venerdì 18 settembre 2009

Clannad



I Clannad sono forse la più famosa band di musica pop-celtica degli ultimi anni 70.
Essi si formarono nel 1970 in Irlanda, e la scelta del nome della band non è stata casuale, visto che formavano un vero e proprio clan: Maire Brennan (arpa), Ciaran Brennan (chitarra, basso, tastiere), Paul Brennan (chitarra, percussioni, flauto), ed infine Noel Duggan (chitarra) e Padraig Duggan (chitarra).

Il loro debutto è stato con Clannad (Philips, 1973), ma è solo con Clannad 2 (Gael, 1974) che vengono conosciuti attraverso le ballate tradizionali Coinleach Ghlas e Dheanainn Sugradh.

Questo secondo album è inoltre arricchito da percussioni Africane e da sintetizzatori, e diventa un genuino manifesto di musica celtica elettronica.
I successivi lavori Dulaman (Gael, 1976), Crann Ull (Tara, 1980), che contiene The Last Rose of Summer, e Fuaim (1982), dove alla formazione si è aggiunta anche Enya, sorella di Maire, si muovono attraverso stili pop elaborati, e danzanti accostamenti canori con sintetizzatori, tanto da essere utilizzati per una colonna sonora del ciclo televisivo Harry's Game (1982).

Enya intanto lascia il gruppo per continuare la sua carriera solista, mentre i Clannad continuano a catturare audience con i loro arrangiamenti estremamente ricchi e lussureggianti ed i loro sognanti albums della loro seconda fase: Magical Ring (Tara, 1983), Macalla (RCA, 1985), famoso per il brano In A Lifetime (1985), una collaborazione con Bono Vox (U2), Sirius (MCA, 1988), Atlantic Realm (1989), Anam (RCA, 1990), Banba (RCA, 1993), Lore (RCA, 1996), Landmarks (RCA, 1998).

Pastpresent (1989) è una antologia. Themes and Films (1998) raccoglie le loro colonne sonore per la tv e il cinema .






mercoledì 16 settembre 2009

Festival dell' isola di Wight- edizione 1969


Ultimamente ho dedicato molto spazio ai grandi concerti/raduni del passato.
Lo spunto mi è arrivato dal ricordo di Woodstock, arrivato alla quarantesima celebrazione.
Nell'immaginario collettivo i grandi raduni del passato sono tre: Monterey, Woodstock e Wight.
L'edizione per cui Wight è famoso è quella del 1970, ma in realtà si svolse anche nel '68 e '69.
E' propio dell'edizione del 1969 di cui lo scrittore Innocenzo Alfano ci parla nelle righe a seguire.

