venerdì 29 maggio 2009

Claudio Sanfilippo


Una delle ultime domeniche che il Raindogs ci ha regalato, prima della chiusura estiva, ha visto come protagonista il cantautore milanese Claudio Sanfilippo.


Vediamo qualche nota biografica.

A sedici anni comincia a suonare la chitarra e quasi subito capisce che scrivere canzoni è la cosa che lo attira. Già dalla fine dei Settanta si esibisce dal vivo, prima da solo con la chitarra e poi con un gruppo che lo accompagnerà per una decina di anni. La prima esperienza di rilievo è del 1985 quando Amilcare Rambaldi lo invita alla Rassegna del Club Tenco in veste di "nuova proposta". Dal 1986 a oggi le sue canzoni sono state cantate tra gli altri da Mina, Eugenio Finardi, Cristiano de Andrè, Pierangelo Bertoli, Carlo Marrale, Cecilia Chailly, Donati, Lu Colombo, Stragà, Michael Girard, dai tenori Salvatore Licitra e Marcelo Alvarez. Ha scritto anche canzoni per bambini, diverse sono state pubblicate per la collana di Geronimo Stilton.
Il suo primo album esce nel 1995 e si intitola STILE LIBERO (Edel), dall'omonima canzone interpretata da Mina nell'album Loch Ness. Gli arrangiamenti sono di Francesco Saverio Porciello (Savè), il chitarrista e amico col quale forma un sodalizio sin dai primi anni Ottanta. All'album partecipano Roberta Gambarini, Paolino Dalla Porta, Elio Rivagli, Ares Tavolazzi, Alberto Tafuri, Marco Brioschi, Rinaldo Donati, Massimo Gatti, Carlo De Martini, Maurizio Deho, Vittorio Cosma, Umberto Tenaglia nonchè alcuni ospiti come Eugenio Finardi, Rossana Casale, Carlo Marrale e Piero Milesi che arrangia gli archi del brano che dà il titolo all'album.
Nel 1996 STILE LIBERO si aggiudica la TARGA TENCO quale "Migliore Opera Prima".
Nel 1999 è la volta di ISOLE NELLA CORRENTE (Fridge), arrangiato da Rinaldo Donati. Nell'album suonano Rinaldo Donati, Francesco Saverio Porciello, Umberto Tenaglia, Marco Brioschi, Kal Dos Santos, Carlo Virzi, Alessandro Gariazzo. Il sodalizio con Rinaldo produce un album visionario, di suggestioni sonore e poetiche.
Nello stesso periodo è presente con quattro canzoni a RADIO PESCI FUOR D'ACQUA, una produzione indipendente di Massimo Javicoli e Andrea Vagnoni che vede la partecipazione di Piero Milesi, Paolino Dalla Porta e Fabio Treves.
Nel 2003 esce un album di canzoni originali in milanese, lingua che Claudio scrive e frequenta sin da ragazzo. Si intitola I PAROLL CHE FANN VOLA' (Maxine) ed è un atto d'amore verso la sua città. Ancora arrangiato da Rinaldo Donati, contiene un brano scritto con Franco Loi, uno dei nostri grandi poeti, e un duetto con Nanni Svampa. Nel disco, imperniato tutto sulle chitarre di Claudio, c'è la partecipazione di Rinaldo Donati, Marco Brioschi, Bruno Bergonzi, Umberto Tenaglia, Massimo Gatti, Massimo Javicoli. Sempre in questo periodo esce il volume "Appunti di Viaggio" (Abaco) che racconta il suo percorso artistico attraverso le foto, i racconti, le testimonianze e un cd che raccoglie alcuni brani pubblicati negli anni precedenti.
Nel 2007 sente che è ora di entrare in studio per registrare un nuovo album, anche questa volta gli arrangiamenti sono di Rinaldo Donati. Il nuovo lavoro si intitola FOTOSENSIBILE ed esce alla fine del 2008. Insieme all'album è pubblicato un dvd, prodotto da Maxine e Bedeschi Film, che documenta il percorso artistico di Claudio con riprese suggestive e alcuni inediti dal vivo. Anche in FOTOSENSIBILE vi sono alcune partecipazioni rilevanti, in particolare quelle di Adam Benjamin al pianoforte, Steve Wood alla batteria e Piero Milesi al violoncello. L'album è disponibile in diversi siti (Fnac, Feltrinelli, IBS) oltre che in quello dell'etichetta discografica Maxine Productions (http://www.maxine.it/).



INTERVISTA

Il Raindogs, luogo in cui ti ho visto suonare a Savona, è posto “intimo” , di dimensioni congeniali alla tua proposta, almeno dal punto di vista dell’ascoltatore. Ma è anche un pub in cui si macina rock e blues. Come ti poni davanti a un tipo di musica che spesso induce al movimento?
Ho un senso del ritmo piuttosto sviluppato, nelle canzoni che scrivo il tempo e – soprattutto – un certo “groove” sono essenziali. La musica buona induce al movimento. Ma io ho un fisico ingombrante e non appartengo alla categoria degli "agili", quindi preferisco ascoltare e sentire dentro il battito del tempo musicale, mi regalo solo qualche impercettibile movimento a scandire gli accenti … insomma, fatemi suonare e non fatemi ballare ...

Esiste nel tuo DNA musicale qualcosa di “aggressivo” , da utilizzare , ad esempio, in alcuni momenti di sfogo?
No, direi che l’aggressività non fa parte del mio carattere. Ma una canzone sussurrata può essere mille volte più dura di una canzone urlata ... Se però intendi il bisogno – ogni tanto - di ascoltare una chitarra elettrica che urla, allora si. Ma fa sempre parte dell’ascolto e mai dell’esecuzione. Credo sia sano assecondare la propria natura, anche se a volte mi piacerebbe essere tutt’e due le cose. Ma Joao Gilberto non è Jeff Beck, e viceversa. L’importante, alla fine, è seguire il profumo della musica buona.

