo però di trovare sul palco Tony Pagliuca e devo dire che la cosa mi ha indotto a riflessioni, che niente avevano a che fare con la performance, ma nella mia testa il tuo posto naturale era sul palco principale, affianco di PFM e YES. Sono solo considerazioni di impronta sentimentale, o anche tu, a volte nella vita , hai provato questa sensazione di non essere nel posto che ti competeva?(ovviamente non è mia intenzione togliere importanza a Scarpato e soci). 
Gli ultimi anni con Le Orme, quelli della ”espiazione", sono stati terribili per me; non avevo più la stima dei miei colleghi e sentivo che mi tenevano sul palco solo perché ero proprietario del nome. Qualsiasi mia idea veniva bocciata ancor prima che la esprimessi; qualcuno mi aveva anche proibito di suonare il mio strumento, l’organo Hammond, costringendomi a usare strumenti digitali che non sopportavo già da allora. La situazione era drammatica, il pubblico percepiva qualcosa, ma c’era l’altro tastierista che bonificava. C’erano dei momenti durante il concerto che avrei potuto leggere tranquillamente il giornale, per cui quando me ne andai, ( e in malo modo), seppi che alle mie spalle si intonò il coro della calunnia diffondendo in tutta la penisola un venticello ingiusto che mi danneggiò parecchio.

Le reunion di grandi e piccoli gruppi sono all’ordine del giorno. L’ultima di cui sono a conoscenza, imminente, riguarda i TRIP del mio concittadino Joe Vescovi. Sono fatti che appassionano molto chi non ha dimenticato e chi vorrebbe rivivere quei giorni. Cosa secondo te muove i musicisti a rimettersi in gioco, in un età in cui, inutile nasconderlo, certe attività concertistiche potrebbero anche pesare? 
Ma chi ha la musica nel sangue non conosce l’invecchiamento, anzi.

Nel tuo “metodo di lavoro” quotidiano, quale spazio dedichi ai giovani e qual è, in senso più generale, il rapporto che hai con musicisti, magari molto bravi, ma all’inizio del percorso? Mi piacerebbe trasferire agli studenti che vogliono fare composizione, la fantasia e la incontenibilità dell’arte.

Qual è stata la spinta che ti ha portato a rivisitare i brani delle ORME in chiave acustica, realizzando Apres Midi- Ormeggiando? 
La casa discografica Universal, dopo aver sentito i provini della mia musica per piano solo, mi ha suggerito di fare un disco più riconoscibile arrangiando i pezzi delle Orme, e così ho fatto. Per cui ringrazierò tutta la vita Claudio Magnani per avermi costretto a ritornare sulle mie Orme.

Mi dici cosa ha rappresentato per te, umanamente, Giampiero Reverberi? 
Il Maestro Reverberi è diventato per i miei figli lo zio “Piero”.

Pochi giorni fa mi è capitato di ascoltare una reunion quasi completa del BMS, dedicata a Rodolfo Maltese, in fase di superamento di un grave problema fisico. Dagli anni 80 i fratelli Nocenzi non si esibivano assieme, e sul palco Francesco Di Giacomo ha duettato con Bernardo Lanzetti … uno spettacolo per i presenti! Io sono convinto che solo la musica possa dare emozioni così intense e aggregare, al di là delle barriere anagrafiche. Qual è la tua opinione? 
Oh sì, la musica è una cosa meravigliosa, unisce tutti i diversi linguaggi, purtroppo spesso è prigioniera di cattivi consiglieri.

Prima di dirmi come immagini il Pagliuca proiettato nel futuro prossimo, vorrei chiederti: Il luogo in cui tu, Dei Rossi e Tagliapietra vivevate, ha condizionato la vostra musica? 
Il capo della Polygram Alain trossat, nel 1979 ci aveva accusato di vivere in una la torre d’avorio, ma forse è stata la nostra provincialità a risparmiarci una fine precoce. Ma c’è da dire che l’Italia in questo periodo offre poche possibilità di sviluppo per chi canta fuori dal coro.