I grandi raduni rock degli anni ’60: l’isola di Wight
di Innocenzo Alfano

1969-2009: è tempo di celebrazioni per la musica rock. Già, perché proprio 40 anni fa si svolgeva il festival più importante di tutti i tempi, quello che ha dimostrato agli scettici più incalliti una cosa molto semplice, e cioè che più di mezzo milione di giovani, se vogliono, possono restare insieme nello stesso luogo per tre giorni consecutivi senza provocare danni, ma anzi divertendosi al ritmo di musica e scambiandosi tra loro atti di solidarietà. Stiamo parlando, naturalmente, del festival di Woodstock (“Woodstock Music & Art Fair”).
Il grande raduno di Woodstock si svolse alla metà di agosto, nei giorni 15, 16 e 17, con una celebre appendice riservata a Jimi Hendrix il 18 mattina. Molti appassionati di musica rock tuttavia non sanno che quasi in contemporanea si teneva in Inghilterra un altro memorabile festival, denominato Isle of Wight Festival of Music. Ebbene sì, proprio lui: il famoso festival dell’isola di Wight! Non proprio famosissimo, in effetti, perlomeno non l’edizione del 1969, che si svolse nell’arco di due sole giornate, sabato 30 e domenica 31 agosto. L’edizione successiva, quella del 1970 (26-30 agosto), è infatti spesso l’unica che viene citata quando si parla di questo evento. Eppure, così come a Woodstock, anche sull’isola di Wight, nel 1969, c’erano molti big, o futuri big, del rock internazionale (soprattutto britannico), alcuni dei quali – The Who, Richie Havens, Joe Cocker – freschi reduci dalla “tre giorni di pace amore e musica” a stelle e strisce.
Il festival dell’isola di Wight, a differenza di tantissimi altri raduni musicali di quegli anni, ha avuto ben tre edizioni: 1968, 1969 e 1970. A passare alla storia, quella che conta e che si racconta attraverso film, rievocazioni e dischi, è stata però soltanto l’edizione del 1970, cioè l’ultima. Chissà, forse a causa della presenza di Jimi Hendrix e di Miles Davis, oppure del numerosissimo, ed in parte contestatario, pubblico, stimato in circa 600.000 persone. Non si sa. Quello che si sa è che le due edizioni precedenti sono pressoché cadute nel dimenticatoio. Ed è un peccato, perché se è vero che al primo tentativo gli organizzatori non riuscirono a radunare più di 10.000 spettatori (nonostante avessero fatto scrivere sui manifesti che si sarebbe trattato del più grande pop festival mai tenutosi in Inghilterra fino a quel momento: “The greatest pop festival ever held in this country”), coinvolgendo però gruppi di tutto rispetto come Jefferson Airplane, The Crazy World of Arthur Brown, The Move, Pretty Things, Tyrannosaurus Rex, Aynsley Dunbar Retaliation e Fairport Convention, nel 1969 le cose furono fatte in grande stile. E senza lesinare denaro.
Come luogo venne scelto Woodside Bay, e l’area complessiva destinata ad ospitare il festival raggiunse l’estensione di circa 100 acri (poco meno di 50 ettari). E di spazio ce n’era effettivamente bisogno, perché il numero di giovani che si precipitarono sull’isola per assistere ai concerti fu superiore alle 150.000 unità. Giovani che non rimasero affatto delusi dalla musica, visto che in cartellone, oltre ai tre nomi citati, c’erano, tra gli altri, quelli di Moody Blues, Family, Pretty Things, Pentangle, Free, Blodwyn Pig, Edgar Broughton Band e Aynsley Dunbar Retaliation. Ma c’era soprattutto il nome di Bob Dylan, che risultò l’attrazione principale del festival nonché una vera e propria calamita nell’attirare sull’isola la maggior parte di quel pubblico. I promoters questo lo sapevano bene, e infatti Dylan, a digiuno di grandi manifestazioni musicali da tre anni, ricevette un compenso personale di 20.000 sterline più una percentuale sugli incassi del festival, oltre a 5.000 sterline di rimborso spese per biglietti aerei di prima classe per sé e per il proprio entourage. The Band, il gruppo guidato da Robbie Robertson che accompagnò Dylan sul palco, percepì a sua volta la più che ragguardevole somma di 8.000 sterline. Tanto per avere un’idea dell’ordine di grandezza di simili compensi basti dire che gli Who suonarono per 900 sterline, i Pentangle per 500, i Jefferson Airplane, l’anno prima, per 1.000, e i Fairport Convention, sempre nell’edizione del 1968, per 80 sterline! Bob Dylan si esibì la notte del 31 agosto davanti a 100.000 spettatori. Quel giorno il biglietto per i concerti costava 2 sterline, il giorno prima solo 25 centesimi…
L’afflusso di gente nell’area del festival fu così massiccio che per la sera di venerdì 29 gli organizzatori decisero di allestire altri tre concerti, tutti gratuiti. Ebbero così modo di esibirsi il gruppo The Nice del tastierista Keith Emerson, la Bonzo Dog Band e i meno noti Eclection.
Nonostante venga trattato come un avvenimento minore della storia del rock, “Isle of Wight Festival of Music 1969” fu senza dubbio un grande raduno, ben organizzato, ricco di ottimi gruppi e, a parte qualche isolato incidente, sostanzialmente pacifico. Le numerose intemperanze del pubblico, che vengono spesso rievocate quando si parla di Wight, appartengono tutte all’edizione del festival del 1970. Così come a Woodstock pochi giorni prima, anche a Wight trionfarono la musica e la voglia di divertirsi e di stare insieme. E, perché no, anche il sogno di una nuova era per tutti gli esseri umani, contraddistinta non più da guerre e odio ma da pace e amore. Una bella canzone del cantautore francese Michel Delpech, intitolata Wight Is Wight, quasi subito ripresa in Italia dai Dik Dik (L’isola di Wight), si incaricò di celebrare quel lungo fine settimana di agosto durante il quale la piccola isola di Wight divenne, per moltissimi giovani, sinonimo di libertà.