Leggendo la tua biografia si rivede la dura strada che conduce al successo, che per me non è la vita da star, ma il “poter vivere utilizzando le proprie passioni”. Non hai mai pensato, nei momenti più duri, di aver imboccato una strada sbagliata?
Infatti per me la parola successo ha quel significato. Anche perché il mio nome è conosciuto solo in ambiti legati alla canzone d’autore e quindi non potrei fare confronti tra il successo nella coerenza delle proprie passioni e il successo che implica fama, denari, visibilità. Non ho mai pensato di avere imboccato una strada sbagliata perché se avessi preso altre strade di certo non avrei scritto quello che ho scritto, di cui sono molto soddisfatto, e tanto basta. Ho pensato – questo si – che in alcune situazioni avrei potuto giocarmela meglio, ma questo vale per tutti e in qualsiasi contesto.


La nascita di un figlio cambia la vita. Come ha inciso su di te, come uomo e come musicista?
E’ un evento che cambia radicalmente il tuo rapporto con la vita, che ti pone domande nuove, che sposta la tua attenzione verso l’altro da te. In un certo senso è una specie di “scuola d’amore” dove tutti gli attori (genitori e figli) imparano a stare insieme, a condividere, a capirsi. Una buona società è l'insieme di tante buone famiglie, non ci sono altre strade. In senso musicale credo che mi abbia portato a sperimentare strade compositive nuove e sorprendenti; il disco in milanese, ad esempio, nasce da uno scavo nella memoria, come una specie di riflesso in cui mi sono rivisto bambino in una famiglia dove si parlava il milanese, che io imparavo senza rendermene conto … senza lo sguardo sui miei figli certe memorie "carsiche" non sarebbero riaffiorate, chissà...

Parlando sempre di giovani, hai qualche messaggio particolare per loro nelle tue canzoni, pensi ad una buona “semina”, dal punto di vista dei contenuti, ma anche da quello musicale?
Io parlo un linguaggio che non è didascalico rispetto ai fatti reali del nostro quotidiano. Quello che mi interessa è solo scrivere canzoni oneste e in sintonia con la mia natura musicale e letteraria. Il resto è questione di gusti. Non credo alla canzone "civile" come non credo alla poesia o al teatro "civile", è un aggettivo che non si può applicare al genio dell'arte, piccola o grande che sia. Credo invece alla canzone "buona" (in senso "Hemingwayano"), come alla poesia "buona". Per me l’importante è inseguire la bellezza, questa è la mia unica regola d’oro, l’unica “buona semina”. Il cantautore (parola bruttina) è sempre stato visto come una sorta di eroe senza macchia e senza peccato, una specie di alfiere/cantore della libertà con la chitarra in mano, il suo valore è sempre stato misurato sulla forza dei testi più che sulla musica. Io al contrario mi sento più musicista, per me la canzone è comunque un fatto squisitamente musicale.

Essendo tu un cantautore, il tuo prodotto non può scindere testo da musica , parole da melodia. Eppure noi tutti ci siamo innamorati, da ragazzi, di canzoni di cui non capivamo una parola e normalmente accade di rimanere colpiti per sempre da un riff di chitarra di 30 secondi.
Qual è il tuo punto di vista? Dai valore alla sola musica senza concetti applicati?

E’ la continuazione della risposta precedente e conforta il mio punto di vista che si può riassumere così: una canzone con un testo interessante e una parte melodica/armonica di scarso valore è quasi sempre una brutta canzone, al contrario una canzone ricca musicalmente può anche arrivare senza avere un testo di grande profondità. Il fatto che ci siamo innamorati tutti di canzoni di cui non capivamo le parole lo dimostra, la musica è un’arte che arriva per vie sensoriali. Le regioni preposte all'ascolto della musica sono un mistero, è questo che la rende così magica, così seducente.
Il nostro corpo è un vettore di vibrazioni che solo la musica può evocare. Poi, se il testo di una canzone è di alto valore, si aggiungerà la forza della parola, che però – non dimentichiamolo – è essa stessa suono e ritmo.


Hai scritto alcune canzoni per Finardi, l’unico artista italiano che ho sempre comprato a scatola chiusa, senza rimanere deluso.
Che tipo di rapporto avete?

Di amicizia e reciproca stima, negli anni mi ha riempito di complimenti e nei miei confronti è stato molto brillante. Ha un carattere non semplice ma molto leggibile e diretto, per me è stato un onore lavorare con lui, è un artista di grande energia musicale e un cantante come ce ne sono pochi, e non solo in Italia.

Abbiamo in comune l’amore per il calcio, o meglio, per LA SQUADRA.
Se potessi realizzare il sogno di un giorno, preferiresti essere Dylan o Rivera?
Ottimo, sono contento di conversare con un rossonero. Dylan o Rivera ? Rivera, senza alcun dubbio, anche se ho imparato a suonare sulle canzoni di Dylan e dischi come Blonde on Blonde o Blood on the Tracks sono tra quelli che mi porterei sull'isola. Ma il Gianni è il mio mito insuperato.

Come è nata la tua collaborazione con Mina?
Bruno Bergonzi, batterista bravissimo, qualche anno fa lavorava alla Sony Publishing, con cui collaboravo. In una cassetta che gli avevo lasciato da ascoltare c’era questa canzone, Stile Libero. A Bruno piacque subito e la mandò a Mina, senza dirmi niente. Dopo qualche settimana mi chiamò per dirmi che Mina l’aveva scelta per l’album che stava per registrare, che si intitola Loch Ness. Tutto è successo molto velocemente, grazie all’intuizione di Bruno.

Ancora un sogno. Mi indichi tre canzoni che avresti voluto scrivere?
Domanda complicata, molto. Potrei indicartene trenta e poi non sarebbero sufficienti. Vediamo: Insensatez di Jobim-Vinicius, The Look of Love di Burt Bacharach, Estate di Bruno Martino.

