domenica 26 settembre 2010

PTAH-PHAEDRA


La testimonianza di ascolto di un nuovo album dovrebbe seguire, anche, dei canoni “quantitativi”, perché esistono regole di pubblicazione che vanno rispettate.
Laddove tali regole non esistono (ad esempio un blog musicale come questo), occorre comunque tenere presente che il potenziale lettore spesso non può dedicarsi a lunghe letture, ma gradisce le pillole, i “bignami” musicali, perché … non c’è mai tempo per niente! E quindi si perde in efficacia.
Io non mi curo mai di questi aspetti, privilegiando il messaggio che voglio passare, lungo o corto che sia. E con questo metto le mani avanti!
Quando ho ricevuto “il kit” relativo a “PTAH, la parte descrittiva ha prevalso sull’ascolto.
Avevo in mano talmente tanti dettagli, chiari, imme
diati, che non ho resistito alla tentazione di capire l’iter compositivo, e solo successivamente mi sono dedicato all’ascolto, arrivando poi all’intervista che propongo a seguire.
La prima riflessione spontanea mi ha portato a pensare che se questa “opera rock”, “PTAH”, di “PHAEDRA”, fosse stata scritta e proposta nei primi anni settanta, sarebbe oggi considerata una pietra miliare del rock italico, e forse qualcosa di più.
Spesso rivalutiamo e osanniamo lavori che un tempo accantonavamo con la giustificazione della clonazione anglosassone, e questo album, che ovviamente contiene le contaminazioni che fanno parte della cultura di ogni musicista, è qualco
sa di estremamente completo, curato e sicuramente “antico”, quasi fuori dal tempo.
Antico come la musica di J.S. Bach, di Robert Johnson, dei Genesis (similitudine, ovvio, non termine assoluto).
Antico, nella mia mente, non si traduce con “ vecchio o superato”, ma con “valore duraturo”.
Non ero più abituato a questa completezza prog (tutto
ora viene spacciato per sottofamiglia prog, ma non so secondo quale concezione), a un lavoro a così ampio respiro, che per diventare totalizzante richiederebbe la fermatura del cerchio, e cioè una rappresentazione teatrale ( se non è già stata realizzata).
Partiamo dal contenuto, incentrato sulla condizione u
mana, argomento che non rappresenta certo una novità, ma trattato in maniera talmente originale che le immagini musicali, unitamente ai testi, provocano l’immediata creazione di un film virtuale che scorre nella mente di chi ascolta i quasi settantacinque minuti di proposta musicale.
PTAH (nella mitologia una divinità egizia, patrona de
lle arti e delle professioni) è il protagonista dell’opera, colui che è assunto come simbolo, come primo esempio di uomo, una sorta di mediazione tra la spiritualità di chi tutto può e il materialismo conosciuto (e mai sconfitto) caratteristico della condizione umana.
Davanti ai suoi occhi soprannaturali scorre il dram
ma di ogni uomo, in qualunque era egli abbia vissuto.
C’è la vita, la pianificazione, la costruzione, le lotte, la violenza, l’invidia, la distruzione il buio totale. Passano gli anni, scorrono i secoli, ma “noi” ci riproponiamo monotonamente sempre allo stesso modo, incapaci di godere di ciò
che ci viene donato e, poco lungimiranti, inclini all’autodistruzione.
E il dolore dell’immortale Ptah risiede nell’immensa frustrazione derivante dal non avere un timone in grado di invertire la rotta, cercando nuovi e sereni lidi.
Ptah possiede ciò che gli uomini non possiedono, ma la sua voglia e la sua capacità di incidere sul futuro vanno a scontrarsi con chi rifiuta tale aus
ilio, incredulo che ciò possa accadere a lui: anche i problemi più complessi possono trovare soluzione, se esiste una volontà comune di risolverli, ma è facile accorgersi, nel quotidiano, quanto questo sia contrario alle normali pratiche di vita, nonostante esista da qualche parte un Ptah, (Dio, Budda o chissà chi), che forse può solo osservare e … attendere.
In questa attesa vedo la speranza, e quindi mi piace immaginare un finale a lieto fine, nonostante la tragedia, perché le speranze devono
superare le condizioni del momento, e in fondo tutti aspiriamo a una vita diversa, magari non basata sulla felicità perpetua, ma sicuramente serena:
” … la verità non portò ad una nuova epoca di prosperità, ma ad un periodo di attriti prima, di odio poi ed infine la guerra. Quella guerra Totale e Definitiva che Ptah, di nascosto da tutti, era riuscito fino a quel momento ad evitare. Ma ormai non aveva più alcun potere sull’Uomo.
Ancora una volta fuggì alla follia distruttiva del suo pupillo, sconsolato e deluso.
E attese. Attese a lungo, come solo lui sapeva
fare…”