N. B. Articolo pubblicato su “Apollinea”, Rivista bimestrale di arte, cultura, ambiente, turismo, attualità, del territorio del Parco Nazionale del Pollino, Anno XIII – n. 4, luglio-agosto 2009, p. 31.

Red Phoenix Blues


Ho conosciuto casualmente Giacomo Caliolo.

Mi trovavo allo studio Maia di Genova per la presentazione del libro di Innocenzo Alfano, "Effetto Pop" e ho scoperto che esattamente 37 anni prima, il 30 maggio 1972, partecipavamo allo stesso concerto, per me il primo, al Teatro Alcione di Genova, quello dei Van Der Graaf Generator.
(http://athosenrile.blogspot.com/search/label/Innocenzo%20Alfano )

I casi della vita!!!
Assieme a lui, negli studi di Verdiano Vera, il bassista Antonello Palmas.
Tra le tante attività musicali di “James”, ne presento una fresca fresca, ovvero la costituzione di un trio dedito al rock blues, che oltre a Giacomo e Antonello presenta la giovane Elisa alla batteria.

Vediamo qualche nota sulla formazione dei "Red Phoenix Blues":

Elisa Pilotti(batteria): insegnante percussioni, endorser della D Drum, autrice, compositrice, turnista. Ha fatto parte delle Steel Drama, suona con Las Margaritas, Miss Bit.
Giacomo “James” Caliolo( Chitarre e voce); musicista, produttore, arrangiatore, turnista, insegnate di chitarra e basso. Ha collaborato con Maurizio Vandelli, ha prodotto Mal dei Primitives nel 1984 e 2009, ha iniziato col gruppo Struttura e forma, Presage, ha fondato e prodotto I The Soundflowers( 8 cd), Rondò Anthology (ispirato ai Rondò Veneziano di cui ha fatto parte dal 1980 al 1989) con 1 cd, ha suonato con I post Scriptum(gruppo Swing) in Italia ed all'estero.
Antonello Palmas(basso elettrico,voce e chitarra); inizia studiando con Ares Tavolazzi, Collabora con Andrea Morabito, Alan Sorrenti, Pippo Franco, Daniela Goggi e Massimo Boldi, Gianni Davis group, Pippo dei Trilli.
Ascoltiamo un loro brano.




lunedì 14 settembre 2009

Glauco Cartocci a Savona e Sassello


L’estate che sta per terminare è stata densa di avvenimenti significativi.

Vorrei fare tra qualche giorno una specie di lista, nella speranza che anche il mese di settembre mi regali qualcosa da ricordare per sempre.

I miei momenti “importanti” sono spesso legati al mondo musicale, ma alla fine le escursioni in quella che io definisco la “sfera magica”, diventano un mezzo efficace per arrivare a nuove conoscenze e quindi a nuove esperienze.

Scelgo oggi un incontro di metà estate, riuscito sotto tutti i punti di vista, e nemmeno i contrattempi caratteristici di ogni evento, sono riusciti a scalfire la sua qualità.

Faccio un passo indietro.