Cosa ci regalerà Claudio Sanfilippo nell’immediato futuro, musicalmente parlando?
Altra domanda complicata, di solito se prendo una strada mi lascio tentare dai sentieri che incontro e quindi non saprei bene che dire, al momento. Intanto proseguo nel mio percorso di performer solitario in concerto, con le mie chitarre. E comunque nel cassetto ci sono due progetti, un album di canzoni per bambini e un album acustico a due chitarre, la mia e quella di Francesco Saverio Porciello, vedremo …


mercoledì 27 maggio 2009

La Maschera di Cera


La Maschera Di Cera è una formazione dedita alla riscoperta e alla valorizzazione del suono degli anni ‘70, quello sognante e immaginifico della grande stagione del rock italiano.
Dall’anno della sua formazione (2001) il gruppo ha prodotto tre dischi in studio, uno dal vivo e un DVD. Ha portato sui palchi europei il suono e la musicalità per cui l’Italia, di fatto, è ricordata negli annali del rock internazionale.
Suonando in Belgio, Francia, Svizzera, Portogallo e Spagna, la MDC ha raccolto consensi e critiche unanimi perché il suo spettacolo live è sinonimo di passione e coinvolgimento allo stato puro.

La Maschera di Cera sono:
Alessandro Corvaglia: voce solista, chitarra acustica
Agostino Macor: tastiere
Andrea Monetti: flauti, sassofoni
Fabio Zuffanti: basso, pedali bassi, cori
Maurizio Di Tollo batteria, percussioni, cori

martedì 26 maggio 2009

Blue Öyster Cult



I Blue Öyster Cult sono una Hard Rock band formatasi nei tardi anni ‘60 ed è ancora oggi attiva.
Esponenti di un rock duro dai tratti psichedelici e, in seguito, quasi Heavy Metal, i Blue Öyster Cult sono particolarmente noti per canzoni memorabili come “(Don't Fear) The Reaper", “Adtronomy”, “ Godzilla” e “ Burning for you", oltre alla famosissima “Born to be Wild” degli Steppenwolf, suonata da loro come cover.
La line-up originale della band era composta dal cantante e chitarrista Eric Bloom, dal chitarrista Buck Dharma, dal tastierista Allen Lanier e dai fratelli Joe e Albert Bouchard, rispettivamente bassista e batterista.

Attualmente i Blue Öyster Cult si limitano ad esibirsi ai festival, nei club e spesso in tour che attirano miriadi di fan.

lunedì 25 maggio 2009

Bullfrog- Beggars & Losers


Bulfrog Blues” è il nome di una vecchia e tradizionale canzone americana (interpretata anche dai Canned Heat e da Rory Gallagher), ma Bullforg è anche il nome di una band di Verona, che propone un classico hard rock di buona fattura.

Il gruppo nacque nel 1993, dalle ceneri di altre importanti band veronesi, come i Great Fish, Capricorn, Highshooter e Hitchers.

La partenza è quella della classica cover band che propone i classici dei Free, Bad Company, Grand Funk, Led Zeppelin, Mountain e altro blues standard.

Il sound risente dell’influenza del classico trio anni ‘70, con molto spazio riservato all’improvvisazione e ai “solo”.

In poco tempo Bullfrog si guadagna una buona reputazione suonando ai numerosi festival di motociclisti, con show interminabili che spesso superano le quattro ore.

Gradualmente, seguendo un naturale percorso di sviluppo, la band incomincia a scrivere e suonare materiale proprio, dimostrando chiaramente l’amore sviscerato per il rock anni ‘70.

Nel 2001 Bullfrog entra finalmente in studio per registrare l’album di debutto, “Flower On The Moon”, per l’etichetta Andromeda Relix.

L’album include nove composizioni originali, più un’interessante cover di “Sail on, Sail Away”, registrata in origine da Moxy, una grande e tristemente dimenticata band canadese degli anni ‘70.

Nel maggio 2002 la band debutta in televisione in occasione del live show “Terremoto”, sul Matchmusic channel, realizzando una versione unplugged di “Trouble In Paradise” e “Flower On The Moon”.

Nel marzo 2003 la canzone “Stranger To The Danger” è inclusa nella compilation CD “Burn!”, venduta con il nuovo rock magazine “Classix.”

Nell’aprile 2004 viene pubblicato un nuovo CD, “The Road To Santiago”, un grande lavoro di puro hard rock, che include 9 brani originali più una cover del classico “Walk Away”, della James Gang.

Stilisticamente vicino al precedente “The Flower of the Moon”, questo lavoro evidenzia una produzione più accurata e una rilevante crescita musicale.

Nei mesi a seguire l’album ottiene entusiastiche recensioni di critica e di pubblico.

I brani “Sundance” e” The Road to Santiago” sono inclusi in 2 compilation di band locali, “MusicAlive#2” and “Tales”.

Il nuovo album, “BEGGARS & LOSERS”, è sul mercato da marzo 2009.

Ancora una volta la musica richiama i giganti dell’hard rock passato, ma la personalità della band emerge più forte che mai.


Bullfrog ha anche avuto il privilegio di “aprire” per i più grandi eroi dell’hard rock (John Lawton Band, Micky Moody & Bernie Marsden , Uriah Heep, ), ottenendo incondizionati e sinceri riconoscimenti.

L'intervista.

Per prima cosa vi chiedo di soddisfare una mia curiosità, nata dalla lettura della line up.
Al nome Silvano Zago corrisponde la voce “Gibson & Marshall”(e voce).
Qual è il significato dell’enfatizzazione della marca e non dello strumento?
È fondamentale il suono Gibson per il vostro sound?

È più che altro un vezzo, una cosa nata per scherzo e che poi è rimasta. Vero è che l'utilizzo di una strumentazione adeguata è parte caratterizzante del nostro sound, ed è anche il motivo per cui nella foto siamo immortalati assieme ad essa... È un po' un biglietto da visita, se vedi uno che si presenta sul palco con Ibanez e Brunetti ti fai già una certa idea di quello che suonerà... La nostra è una strumentazione tipicamente Hard-Rock!

