venerdì 26 marzo 2010

L’album solista nella musica rock: anomalie e malintesi


Oggi do spazio a un articolo di Innocenzo Alfano, spesso "utilizzato", col suo consenso, in questo blog.

L'articolo è stato pubblicato su “Apollinea”, Rivista bimestrale del territorio del Parco Nazionale del Pollino, Anno XIV – n. 2 – marzo-aprile 2010, pag. 31.

In uno dei capitoli di “Effetto Pop”, l’ultimo dei miei libri dedicati a quella meravigliosa disciplina chiamata “arte dei suoni”, mi ero posto alcune domande, cercando di dare anche delle risposte, sulle numerose incongruenze di cui, a mio giudizio, è costellato il mondo della musica pop-rock. Alcune di quelle incongruenze, o anomalie, sono già state esaminate più o meno in dettaglio, altre invece sono state solo citate nelle pagine del volume. Tra quelle anomalie solo accennate ce n’era una che riguardava il problema della cosiddetta “carriera solista” dei musicisti rock, da me definita come una «espressione che nel rock, nonostante l’enfasi che la circonda, vuol dire, molto semplicemente, abbandonare un gruppo per formarne un altro, dandogli il proprio nome». Al concetto di “carriera solista” è naturalmente legato quello di “album solista”, altra espressione assai diffusa ed anzi universalmente accettata. La domanda che mi sono posto, in definitiva, è la seguente: esistono nel rock gli album solisti? La risposta naturale sembrerebbe dover essere quella affermativa, ma a me, altrimenti non starei qui a parlarne, convince molto di più quella negativa. Vediamo il perché.
La mia tesi è che il concetto di “album solista”, nel rock, non è altro che una contraddizione, una sorta di equivoco linguistico, dal momento che un simile fenomeno, in realtà, non esiste. O meglio, potrebbe anche esistere, e qualche volta in effetti è esistito, ma in quel caso i due termini avrebbero un significato molto preciso e soprattutto logico. Indicherebbero cioè album nei quali un unico musicista, da solo (“solista”, appunto), suona tutti quanti gli strumenti o un solo strumento, proprio come in un recital di musica classica o in un album jazz nel quale un unico musicista improvvisa per l’intera durata dell’incisione. Non si capisce infatti che cosa ci sia di così “solistico” in un disco dove suonano più persone, magari sei come nel caso di Van Morrison e dell’album “Astral Weeks” da me preso come modello nel volume ricordato poc’anzi: un album dove ognuno dei sei musicisti risulta determinante per la riuscita dell’intero lavoro.
Lasciando da parte i cantautori, cioè tutti quegli artisti che scrivono i testi che poi cantano, e che si accompagnano, se lo desiderano, unicamente con una chitarra classica/acustica o con un pianoforte (e a volte lo fanno), prendiamo come esempio di album solista, tra i non molti pubblicati dagli anni ’60 ad oggi, il primo long playing di Roy Wood, un musicista rock membro, tra il 1966 ed il 1971, del gruppo dei Move, una formazione inglese divenuta famosa verso la fine degli anni ’60 grazie al 45 giri Blackberry Way. Il 33 giri d’esordio di Roy Wood si intitola “Boulders”, ed apparve nei negozi di dischi all’inizio del 1973. La copertina del disco, apribile a libro, mostra sul pannello frontale un dipinto di Roy Wood, sul retro una foto di Wood mentre suona un violoncello, e all’interno, distribuite su due interi pannelli, varie istantanee di Wood in ognuna delle quali il musicista britannico è immortalato mentre suona ogni volta uno strumento musicale diverso. Se poi leggiamo le informazioni contenute in un riquadro della cover interna apprendiamo quanto segue: «Tutti gli strumenti e le voci sono di Roy Wood. […] Tutte le canzoni sono state composte, arrangiate e prodotte da Roy Wood. […] L’idea per la copertina, e il disegno sulla prima pagina, sono di Roy Wood». Gli strumenti che Wood si incarica di suonare nei nove brani dell’album sono i seguenti: chitarra acustica ed elettrica, basso elettrico, basso acustico, batteria, pianoforte, violoncello, clarinetto, oboe, mandolino, sitar, fagotto, vari modelli di sassofono, flauto dolce, banjo. Naturalmente essendo Roy Wood uno e non trino, per suonare più di uno di quegli strumenti contemporaneamente è dovuto ricorrere, a suo tempo, alla tecnica della sovraincisione.
Nel libretto allegato ad una recente edizione in cd di “Boulders” (Harvest CDSHVLR 803, del 2007), Wood spiega le ragioni che lo portarono, più di 35 anni fa, a concepire un siffatto long playing. Leggiamo dunque cosa scrive il musicista inglese a tal riguardo: «La principale ragione che mi ha indotto a registrare quest’album ha a che fare con una specie di sfida che avevo deciso di lanciare a me stesso. Una sfida che consisteva nel tentativo di registrare un album solista dove il termine solista avrebbe dovuto assumere il suo vero significato, e dunque un album nel quale io avrei suonato tutti gli strumenti, cantato tutte le canzoni, prodotto e mixato i brani, disegnato la copertina del disco, guidato il furgone e fatto il tè. Questo era, per me, un album “solista”».
Si è fatto riferimento al 33 giri “Boulders” di Roy Wood, ma possiamo citare anche l’assai più noto “Tubular Bells” di Mike Oldfield, pubblicato anch’esso nel 1973; oppure il primo, omonimo lp di Paul McCartney, che batte tutti sul tempo essendo uscito nel 1970; o ancora, rimanendo in ambito pop/rock, la pregevole produzione discografica di Stevie Wonder della prima metà degli anni Settanta quali ulteriori esempi, tra i non molti, di musicisti che hanno registrato ed inciso musica in cui tutti gli strumenti venissero suonati da loro stessi (lo statunitense Wonder si differenzia però da Wood, Oldfield e McCartney per il fatto di aver inciso più che altro singoli brani, anziché interi album, nei quali il musicista originario del Michigan si è spesso esibito come unico strumentista).
In conclusione dobbiamo perciò dire che, nonostante la vulgata comune, di album solisti la musica rock, e anche – e soprattutto – quella pop, sono piuttosto avare, essendo i due generi fenomeni nei quali la composizione ha carattere quasi esclusivamente collettivo, anche quando il disco è intestato ad una sola persona. Altrimenti come dovremmo chiamare l’album di un musicista che vi suona da solo se già quelli in cui è accompagnato da altri li definiamo “solisti”?





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