Da molti mesi la mia amica Danila Cerato aveva preso un accordo con Glauco Cartocci per organizzare la presentazione dei suoi tre libri “musicali” a Sassello, in provincia di Savona.

Glauco è un amico romano, dai più ampi interessi, e nel caso specifico si sarebbe ovviamente presentato come scrittore.

Col passare del tempo (la pensata era di inizio anno), ha preso corpo l’idea di realizzare un doppio incontro, Savona prima di Sassello, il tutto favorito dall’accordo con Sandro Signorile, musicista e musicofilo, e Barbara Rossetti, che hanno messo a disposizione la loro tipografia, che si è dimostrata una splendida location.


Per una serie di motivi la decisione finale è stata presa solo nell’ultima settimana, e si è quindi dovuti ricorrere ad una sorta di improvvisazione, almeno per Savona, la cui più grave conseguenza è stata la mancanza di parte dei libri destinati ai presenti, arrivati poi per il secondo incontro a Sassello.

Ma di quali libri sto scrivendo?

Sono tre, “Com’era nero il vinile”,L’uomo dei rockodrilli” e forse il più famoso, “Il caso del doppio beatle”, il volume che ha favorito le numerose frequentazioni di Glauco in televisione in qualità di esperto “beatlesiano”.

Nelle previsioni iniziali “Il caso del doppio beatle” doveva rimanere argomento per la seconda serata, ma la curiosità di conoscere la verità su Paul McCartney ha portato il pubblico competente a spingere verso “Abbey Road”, e Cartocci non si è tirato indietro.

Il possibile flop di questa prima presentazione era legato ad alcuni aspetti significativi.

Poco tempo per avvisare i possibili interessati (tre giorni), una data infelice, il 31 luglio - vuoi per la gente in vacanza, vuoi per il caldo e vuoi perché i venerdì sera estivi di una città che vive (e quasi dorme) negli stabilimenti balneari, significano muscolate, spaghettate e cene in compagnia.

Nonostante questo, il pubblico era presente, e come sottolineavo prima, competente, e mi sono divertito nel porre le domande a Glauco.

La tipografia Sxs è stata "modificata", trasformata dalla presenza massiccia di vinili, strumenti e ampli, mentre una zona è stata allestita per il catering… un’organizzazione davvero “adulta”.


Per la cronaca, la serata era nata sotto il patrocinio dalla neonata associazione culturale “LiberArti”, di cui molti dei presenti facevano parte.

Un po’ di presentazione dell’autore e dei suoi tre libri, e tante domande che hanno stimolato Glauco ad approfondire sino a livello di dettaglio.

L’impressione che ho avuto è che, in assenza di naturali limiti di tempo, la serata sarebbe andata avanti a lungo, con soddisfazione di tutti.

Sì, soddisfazione per la riuscita dell’evento e per la rigorosità quasi scientifica con cui sono stati affrontati certi aspetti.

Gratificazioni per Glauco e signora (mi è sembrato di vederli a loro agio), per noi che già conoscevamo l’autore, e anche per chi ha avuto questo primo contatto con lui.

Come scrivevo all’inizio, un’occasione fantastica per nuove interessanti conoscenze.

Il giorno successivo, 1°agosto, replay su una suggestiva piazzetta di Sassello, paese dell'entroterra stracolmo di turisti nei mesi estivi.

Nuovo giro e nuova associazione culturale.

Un’altra bella presentazione, con un bravo introduttore, con presenza di musicisti in mezzo al pubblico. Finalmente i libri sono arrivati!

Un’ora di domande e risposte e poi una bella festa a casa di Danila, che ha approfittato per festeggiare la laurea appena ottenuta.

Anche questa è stata un’occasione per intrecciare conoscenze e interessi, e come sempre mi capita in queste occasioni ho verificato come la musica sia un impareggiabile veicolo che conduce verso nuove amicizie.