Ho ascoltato il vostro CD di getto, da Genova a Savona, e istintivamente mi sono ritrovato in un “antico” rock duro che, senza informazioni preventive, mi avrebbe portato a formazioni d’oltremanica o d’oltreoceano. Solo pochi giorni fa un importante “gestore della musica” mi diceva che piuttosto che far suonare un gruppo italiano che fa blues, tanto per citare una “categoria” musicale, preferisce un gruppo DOC che arriva dall’America, magari allo stesso prezzo. Quali riflessioni potete fare su questo tipo di atteggiamento, che sicuramente avrete dovuto affrontare anche voi?

Ti dirò, in un certo senso posso anche capire il suo punto di vista... Un genere come il nostro parla inglese, c'è poco da dire. Il problema vero è che spesso in Italia non si sa neanche che qui c'è chi fa dell'ottimo rock “anglosassone”, ritenendo erroneamente che il tristo “cantautorato-con-la-chitarra-elettrica”, che sarebbe poi il cosiddetto “rock italiano” attuale, sia quello che soddisfa tutta la domanda.
Guarda, ce ne fossero di locali o promoter che fanno suonare i gruppi americani, servirebbe se non altro a creare cultura, il problema è che preferiscono le cover band di Ligabue o Vasco Rossi, è contro questa mentalità che bisogna combattere!

Mi sono sempre chiesto perché ogni gruppo di rock, anche molto duro, inserisca tra i vari brani almeno una canzone “lenta”. È la necessità di spezzare il ritmo, il rispettare il cliché o solo il canonico momento di riflessione?

Ma, a onor del vero in “Beggars & Losers” c'è la nostra prima vera e propria ballad su tre album. Non so, noi non ci poniamo mai il problema di “che tipo di pezzo fare”, di solito componiamo in modo abbastanza spontaneo, tanto più che questo pezzo è arrivato praticamente a ridosso delle registrazioni, l'abbiamo suonato per intero per la prima volta in studio! Nel nostro caso, probabilmente conta l'influenza di gente come Free o Bad Company!

Quanto conta la buona tecnica dei singoli nella riuscita globale di un album? Un buon produttore può cambiare il destino di un CD?

Conta la tecnica che ti permette di esprimere al meglio ciò che vuoi dire. Noi da questo punto di vista non siamo certo dei mostri, puntiamo molto sul groove, sull'impatto sonoro, soprattutto dal vivo. Non mi dispiacerebbe essere più bravo, ma non farei cambio con un suono d'insieme più “mollo”! Per tirare fuori un buon suono il produttore conta eccome; per questo ultimo album Fabio Serra, il nostro produttore, ha fatto un ottimo lavoro nel cercare di catturare in studio l'energia del nostro live-set. Il tocco finale l'ha dato il mastering agli Sterling sound di New York, col fondamentale lavoro sulle dinamiche e il “pompo”.

Cosa significa per voi far parte della scuderia Black Widow?

Per noi è un grande onore, perché sappiamo che loro si muovono prima di tutto col criterio della passione, e quindi promuovono solo i lavori che gli piacciono.
Per un gruppo come il nostro l'unica possibilità di visibilità è il supporto di persone che condividono la nostra stessa passione per la musica, e abbiamo avuto la fortuna di trovarle nei “ragazzi” dell'Andromeda Relix, la nostra etichetta, e ora nei responsabili della Black Widow, che cura la distribuzione internazionale di B&L.

L’impressione che ho è che ci sia una grande fame di musica, che colpisce i miei coetanei, ma anche i giovanissimi. Dopo un lungo buio la richiesta aumenta.
Verificate anche voi che la situazione sia favorevole dal punto di vista partecipativo?

Sicuramente c'è più voglia di musica “vera” di quanto i media “mainstream” e le case discografiche vogliono far credere, chiunque vada ad un concerto “vero” può rendersene conto.
Penso però che dal punto di vista della “dedizione” e della curiosità ci sia ancora strada da fare, tanti ragazzi non fanno neanche lo sforzo di scoprire che al di là del concerto degli Iron Maiden, del disco degli Iron Maiden, della tribute-band degli Iron Maiden c'è tutto un mondo da scoprire...
Penso che ormai ci si può dimenticare che il Classic Rock torni ad essere un genere di largo consumo; potenzialmente, però, potrebbe uscire tranquillamente dalla nicchia in cui qualche industrialotto in vena di produrre dischi anziché scarpe o mobili l'ha relegato!

Esiste un gruppo del passato che ha determinato le vostre scelte musicali?


Sono molti. Due te li ho già citati, ma potrei aggiungerne una miriade: noi ascoltiamo molta musica e siamo dei cultori dell'Hard Rock settantiano quindi, accanto ai “soliti” nomi come Deep Purple, Led Zeppelin, Cream, Grand Funk, Mountain e via dicendo, hanno un ruolo rilevante anche i nomi “minori” come Hard Stuff, Sir Lord Baltimore, ecc...


Quanto conta l’armonia e l’amicizia all’interno di una band? È possibile raggiungere obiettivi musicali senza un perfetto accordo interno?

Beh, noi ci conosciamo da vent'anni (Michele e Francesco, essendo fratelli, da ben di più!), suoniamo assieme da quindici e andiamo d'accordo sia musicalmente che su altre cose, siamo praticamente sposati... Penso che sia molto importante; non è necessario essere amici del cuore e vedersi tutti i giorni, ma è fondamentale essere in sintonia, facilita le cose.

Se poteste ritornare a quel 1993, anno di nascita di Bullfrog, cambiereste qualcosa?

Ma no, tutto sommato non credo, siamo partiti già con le idee abbastanza chiare e cioè costituire un power-trio che suonasse Hard Rock anni '70, principalmente per divertirci. Con gli anni sono arrivati tre album, tanti concerti, la condivisione del palco con alcuni dei nostri idoli di sempre, tanti consensi e tanti amici trovati durante questo percorso. Nel 1993 non avremmo potuto chiedere di meglio!