E veniamo alla musica.
PTAH ha avuto lunghissima gestazione e, grazie al susseguirsi delle performance dal vivo durate anni, l’album ha seguito diversi momenti di affinaggio, con modifiche (suscitate anche dalle reazioni dell’audience) tese alla ricerca della piena soddisfazione (anche se credo che ad ogni rilettura esistano i presupposti per un ulteriore miglioramento).
Ma notevole importanza sul risultato finale è derivata dalla “maturazione” della line up (otto gli elementi attuali) divenuta prettamente di stampo classico/acustico.
Violini (due), flauto, mandola, chitarra a dodici corde, si uniscono agli strumenti più tradizionalmente rock, ma danno la vera impronta prog, almeno secondo i miei crismi.
Non è importante appartenere a una categoria universalmente riconosciuta, ma è da evidenziare l’estrema qualità di questo “prodotto” e inquadrare il genere musicale può essere un aiuto per chi è tentato di avvicinarsi a PHAEDRA.
Ho riconosciuto in PTAH tutta la mia musica più cara, miscelata, contaminata e proposta in modo originale.
Molti i brani strumentali, utilizzati come “traghetto” tra una lirica ed un’altra, ma straordinariamente in tema con il messaggio.
Prendiamo l’esempio della contrapposizione di situazioni, “La costruzione di Atlantide” e “Atlantide distrutta”. Se è vero che il significato è racchiuso nel titolo stesso, e può quindi essere condizionante, ho trovato, ascoltando ad occhi chiusi, le immagini della crescita, pietra su pietra, di un continente, una città, un paese, mentre le note successive mi hanno fornito la fotografia della “composta” (forse perché scontata) distruzione.
Amo l’utilizzo di strumenti “folk” nel rock e trovo che l’unione dei due generi, con spolveri di “classico”, sia una miscela di completa soddisfazione.
Potrei citare tanti esempi di icone (almeno mie) musicali che ho ritrovato in PTAH, dagli YES ai Jethro Tull, ma sono ovvie, e preferisco fornire una similitudine un pò azzardata, che potrebbe sembrare “profana” e riguarda il vocalist, Claudio Granatiero, e il suo metodo interpretativo, un misto di “corredo personale, impostazione didattica ed esperienza. Ho ritrovato tracce di una ex grande voce (secondo il mio modesto parere), persasi nei meandri della superficialità e della musica commerciale.
Sto parlando di Alan Sorrenti, che ci ha regalato uno degli album più “innovativi” degli anni settanta, che è “Aria.
Mi riferisco ad atmosfere affini e non a timbriche vocali.
A quei tempi Alan, non ancora figlio delle stelle, ma compagno di viaggio dello sconosciuto Dave Jackson, rappresentava il coraggio e la sperimentazione, vocale e compositiva, poi tutto perso nello spazio di un fazzoletto temporale.
Granatiero, tra l’altro realizzatore del fantastico libretto dell’opera, mi ha riportato al feeling vocale di “Vorrei incontrarti”, e spero che l’immagine positiva di “quel Sorrenti” non sia stata distrutta da facili luoghi comuni.
Qualche altra nota al contorno.
Ho visitato il sito di PHAEDRA,
http://www.phaedramusic.it/, e l’ho trovato fantastico.
Lo sottolineo sempre, quando accade( ricordo di essere rimasto strabiliato da quello di Corrado Rustici) perché contribuisce a fornire l’immagine del gruppo e, se è anche funzionale, aiuta davvero a comprendere l’ideologia di una band.
Ho trovato anche essenziale la lettura del libretto dell’opera, in assenza del quale si perderebbero molte sfumature e molti significati, non sempre decodificabili dalle semplici liriche.
E’ un peccato però (come spesso accade) che il book all’interno del CD non sia facilmente leggibile( mi riferisco alla parte esterna, illustrativa).
Concentrare tanto materiale in poca superficie e mantenere la chiarezza è cosa impossibile, ma forse lavorare sui contrasti di colore ( o sui caratteri) per evidenziare la parte scritta potrebbe essere uno spunto di miglioramento.
Un album a mio giudizio fantastico … direi a tratti didascalico, tra letteratura, musica, teatro e storia … e se io fossi un professore di scuola non esisterei a provocare qualche interattivo … giudizio d’ascolto!