E così vedere parlare Glauco con Albertino o i gemelli Terribile, come il giorno prima era accaduto con Franco, Marina, Ferdinando e Bobo, tanto per citare alcuni dei presenti, come fossero amici di lunga data, mi ha dato molta soddisfazione e devo dire che la “due giorni” che ha collegato l’asse Roma- Savona, mi resterà nel cuore per sempre.

Era forse l’una del mattino quando lasciavamo il giardino di Danila, stanchi e contenti, ma con un filo di tristezza per la fine di una bella serata, non facilmente ripetibile.

(alzare al massimo il volume)


mercoledì 9 settembre 2009

Acqui Terme, 6-9-09, Piazza della Bollente


La mia frequentazione del mondo “Tulliano” ( inteso come tutto ciò che circonda i fan dei Jethro Tull), mi ha permesso di realizzare “quadretti musicali” un tempo impensabili.
Le Convention in particolare, garantiscono il contatto con gli artisti e, soprattutto, aiutano a realizzare delle collaborazioni sul palco inusuali, a favore di un pubblico estasiato.
Ho scritto in tutte le salse e in differenti spazi di quanto siano stati gradevoli i concerti di Alba e Oviglio, quelli che hanno visto la " base" della Beggar’s Farm miscelata con personaggi come Clive Bunker, Bernardo Lanzetti, Rodolfo Maltese e Aldo Ascolese.
Sottolineo che non si tratta di puri ospiti, ma di persone che integrano il gruppo. Questo è quello che arriva alla gente.
L'altra sera, a Acqui Terme, Piazza della Bollente, si è sconfinato nella zona di ciò che apparentemente sembrerebbe irrealizzabile.
Non mi riferisco al particolare tipo di musica, che può più o meno essere gradita (anche se dal vivo cambia la prospettiva e può risultare piacevole ciò che non si ama su disco), ma ai personaggi sul palco.




Chiunque abbia seguito il rock sa chi sia Clive Bunker, il primo batterista dei Tull, presente all’isola di Wight. E come non ricordarsi di Ian Paice, batterista dei Deep Purple?
Nomi altisonanti, tuttora in giro per i palchi del mondo, con enorme energia nonostante l’età non sia più verde.
Ma mai avrei pensato di poterli vedere assieme on stage, duettare tra rullanti e piatti, divertendosi come giovanotti in carriera.
Per gente come me, con ancora vivo il ricordo degli dagli anni '70 , sono queste immagini molto forti, ma non credo che certe emozioni siano riservate solo al pubblico “maturo”.
Alla fine del concerto mi si sono avvicinati due amici giovani, molto giovani, a cui avevo consigliato la partecipazione, e li ho trovati euforici mentre mi ringraziavano per il suggerimento dato.
Certi spettacoli non hanno età.
Ma partiamo dall’inizio, da quella fantastica piazza chiamata semplicemente “la bollente” per effetto della presenza di un'edicola marmorea da cui sgorga l'acqua bollente: 560 litri al minuto a 75 C° di “liquido curativo”.
Scenario suggestivo e risposta del pubblico incredibile che rimarrà sino alla fine (in piedi) dello spettacolo: almeno 3 ore di musica.
Franco Taulino conduce il gioco e tutta la prima parte dello spettacolo è dedicata ai Jethro Tull.
Negli ultimi concerti Franco mi era sembrato più defilato, più impegnato sugli aspetti organizzativi, ma nell’occasione ritorna a essere la figura musicale conosciuta.
La Beggar’s presenta due ex Tull doc, Clive Bunker e Jonathan Noice, e già questo sarebbe valso il prezzo del biglietto( è solo un modo di dire “calcistico”, perché lo spettacolo in realtà era gratis, altro aspetto incredibile della serata).




Il gruppo è ormai consolidato, ma spenderei una parola in più per Marcello Chiaraluce, il chitarrista, che bazzicherà il palco per tutta la serata, passando con scioltezza dai Jethro ai Deep Purple ai Led Zeppelin.
Lo vidi per la prima volta alla convention di Alessandria nel 2006, per niente in soggezione accanto a Ian Anderson eseguendo Aqualung, e mi sembra di notare miglioramenti continui e una notevole maturità di esecuzione.




