lunedì 29 marzo 2010

Intervista a Mauro La Luce


Ho conosciuto Mauro La Luce in occasione della presentazione dell’ultimo disco dei Delirium,Il Nome del Vento”, album di cui Mauro ha scritto i testi.

La Luce, è considerato il paroliere storico dei Delirium, ma non si può dimenticare, ad esempio, “Zarathustra”, must del Museo Rosembach.

Scopriamolo meglio attraverso qualche domanda.

Partiamo dalle ultime “fatiche”. L’iter compositivo di “Il nome del Vento”, ultimo album dei Delirium, è quello che hai sempre utilizzato? Cambia il modo di comporre testi in funzione dell’idea di base? Il mio modo di comporre, ovviamente, si é evoluto rispetto agli anni 70/80. Come un mago ricorre alle parole magiche, così un autore di versi, per esprimere un concetto ineffabile usa le figure retoriche più adatte. Negli ultimi anni ho approfondito questo percorso con soddisfazione, ma la strada non finisce mai. Ne " Il nome del vento" sono partito dal soggetto che si è trasformato in una sceneggiatura, le musiche dei Delirium hanno innescato un processo creativo che mi ha aiutato a mettere una parola dietro l’altra, mantenendomi fedele all'idea originaria.

Il tuo “lavoro” musicale parte da molto lontano. Come e perché sei diventato scrittore di testi? Da sempre respiro musica. Ho imparato a suonare la chitarra prima di andare in bicicletta. Alle medie mi divertivo a cambiare i testi dei brani alla moda, facendone spesso versioni irriverenti. A 13 anni ho composto le prime vere canzoni, parole e musica. I protagonisti erano certi insegnanti e i loro tic. Durante il primo anno di università ho conosciuto Marcello Reale che allora era il bassista dei Delirium. Cominciò così il sodalizio con il gruppo.

Cosa è stato per te “Zarathustra”, professionalmente parlando? E’ il frutto di un lavoro a quattro mani. Dalla collaborazione con Alberto Moreno è nato un album diventato tra gli appassionati di "prog" una sorta di oggetto di culto. Tuttora è recensito, sottolineando aspetti che negli anni 70' non erano stati messi in evidenza, poiché gli venne attribuita una valenza politica che di fatto non aveva. Era, invece, il tentativo di rendere il rock più sofisticato, più complesso, forse anche più nobile dal punto di vista lirico. La suite viene ancora eseguita da gruppi dell'attuale scena "prog", come” Il tempio delle clessidre”, il cui cantante ( Lupo) fu a suo tempo la voce del Museo Rosenbach.

Esistono musicisti con cui hai maggior feeling, con cui riesci a creare con più facilità e soddisfazione? Sono sempre stato in grande sintonia con Aldo de Scalzi, che sta vivendo un momento magico come autore di colonne sonore. Con Ettore Vigo e Martin Grice c'è un rapporto artistico senza tempo: dopo una lunga interruzione, abbiamo ripreso la collaborazione come se ci fossimo appena lasciati. E’ davvero un’alchimia complessa quella tra musica e parole.

Alcuni osservano che la musica abbia una sua importante dimensione, in alcuni casi, al di là del testo. Lo confermerebbe il fatto che ci siamo innamorati di canzoni di cui non capivamo una parola. Tu che cosa ne pensi? Nella maggior parte dei casi ritengo che la musica sia l'ornamento del testo: la base musicale, come per esempio nel rap, è spesso una sorta di metronomo. Per non parlare del Canto Gregoriano in cui le liriche sono scritte dal più grande paroliere di tutti i tempi. Naturalmente esistono le eccezioni: in molte canzoni dei Beatles la bellezza metrica del testo è spesso più bella del significato delle parole.

Come riesci a conciliare la passione musicale con la tua professione? Sono un medico, specializzato in ortodonzia, una disciplina che ricerca l'armonia del volto. Anche nella musica, i versi e le note devono avere il giusto equilibrio, l’armonia appunto, per far vibrare le corde dei sentimenti. A parte la passione, forse è per questa affinità che riesco sempre a trovare uno spazio da dedicare alla musica.

Quale album ti ha dato maggior soddisfazione? Considero "Il nome del vento" un lavoro riuscito, nel testo e nella musica. In altri tempi, forse, avrebbe meritato un maggior successo di vendite. Ma il piattume musicale odierno lo relega in una nicchia di ascoltatori raffinati. A me, però, regala la stessa soddisfazione provata con "Lo scemo e il villaggio", che ebbe un grande successo di critica e di vendite.

Mi racconti un aneddoto legato all’ambiente musicale a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta? A metà degli anni 70' ho avuto il privilegio, collaborando con Sergio Bardotti, di frequentare Vinicius de Moraes. Una sera andammo a cena all'Osteria Della Conca Fallata a Milano e Vinicius, che per me era l'artista per eccellenza, si mise a leggere un testo che avevo appena composto. Ci fu un applauso: un’ emozione che mi porto ancora dentro.

Mi dici due autori, uno straniero e uno italiano, che ammiri particolarmente? Peter Gabriel continua ad emozionarmi. I suoi testi , fantastici e surreali, popolati da mostri e da eroi, hanno interpretato fin da ragazzo le mie passioni di sempre: teatro, poesia e melodia. L'autore italiano che ho apprezzato fin dagli esordi, per aver reinventato un linguaggio poetico, è De Gregori. Soprattutto quello di " Niente da capire" e " Rimmel".

Un desiderio che non sei riuscito a realizzare, un rimpianto particolare? La possibilità di vedere realizzato a teatro un mio lavoro. Anche perché ritengo che i miei siano testi visivi e adatti alla scena. Ma non è detta l'ultima parola.

Cosa ci dobbiamo aspettare dai tuoi futuri impegni musicali? Sto lavorando con Ettore Vigo e Martin Grice ad un nuovo progetto che mi soddisfa molto e di cui, se vuoi, ti terrò informato.