INTERVISTA
La prima cosa che mi ha colpito leggendo le note oggettive è che questa opera prima ha avuto lunga gestazione e avete cercato numerosi test sul campo, prima di iniziare le registrazioni. Tutto questa significa cura dei particolari … ricerca della perfezione … necessità di “sfruttare” le indicazioni del pubblico, o esistono anche problemi pratici legati alla ricerca di qualcuno che credesse in voi e vi permettesse la realizzazione di quello che suppongo sia un sogno? Entrambe le cose che citi. Abbiamo provato dal vivo i brani durante la fase compositiva per testarli e capire come “giravano” gli arrangiamenti, che talora abbiamo modificato in virtù di un risultato più consono al prodotto musicale. Poi, mentre registravamo, ci siamo messi alla ricerca di una etichetta che fosse interessata al nostro lavoro pur essendo consci della difficoltà; la ricerca è risultata vana ed abbiamo deciso per la autoproduzione che presenta non poche difficoltà pratiche, ma un maggiore controllo sul proprio materiale. Ecco perché sono trascorsi diversi anni dalla fine della fase compositiva.

Mi riallaccio alla precedente domanda.
La vostra, che piaccia o non piaccia, è musica di estrema qualità, che richiede tempo per la realizzazione, e sforzi inimmaginabili, da ogni punto di vista.
Riuscite a essere tolleranti (io da musicofilo non lo sono!)con chi arriva al successo con una canzonetta da tre minuti, che potrebbe scrivere chiunque ne avesse il coraggio (non riesco a dimenticare l’incubo di “Arisa”)? Come vi ponete davanti a trasmissioni come “X Factor” o “Amici”?
Ti ringrazio per i complimenti! il nostro obiettivo non è quello di essere perfezionisti o maniacali, ma di rendere al meglio l’idea musicale che abbiamo in testa. Riguardo alle canzonette non me la sento di essere troppo critico nel senso che ogni mercato ha la sua musica e cerco di rispettare tutti, sebbene magari un genere non mi piaccia per nulla. Riguardo ad alcune trasmissioni citate da te, ritengo che possano essere un palcoscenico per tante persone speranzose che ci credono, ma possano anche essere “pericolose” quando fanno credere ai giovani che per emergere e aver successo non serva l’impegno, lo studio e il sacrificio, ma tutto sia affidato al Fato benevolo!

Un opera rock è cosa “d’altri tempi”, quei tempi che forse stanno ritornando, in sordina, a galla. Che cosa vi ha spinto a intraprendere il viaggio del concept album? Che cosa affascina di una musica con un unico filo conduttore?
L’idea iniziale partì dal fatto che alla fine degli anni novanta eravamo stufi di comporre brani a se stanti e slegati fra di loro. Volevamo raccontare qualcosa che potesse fare riflettere, e la condizione dell’UOMO nelle sue varie sfaccettature ci sembrò una buona idea … almeno all’epoca. Certo non diciamo nulla di nuovo; è stato fatto tante volte in passato, ma ognuno l’ha raccontato in maniera differente. In fin dei conti è la “nostra” storia, quella di tutti noi, l’Umanità. Rispetto alla nostra vecchia formazione classica degli anni novanta ( basso, batteria, chitarra, tastiere), il cambiamento peculiare è stato l’inserimento dei violini, flauto traverso, mandola, mandolino, strumenti acustici che ti consentono di avere un range più variegato, sia come frequenze che possibilità di arrangiamento; certo il nostro sound ora, rispetto ad un tempo, è meno prog nel senso comune ( Yes, Genesis), ma al momento a noi va bene così.

Qual è il profondo significato di “PTAH”?
PTAH era il patrono delle arti e delle professioni; inizialmente però il nome fu preso come un personaggio simbolo e non specificatamente riferito alla cultura egizia; è il protagonista dell’opera ma incarna sostanzialmente il prototipo dell’UOMO, con i suoi timori, suoi conseguimenti, i suoi sentimenti conflittuali, le sue speranze, E’ una storia ambiziosa e disillusa, con diverse chiavi di lettura, da quella immediata, fantastica, a quella metaforica.

Che cosa vuol dire per voi esibirvi dal vivo? Quanto è importante ( escludendo la fase di test del “prodotto”) il contatto diretto col pubblico?
Il proporsi dal vivo non è per tutti i musicisti un momento fondamentale. Taluni ( anche famosi) producono solamente dischi e temono il contatto col pubblico. Per i gruppi come il nostro il momento è importante ma non essenziale. Personalmente amo il contatto con il pubblico per via del fatto di riuscire a trasmettere le emozioni o sensazioni attraverso la musica. Non puoi pensare, nel nostro caso, di avere delle folle adoranti perché il genere musicale è più riflessivo e per nulla danzereccio, ma la sfida è proprio questa: quante persone riesci ad interessare o portare a pensare con la tua musica ?