Dopo un’ora di repertorio “Jethro”, condito da presenze differenti (Andrea Vercesi alla chitarra acustica, Andrea Garavelli al basso, Kenny Valle alle tastiere, Taulino junior al flauto, Phil Hilborne alla chitarra e Franco Gastaldo alla batteria), si cambia registro.
Sul palco arrivano Roberto Tiranti, famoso cantante della sfera metal, Neil Otupacca alle tastiere e… la stella, Ian Paice.
Si parte con “Child in Time” ovvero repertorio Deep Purple e non poteva essere diversamente.
Nel corso di questa sessione si alterneranno anche Phil Hilborne e il bassista Neil Murray.
Il repertorio è quello superconosciuto, che personalmente non amo molto, ma come evidenziavo prima, l’esibizione live può essere di forte impatto.
Anche la fantastica voce di Tiranti rientra in questo concetto… particolarissima, ma comunque straordinaria.




Che dire di Ian Paice , questi “vecchietti terribili” ci stanno abituando a esibizioni da superman, tenendo conto che la batteria richiede un sforzo puro superiore ad altri strumenti, e Paice dimostra un’energia invidiabile(la classe è rimasta quella di un tempo)
E arriva il momento del gruppo straniero… omogeneo.
Al mio arrivo sulla piazza avevo captato tensioni legate al comportamento un po’… vacanziero di questi musicisti, non troppo inclini a prove e soundcheck.
Ian Paice li presenta come una brancata di amici sul palco, chiedendo al pubblico un po’ di clemenza in caso di piccoli errori, ma il gruppo se la cava egregiamente e riesce a infiammare il pubblico dei più rockettari.




Tanto rock, con i pezzi più conosciuti dei Purple, da “Mistreated“ a “Smoke on the Water”.
Alla voce lo scozzese Doogie White (ex Rainbow).
La mezzanotte è superata ma c’è ancora spazio per tre brani dei Led Zeppelin, con l’apoteosi finale che vede tutti i protagonisti sul palco che segnano l’epilogo di una grande serata di rock.




Alla fine Franco Taulino appare soddisfatto e sottolinea che è stata una grande serata.
Anche Wazza Kanazza ha avuto grande successo al banco del merchandise e il pubblico non nasconde il gradimento per una serata diversa, dei ricordi per alcuni, della curiosità per altri, della soddisfazione per tutti i presenti.
Ancora una volta un grazie a chi ha permesso di mettere in scena uno spettacolo simile… ormai ci siamo abituati bene!!



lunedì 7 settembre 2009

Flektogon/Nodo Gordiano

Poco tempo fa ho ricevuto una copia del nuovo lavoro del “Nodo Gordiano”: “… sentilo e dimmi cosa ne pensi”. Il nome mi riportava a qualcosa di conosciuto, e soltanto il giorno dopo, entrando nel sito “Itullians” in cui era contenuto un apposito post, ho collegato “Nodo Gordiano” a Carlo Fattorini, batterista (anche) degli OAK, romano, conosciuto lo scorso anno alla Convention dei Jethro Tull di Alessandria. Una considerazione di carattere generale, poco “musicale”, e molto commerciale. “Flektogon”, nome dell’album, mi sembra un lavoro molto complicato e curato, non di presa immediata, e l’impressione che ho avuto è che la formula usata sia quella della sperimentazione, della libertà espressiva, della contaminazione, con l’unico obiettivo rivolto alla qualità e alla soddisfazione personale. Insomma, nessuna concessione e nessun pensiero rivolto alla vendibilità del prodotto, avendo la coscienza che certa musica, questa musica, è da considerarsi di nicchia. E’ questa nicchia è quella che prediligo. Sempre rimanendo sul generale, ascoltando il CD in auto (la prima volta), ho desiderato avere tra le mani il vinile e ho immaginato di ricreare l’atmosfera di un tempo, quando ascoltare musica era anche un rito, quando si passavano ore, soli… ma meglio in compagnia, a sezionare, sviscerare, “leggere” una musica appena uscita, magari litigando con vigore per evidenziare i propri convincimenti. Mettere sul un “piatto” “Selling England by the Pound”, tanto per ricordare un mio antico amore, e risentirlo a raffica, cercando di captarne le sfumature, è una cosa che non facciamo più, purtroppo. “Flektogon" richiederebbe questo atto antico. Una cinquantina di minuti di musica, quasi esclusivamente suonata, se si esclude la voce di Silvia Scozzi, presente nell’iniziale “Theatro di Memoria”, che riportano a suoni che appartengono ai musicofili “vintage” quale io sono, e su cui appare importante ricercare le influenze esterne. La ricerca delle similitudini col passato, nell’ambito di questo mio “divertimento” non ha lo scopo di sminuire il lavoro che ho tra le mani, ma identificare un nuovo gruppo o una nuova musica con qualcosa di già conosciuto aiuta il lettore a farsi un’idea, salvo poi svilupparla con il solito effetto domino che appartiene ai più curiosi.