Quali sono i vostri progetti futuri?


Suonare il più possibile, e magari continuare a comporre buone canzoni Hard- Rock... Ma innanzitutto promuovere “Beggars & Losers”! Invito tutti a seguirci sul nostro sito www.bullfrogband.net, da lì si può accedere ai sample e seguire le nostre date... Se siete appassionati di questo genere come lo siamo noi, penso che sarà qualche minuto speso bene!


venerdì 22 maggio 2009

Arti e Mestieri


Gli Arti e Mestieri sono un gruppo di Torino, formatisi nel 1974 per opera di Furio Chirico, ex batterista dei The Trip e de I Ragazzi del Sole, Beppe Crovella ( dai Mysitics ) e da Gigi Venegoni, Arturo Vitale, Giovanni Vigliar e Marco Gallesi ( tutti e 4 dal “Sogno di Archimede”).
Il gruppo è attualmente in attività.
Sin dagli albori, “Arti e Mestieri” è stata considerata, in Italia come all’estero, una delle più interessanti e significative band del Rock Progressive.
Lo stile può essere definito, sia “classical progressive Rock”, seppur con utilizzo di armonie di Jazz avanzato, sia“Jazz rock sinfonico”, in quanto la band utilizza armonie sinfoniche raramente presenti nel semplice jazz rock.
Gli “Arti e Mestieri” cominciarono la loro stabile e più che trentennale attività artistica nel 1974. Il debutto della band avvenne durante il Festival Del Proletariato Giovanile a Parco Lambro, con un audience di 45000 persone semplicemente estasiate.
Tilt, il primo album, fu registrato a Roma, e divenne immediatamente un classico del prog rock per la sua originalità. Seguirono tour nei teatri con la Premiata Forneria Marconi e i Gentle Giant.
L’anno successivo, dopo una nuova esibizione a Parco Lambro, la cosiddetta “Woodstock italiana”, fu la volta di Giro di Valzer Per Domani, il secondo album, che puntava maggiormente sul jazz rock. Troviamo in questo album Gianfranco Gaza alla voce (scomparso nel 1986).
Subito dopo l’ideazione (ma non realizzazione) di quello che avrebbe dovuto essere il loro terzo album (Necropoli), avviene il primo ridimensionamento della band con l’uscita di Gigi Venegoni e Marco Gallesi, che si impegnarono rispettivamente nel Venegoni & co ed Esagono.
Il terzo album, Quinto Stato, vede la luce nel 1979, quando ormai il genere progressive rock andava scemando di interesse e l’epoca d’oro poteva dirsi definitivamente chiusa.
Negli anni a seguire la band cambia il proprio assetto continuamente, e oggi conta all’attivo 11 LPs tra studio, live e collezioni, e numerosi concerti.


giovedì 21 maggio 2009

Paolo Bonfanti




Ho visto suonare per la prima volta dal vivo Paolo Bonfanti a Varazze, il 2 maggio scorso:




Nella speciale occasione avevo davanti a me il duo BonfantiTreves e il risultato finale, in termini di qualità e partecipazione, è stato notevole.


A questo proposito Paolo precisa:


"... lo spettacolo che hai visto a Varazze non è esattamente quello che ora porto in giro con la mia band o come solista; con Treves il repertorio è giocoforza improntato su brani non originali, mentre quando suono a mio nome, la quasi totalità dei pezzi è di mia composizione (ultimamente con brani anche in italiano e dialetto genovese)".



Ok, partiamo con qualche domanda.


Le persone presenti in piazza Beato Jacopo, a Varazze, non erano di passaggio dopo una mattinata di sole e spiaggia. Ho l’impressione che il blues, genere di nicchia e d’importazione, stia vivendo una stagione felice, fatta di pubblico nuovo e di riscoperte.Cosa pensi in proposito?


Ricomincio a vedere un po’ di gente intorno ai 20 anni ai concerti ma, nonostante ciò, penso che il Blues in Italia resti una musica di nicchia; per i musicisti italiani ed anche europei ed americani è comunque un momento di crisi. A questo si aggiunga il fatto che il Blues è una musica che in linea di massima ha detto tutto. E’ difficile sentire qualcosa di “nuovo” nel Blues.


Ho avuto la fortuna di vedere bluesman esibirsi nel cuore dell’America , ma trovo che i musicisti italiani che conosco non abbiano minor qualità.


Dal punto di vista tecnico/strumentale ci sono fior fiore di musicisti qui in Italia; il problema è semmai più di vocalità e di esatta pronuncia dell’ American English (specialmente il “gergo” Blues).


Dove sta la differenza? Perché spesso il “nostro” blues è visto con diffidenza “là, dove tutto è nato”? E’ la sofferenza l’elemento che fa la differenza?


Secondo me a monte di tutto c’è il problema che esiste, diciamo così, un’ “estetica” blues che vuole che il solista/gruppo sia il più fedele possibile all’/agli originale/i; in questo modo si crea una sorta di “tribute band” blues con musicisti che si vestono allo stesso modo degli americani, usano gli stessi “trucchetti” per coinvolgere il pubblico, etc. etc. La cosa, a mio modestissimo parere, sebbene in qualche modo tenga vivo il genere (se ben suonato) allo stesso modo lo fa rimanere dov’è, non lo fa crescere; ma questa è una cosa che succede anche negli USA, non solo da noi, e succede anche nel rock, p.es.
Ti riporto una frase di un gruppo, i Sonic Youth, che non c’entrano nulla col Blues ma che in qualche maniera hanno capito il problema: “se vuoi fare un tributo, per esempio, a Jimi Hendrix, invece di cercare di rifare i suoi pezzi identici, devi cercare di essere rivoluzionario in campo musicale come lo è stato lui, se ci riesci…questo è il vero atteggiamento da seguire…


C’è fame di musica e c’è ovunque voglia di suonare, ma mancano gli spazi. Generalizzando, direi che difficilmente i gestori delle miriadi di comuni, depositari del “nostro” denaro, azzardano nel proporre musica che non abbia certezza di gradimento. Come è possibile rendere reale una giornata come quella che il Raindogs ha realizzato a Varazze?