La vostra musica, e gli strumenti che adottate, riportano al classico e a strutture musicali complesse. Esiste nel gruppo un’anima di puro rock, che in alcuni momenti, magari di relax, esce allo scoperto?
Beh, certo. A parte i musicisti di estrazione classica, alcuni di noi ( io in primis) veniamo dal rock con tanti anni di esperienza di palco in gruppi blues, soul, hard; d’altra parte le ritmiche che senti nel disco sono quasi sempre frutto della sezione basso–batteria. Credo che il difficile nel nostro sound sia proprio fare andare d’accordo la parte più eminentemente rock con quella classica o folk.

Immagino che le vostre influenze non si possano ridurre a un solo nome del passato, ma se proprio doveste dare il primato della perfezione prog anni settanta, su chi puntereste il dito?
Personalmente vorrei citare i Gentle Giant, che considero il migliore blend di generi e stili. Il rischio in questo caso è di eseguire una accozzaglia di generi senza né capo né coda, come spesso accade e si ascolta in certi dischi, ma i Gentle Giant erano dei maestri, non solo nell’utilizzo degli strumenti, ma anche nel sapere fondere influenze diverse con grande sagacia senza apparire mai eccessivi o ridondanti. Il difficile è propri riuscire a fare piacere una musica anche quando è complessa, e loro ci riuscivano benissimo !

Ho sempre sostenuto che la musica progressiva si possa paragonare a quella classica, nel senso che esistono difficoltà di composizione, realizzazione e ascolto e, soprattutto, è qualcosa di immortale. Ma dal mio punto di vista c’è molto di più da dire. La musica di Genesis, YES, Gentle Giant, Van der Graaf, King Crimson, Pink Floyd, Jethro Tull, per citare solo alcuni gruppi, è qualcosa di unico, riconoscibile e incomparabile: loro hanno inventato qualcosa che prima non esisteva. Siete d’accordo su questo e … nel l’ambito del vostro lavoro vi ponete anche l’ambizioso traguardo di creare qualcosa per qualche aspetto unico o lo ritenete fatto frustrante e utopistico? Certamente i gruppi che citi hanno reimpostato i canoni della musica rock apportando influenze varie. Il pensare di creare qualcosa di nuovo per quanto ci riguarda sarebbe un pochino pretenzioso da parte nostra; ci interessa però riuscire ad esprimere quello che desideriamo attraverso la nostra musica, con la nostra strumentazione particolare, con il nostro modo di arrangiare i brani, che magari col tempo potrebbe anche divenire riconoscibile. Una peculiarità nostra, per esempio, è l’assenza del ruolo titolare di chitarrista, pur essendo in otto musicisti; eppure chitarre ce ne sono nel nostro disco; questo significa che abbiamo, per così dire, ”abolito” il chitarrista solista , cercando invece di lavorare sulle composizioni.

Che tipo di alchimia unisce il vostro gruppo? E’ necessario un perfetto accordo umano o è cosa superflua per chi è professionista?
Per chi è professionista potrebbe anche essere superfluo, ma nel nostro caso una alchimia ci deve essere e passa anche da una comunanza di ascolto e pratica musicale; inoltre quando sei in fase compositiva riesci a essere sulla stessa linea con una o due persone al massimo. Nel nostro caso non è che ci si mette tutti assieme e si “sparano” note; evitiamo l’improvvisazione, ma si lavora su qualche traccia, idea, spunto, arrangiandolo gradatamente. Si lavora molto ” a casa” ; ognuno si scrive delle parti e si mettono a confronto nella fase “gruppale” fino all’arrangiamento finale.

Quanto condiziona la vita privata/familiare un impegno musicale come il vostro? Non essendo più dei ragazzini è evidente che abbiamo bisogno di molto tempo per fare quadrare le cose; inoltre la maggior parte di noi ha anche altri gruppi musicali di vari generi. I tempi per tanto si allungano per realizzare i nostri progetti, ma cerchiamo di non fare le cose in fretta, piuttosto lente ma soddisfacenti.