Il primo brano 8.08), il già citato “Theatro di Memoria”, mi ha ricondotto immediatamente a “ Larks' Tongues in Aspic”, brano/disco che riuscii a vedere eseguito dal vivo, ai tempi della sua uscita. La contaminazione di Fripp e soci viene a galla e leggendo le note biografiche del gruppo l’amore per i King Crimson risulta palese. Ma il coro iniziale e la voce “lirica” di Silvia Scozzi , caratterizzante la seconda parte del brano, sono tocchi pregevoli che danno il senso dell’originalità. Ho apprezzato particolarmente il crescendo concomitante con la fine del coro, che crea uno stato di tensione prima dell’esplosione dei ritmi e dei suoni. Ozymandias part 1 (3.42) è segnato dal “divagare” percussivo, con una melodia precisa in sottofondo, e un’atmosfera da sogno, da altri mondi. Sperimentazione e minimalismo, miscela tra ciò che un tempo si usava chiamare musica “contemporanea “ e new age. “Avventure di Mastarna” è il brano più lungo dell’intero lavoro, oltre 30 minuti. Situazioni e ritmi che mutano, calma dopo la tempesta, serenità e vigore. “Devastante” l’impatto col sax, che riporta a Earthbound , primo live dei Re Cremisi. Ozymandias part 2 (5.36) è incentrato sul lungo assolo di Fattorini, circa 3 minuti di ritmi e percussioni, inusuali per un lavoro in studio, e difficili da vedere anche nelle sezioni live. L’ascolto attento riporta anche ad alcune atmosfere della musica di Canterbury, in particolare dei Gong. Ultimo brano, Zeitgeist (5.23). Ho chiuso gli occhi è ho sentito un lungo duetto tra Steve Howe e Chris Squire, sensazione perfetta per l’epilogo di un disco da comprare. Come definire questo disco del “Nodo Gordiano” … new prog? Le etichette sono antipatiche, ma necessarie a dare una collocazione precisa. Io lo classificherei come un bel disco di musica senza tempo, al di fuori delle mode e delle imposizioni. Bravi musicisti, buone idee, coraggio e proposta gradevole. Un ‘ultima considerazione: l’espressione “nodo gordiano” è di norma utilizzata per indicare una difficoltà elevatissima, superabile solo con estrema tenacia. Credo che la vita di chi fa musica, per amore della musica, possa apparire a volte senza chiari sbocchi, ma la soddisfazione legata alla realizzazione di un lavoro come “Flektogon” dovrebbe rappresentare una grossa gratificazione e motivare e spingere sulla sola strada della qualità. Complimenti! Tutte le informazioni sul Nodo Gordiano( storia, formazioni, album) si possono trovare sul sito: http://www.nodogordiano.com/
Flektogon Può essere acquistato online al seguente indirizzo: http://www.btf.it/