Tanti amministratori (di qualunque colore politico,  purtroppo) spesso sanno poco o nulla di musica o arte; ecco perché a volte bisogna avere la testa dura come gli organizzatori di Varazze ed insistere. Quando poi vedono i risultati allora si convincono!





Sabato sembrava di essere a un banchetto self service, con la possibilità di mettere le mani ovunque, ma perdendo qualche “piatto”, per l’enorme proposta. Ho perso molto. .
Qual è l’artista che secondo te avrei dovuto assolutamente vedere, chi mi consigli di approfondire?



Tra gli italiani Mauro Ferrarese, il nostro miglior bluesman acustico; tra gli stranieri non ho dubbi: 9 Below 0! Sono stati grandiosi! E poi con loro c’era anche il bassista di Rory GallagherGerry McAvoy!



Passando in Beale Street si ha la possibilità di vedere lo stesso chitarrista itinerante , che nello spazio di 2 ore si trova su tre palchi diversi. Avremmo potuto vedere la stessa cosa a Varazze? C’è questo tipo di solidarietà tra voi musicisti di blues?


Non credo proprio ci sarebbero problemi se si decidesse di organizzare la cosa in quel modo.



Mi ha colpito una frase di Fabrizio Poggi che evidenziava come nelle rappresentazioni blues la differenza tra musicista e spettatore è solo nella posizione, uno di fronte all’altro. Nel bis dei Nine Belowe Zero alcuni spettatori sono saliti sul palco e hanno partecipato attivamente. Un musicista ha sempre bisogno del contatto diretto col pubblico?

Nel Blues la distanza/l’approccio tra musicista e pubblico è ovviamente differente da quello che si vede, per esempio, nella musica “classica”, dove l’ascolto, come si suol dire, è “alienato”, nel senso che c’è un rapporto preciso di “alterità” tra esecutore e pubblico; nel Blues (e nei suoi derivati) è ancora presente una forma “rituale” di presenza al concerto che in qualche modo è divenuta anch’essa uno “stilema comportamentale”;



Come si fa a vivere di musica? Visto che il talento e la preparazione non bastano, serve fortuna ? Saper accettare qualche compromesso? Cos’altro?



Per vivere di musica in generale bisogna adattarsi a situazioni che molte volte “pagano” poco dal punto di vista artistico; io ho deciso di continuare a suonare quello che più mi piaceva; quando ho iniziato (nel 1985) e fino a metà anni ’90 si poteva pensare di intraprendere una carriera musicale non suonando pop o roba da classifica; adesso è davvero improponibile, purtroppo.



Cosa significa per un uomo che decide di intraprendere la via del blues, nascere a Genova, patria di una miriade di gruppi prog, ma soprattutto di una scuola di cantautori importantissimi?


Genova è una città con due anime: l’anima cantautorale, che è figlia indiretta dell’atmosfera “mediterranea/marina” di questa città e l’anima rock, che è discendente dell’ aspetto “industriale”; io sono vissuto e cresciuto a Sampierdarena; tra questo quartiere e, per esempio, Nervi c’è la stessa differenza che c’è tra S. Francisco e Chicago! Il mio è sempre stato un quartiere di grandi fabbriche che ha vissuto in primo piano la crisi; era quasi ovvio (forse) che scegliessi di suonare il Blues!



Mi racconti una tua esperienza da lasciare il segno, sulla via del blues?


Il concerto di due estati fa al Nuvolari di Cuneo con Roy Rogers: probabilmente il migliore della mia vita!



Un ultima cosa.Quali progetti hai per futuro?



Da poco tempo ho una nuova band: un contrabbassista, un fisarmonicista e poi batteria ed il sottoscritto; l’ultimo album, “Canzoni di Schiena”, è tutto cantato in italiano e dialetto genovese. Vedremo come e se funzionerà



Dal sito ufficiale di Paolo Bonfanti:


Genovese, classe 1960, ha iniziato a suonare la chitarra nel 1975 con alle spalle studi di teoria musicale, armonia e pianoforte. Nei primi anni ’80 si è perfezionato con Armando Corsi e Beppe Gambetta. Nell’estate 1986 ha seguito un corso al Berklee College of Music di Boston. È laureato al D.A.M.S. di Bologna con una tesi sul Blues.
Dal 1985 al 1990 è stato il front man di uno dei gruppi più importanti della scena rock-blues italiana, Big Fat Mama, con cui ha inciso tre LPs (l’ultimo un doppio dal vivo), ha suonato nei principali clubs della penisola e nelle più importanti manifestazioni musicali.

Con alcune leggende del British Blues, come il saxofonista Dick Heckstall-Smith (Colosseum, Alexis Korner, John Mayall), il batterista Mickey Waller (Jeff Beck, Ron Wood, Rod Stewart) ed il bassista Bob Brunning (Savoy Brown) ha formato il gruppo Downtown con il quale si è esibito in Italia ed all’estero.
Ha suonato con Fabio Treves e la sua band, con Red Wine, uno dei più importanti gruppi bluegrass europei, con i quali ha collaborato anche in disco ed ha effettuato un tour negli U.S.A. nel 2002, con Beppe Gambetta (tournée europea nell’estate 1992 con Gene Parsons, ex Byrds). A ciò si sono affiancate un’intensa attività didattica, alcuni articoli e trascrizioni per riviste specializzate, la pubblicazione per la Bèrben di Ancona di un metodo per chitarra country-rock scritto a quattro mani con Beppe Gambetta e vari lavori di produzione artistica (Fabio Treves, La Rosa Tatuata). Del marzo 1994 è la partecipazione (unico musicista italiano) alla rassegna “South by Southwest” ad Austin, Texas.