Non amo molto le etichette e le collocazioni musicali, anche se sono utili per inquadrare le differenti situazioni, e in ogni caso chi si esprime attraverso la musica non decide di appartenere ad una specifica categoria ma “regala” la propria cultura e il proprio credo, nel modo a lui più consono. Come sintetizzereste la vostra musica per facilitare il lavoro di chi si avvicina a “PTAH”? Sono perfettamente d’accordo con te sul fatto di non categorizzare troppo. Le codificazioni avvengono sempre ex post. Non credo che i Moody Blues, all’inizio della carriera, suonassero con un certo stile al fine di essere inquadrati nel genere progressive! Pur tuttavia, nel frastagliato mondo musicale odierno, devi essere “inquadrato” e riconoscibile per motivi pratici e commerciali. Quindi a noi non dispiace se veniamo inclusi nel filone progressive rock, sebbene si tratti di una categoria che ingloba decine di varianti e sottogeneri difficilmente confinabili. Nel nostro caso credo si trovi una forte tradizione italica sia per le melodie sia per l’utilizzo degli strumenti e della lingua stessa, a fianco di forti influenze classiche e folk innestate su matrici rock. Non saprei sintetizzare con un unico termine.

Che cosa ci potrebbe essere dopo un’opera rock… come immaginate il vostro futuro professionale?
A dire il vero ne abbiamo già parlato e a breve dovremmo riprendere la fase compositiva. Non credo che ci discosteremo molto da questo stilema. Non riusciamo più a pensare di dover scrivere brani che siano slegati fra di loro, vale a dire canzoni a se stanti, e non so se questo sia un limite o un pregio. Il fatto di utilizzare una idea concettuale ti autorizza pure a comporre musica in maniera più omogenea, a nostro avviso. Credo che sia un percorso inevitabile dopo anni di frequentazione di gruppi musicali.

Un’ultima domanda. Siete felici … musicalmente parlando?
Sì, fondamentalmente ci sentiamo “felici”, sebbene ancora oggi nell’ ascolto di PTAH riscontriamo piccoli errori o difetti di cui noi siamo bene a conoscenza, avendoci lavorato per parecchio tempo. Siamo convinti però che alla fine siamo riusciti a rendere discretamente bene l’idea iniziale, musicale e lirica, grazie anche al notevole lavoro di mix e mastering da parte di Marco Olivotto della LOL Productions.


PHAEDRA: biografia e info

Il gruppo musicale PHAEDRA nasce a Pergine (TN) nel gennaio del 1993. Il complesso in breve tempo allestisce un repertorio di cover di classici del genere rock progressivo (Genesis, Yes, Rush etc.) con il quale si esibisce in teatri e manifestazioni all’aperto.
Nel 1995 la band comincia anche a dare vita a brani di propria produzione che sono riuniti in un cd-demo autoprodotto. Le apparizioni più significative arrivano in eventi come Musikadine, Genesis tribute e diverse selezioni per concorsi nazionali; nel settembre 2000 PHAEDRA si propone con una nuova formazione con l’intento di comporre brani in italiano legati da un tema concettuale.
Nel 2002 il gruppo si presenta alla X edizione di Concentratissimo rock, rassegna musicale della provincia di Trento e vince come miglior gruppo originale proponendo un estratto di brani dall’opera rock PTAH, che è stata presentata nella sua interezza nel corso degli ultimi quattro anni.
L’opera rock PTAH è stata spesso presentata in anteprima dal vivo e nel corso degli ultimi anni i Phaedra hanno autoprodotto cd dal vivo, vhs e Dvd con esecuzioni live di PTAH e brani inediti. Affidatisi alle cure dell’ingegnere del suono Marco Olivotto – titolare della LOL Productions – e fondata la casa discografica Phaedra Music, i Phaedra pubblicano ufficialmente il cd PTAH il 19 gennaio 2010, con un affollato showcase di presentazione a Pergine. Nell’evento di presentazione annunciano anche la loro partecipazione ad un imminente disco di tributo internazionale alla popolare progressive band svedese dei
Flower Kings.

Info:
www.phaedramusic.it
www.myspace.com/phaedramusic

ATTUALE FORMAZIONE :

- CLAUDIO BONVECCHIO: basso, chitarra 12 corde, voce
- MATTEO ARMELLINI: batteria
- STEFANO GASPERETTI: tastiere, chitarre acustica, elettrica e classica, mandola
- CLAUDIO GRANATIERO: voce solista e libretto dell’opera
- DAVIDE TABARELLI: tastiere dal vivo
- ELISABETTA WOLF: violino
- ANTONIO FLORIS: violino
- FABRIZIO CRIVELLARI: flauto traverso