Dal 1990 si esibisce con una propria band e come solista e dal 1992 ad oggi ha pubblicato 7 cds e partecipato come ospite in molti altri altri (Fabio Treves, Red Wine, YoYo Mundi, La Rosa Tatuata, etc.).

Nel tour di presentazione del cd GAMBLERS, scritto a quattro mani con il cantautore newyorkese JONO MANSON (marzo 2003), JOHN POPPER, mitico armonicista dei BLUES TRAVELER, ha partecipato ad alcuni concerti.

Dal 2002 la band accompagna regolarmente il grande ROY ROGERS, produttore di JOHN LEE HOOKER nei suoi tour italiani.

Dal 2004 è membro della super-band SLOW FEET, insieme con REINHOLD KOHL, fotografo/bassista bolzanino, ed alcuni grandi del rock italiano come FRANZ DI CIOCCIO, LUCIO FABBRI (PFM) e VITTORIO DE SCALZI (New Trolls); il primo cd “Elephant Memory” è del 2007.







mercoledì 20 maggio 2009

Finisterre



I Finisterre sono stati un gruppo italiano di Genova attivo dal 1993 fino al 2007, anno dello scioglimento.
La loro proposta musicale si basa essenzialmente su di un mix di diversi stili. Rock, musica elettronica, progressive, classica, jazz, folk, ambient, contemporanea e minimalismo, sono alcune delle influenze che i Finisterre hanno inserito nelle loro composizioni.
I Finisterre hanno composo 3 dischi in studio e 2 dal vivo e hanno effettuato concerti in Italia, Francia, Spagna, Stati Uniti e Messico.
I loro lavori sono stati sempre recensiti da tutte le maggiori riviste musicali italiane ed estere e il gruppo nel corso degli anni ha ottenuto un ottimo responso di critica, pubblico e vendite diventando uno dei più seguiti e apprezzati nuovi gruppi italiani dediti al genere progressive rock.
Il gruppo si formò nel’aprile 1993 e comporendeva: Fabio Zuffanti (basso, voce), Stefano Marelli (chitarre, voce), Boris Valle (tastiera), Marco Cavani (batteria) e Sergio Grazia (flauto).
Tra giugno e settembre iniziarono i primi concerti in Liguria.
All’inizio del 1994 la formazione registrò il primo demo tape contenente 2 pezzi (Asia e Cantoantico).
Nel giugno dello stesso anno i Finisterre vennero messi sotto contratto dall’etichetta Mellow Records e registrarono il loro primo CD omonimo “Finisterre” che uscirà nel gennaio dell’anno dopo.
Nell’estate 1995 il gruppo era in tour e Cavani e Grazia abbandonarono il gruppo, venendo sostituiti da Francesca Biagini (flauto) e Marcello Mazzocchi (batteria).
Nel 1996, sempre per la Mellow Records, registrarono il secondo album, “In Limine”.
Marcello Mazzocchi lasciò il gruppo venendo rimpiazzato da Andrea Orlando.
Nel luglio 1997 i Finisterre effettuarono una tournée in USA suonando, in North Carolina, al Progday 1997 con l’aggiunta, in veste di ospite, del flautista Sergio Grazia.
A settembre uscì il disco dal vivo (registrato durante concerti effettuati in Italia e Francia) “Ai margini della terra fertile” per la Mellow Records.
Il gruppo fece altri concerti in Francia nel 1998, dopo essere passato all’etichetta italiana Iridea Records.
Numerosi i concerti nel 2000, in Italia e Spagna.
A settembre entra in formazione la cantante Raffaella Callea e nello stesso anno esce il “Live at Progday 1997”, edizione limitata a 500 copie, per la Proglodite Records, della registrazione del concerto del 1997 al Progday.
Nel 2001, i Finisterre effettuarono una tournée di 10 date in Messico, dopodiché l’attività musicale dei Finisterre venne temporaneamente sospesa per permettere ai suoi componenti di dedicarsi ad altri progetti musicali.
In seguito a questo temporaneo scioglimento il gruppo decise di non avvalersi più delle collaborazioni musicali di Orlando e Callea.
L’anno dopo il gruppo riprese l’attività a tempo pieno. Valle ritornò in pianta stabile affiancando Macor alle tastiere. L’altro ritorno che si registrò fu quello del batterista Cavani (presente del primo CD).
La reunion del gruppo venne festeggiata con un concerto speciale nell’ottobre 2002 a Milano.
Nel novembre 2004 uscì, dopo due anni di lavoro, il nuovo e ultimo cd “La meccanica naturale” prodotto da Franz Di Cioccio per la sua etichetta Immaginifica.
Nel 2007 il gruppo si è ufficialmente sciolto.
Alcuni dei componenti sono tuttora impegnati insieme in un nuovo progetto che vede portare avanti alcune delle idee primordiali alla base degli stessi Finisterre .




martedì 19 maggio 2009

Journey


I Journey sono forse il più importante e famoso gruppo appartenente alla corrente dell’AOR, il soft rock americano in voga tra i Settanta e gli Ottanta con milioni di album venduti, specie in USA.
La band fu formata a San Francisco dal chitarrista Neil Schon, reduce dal gruppo di Santana, intorno al 1975 quando fu pubblicato il primo album che, come i due successivi, proponeva un jazz rock con lunghi strumentali e fughe hard progressive di tastiere (ad opera di Greg Rollie). Con l’album “Infinity” fece il suo ingresso nel gruppo il cantante Steve Perry, dotato di un’estensione vocale notevole e molto riconoscibile.
L’album fu un successo (con i singoli “Wheels in the sky” e “Lights”) e diede l’avvio ad una serie di dischi tutti di platino fino al multiplatino “Escape” (1981) che, grazie anche al nuovo tastierista Johnathan Cain, includeva robuste ballate insieme a rock melodici e incalzanti dall’appeal irresistibile. Seguirono “Frontiers” (“Separate Ways” e “Faithfully”) del 1983 e “Raised on radio” (1986), fino ad uno stop di qualche anno e quindi l’abbandono definitivo di Perry, afflitto da problemi vocali.
Il gruppo attualmente ha inciso due album negli ultimi recenti anni e propone un live con cantanti diversi (da Augeri a Scott Soto)

Classic Line up:

Steve Perry-voce
Neil Schon-Chitarra
Johnathan Cain-Tastiere/chitarra
Ross Valory- Basso
Steve Smith-Batteria

Attualmente i Journey hanno acquisito un nuovo cantante Arnel Pineda che prenderà il Posto Ufficialmente a steve Perry.

Line up Attuale:
Arnel Pineda - voce
Neal Schon - chitarra
Jonathan Cain - tastiere






lunedì 18 maggio 2009

Grateful Dead


I Grateful Dead sono uno dei più celebri e influenti gruppi musicali rock statunitensi di tutti i tempi.
Nati alla metà degli anni ‘60, furono fra gli artisti fondamentali della storia di quello che veniva chiamato acid rock o rock psichedelico. Divennero celebri per il loro stile eclettico, che univa elementi di rock, folk, bluegrass, blues, country e jazz e dal vivo era caratterizzato da interminabili e lisergiche improvvisazioni modali.
Attorno ai Grateful Dead nacque una sorta di culto; alcuni loro fan, chiamati Deadheads, seguirono il gruppo in concerto per anni, vivendo di fatto come nomadi in onore della loro devozione verso “the Dead”.
Invogliata dall’enorme successo di pubblico, nel 1967 la Warner Bros produsse The Grateful Dead. Si trattava principalmente di cover, più un paio di brani originali, ancora piuttosto acerbi. Soltanto alcune tracce riescono a trasmettere l’ideologia hippie: su tutte, The Golden Road e Viola Lee Blues.
Il disco non entusiasmò i fan del gruppo, e non ebbe un grande successo commerciale.
Alla fine dello stesso anno entrò nel gruppo il batterista e percussionista Mickey Hart, già istruttore di Kreutzmann.
Con il suo look eccentrico e la sua “vivace fantasia”, Hart rivoluzionò l’immagine e il sound del gruppo: le sonorità ritmiche cambiarono profondamente (Garcia definirà lo stile ritmico ottenuto con la doppia batteria “total annihilation”). Poco dopo si unì ai Dead il pianista Tom Costanten (ex compagno di stanza di Lesh), che introdusse la sperimentazione con i sintetizzatori; a seguire Robert Hunter, scrittore e poeta, che anni prima aveva spronato i futuri membri dei Dead a partecipare agli acid test. Il sodalizio Garcia-Hunter produsse il suo primo capolavoro con la celeberrima Dark Star.
Nel 1968 vide la luce il secondo album in studio, Anthem of the Sun, progetto molto più elaborato del precedente. Per l’occasione i Dead uniscono composizioni in studio e brani live, riproducendo in modo più fedele l’atmosfera dei concerti.
L’album comprende due suite, una per facciata del vinile: That’s for the Other One (in seguito abbreviata in The other one), con il suggestivo finale del prepared piano che Constanten mutua da John Cage, e il medley Alligator/Caution, dominate da estratti live e dall’organo di McKernan.
Nonostante Anthem of the Sun venga considerato un album rivoluzionario nel suo genere, la band non espresse mai un grande entusiasmo per questo lavoro. Nel 1969 venne pubblicato quello che forse è il capolavoro in studio dei primi Dead, Aoxomoxoa.
I testi sono tutti di Robert Hunter, divenuto ufficialmente il paroliere del gruppo (oltre a Dark Star aveva già scritto buona parte del testo di Alligator).
Con Aoxomoxoa i Dead rinunciano a riprodurre in studio l’atmosfera live, cercando composizioni più canoniche. Questo lavoro include diversi brani che poi sarebbero diventati classici del repertorio del gruppo, come Saint Stephen, China Cat Sunflower, e il “sermone” psichedelico di Garcia, What’s Become of the Baby. L’album risente dell’allontanamento già in corso di Pigpen, che iniziava a non riconoscersi più nelle scelte stilistiche del gruppo e probabilmente risentiva della presenza di Constanten.
I Dead parteciparono a Woodstock, ma la loro esibizione fu compromessa da un violento temporale e risultò deludente, tanto che il gruppo decise poi di non apparire né sul disco né nel film.
Alla fine degli anni ‘60 il movimento hippie iniziava a scemare e il rock psichedelico ne seguiva le sorti. In questo periodo i Grateful Dead incisero Live/Dead (1969, un album doppio live, che segna la fine di un’era e allo stesso tempo, secondo molti, rappresenta il lavoro più bello pubblicato dal gruppo. L’album contiene anche una versione leggendaria di Dark Star, che dai 3 minuti del singolo diventa un fiume musicale di 23 minuti. L’unica traccia che viene ripresa dai dischi precedenti è Saint Stephen dignitosamente psichedelica; segue, in un medley senza soluzione di continuità, l’inedita The Eleven e infine Turn on Your Lovelight, in cui Pigpen domina per 15 minuti con le sue tastiere power-blues.
Decisamente sperimentale è il brano Feedback (che, come il nome suggerisce, è realizzato esclusivamente con suoni generati dall’effetto feedback).
A conclusione del disco, il gruppo augura la buona notte con And We Bid You Goodnight.
Dopo Live/Dead il gruppo mutò decisamente rotta; come ebbe a dire Hart in seguito, “abbiamo abbandonato la nostra stazione lunare per mettere i piedi sulla terra”.
Questo mutamento corrispose anche a un trasferimento della sede principale dei Dead da Haight-Asbury al ranch di Mickey Hart, in aperta campagna. Questo luogo divenne un punto d’incontro per molti artisti dell’epoca, tra cui Crosby, Stills & Nash e i New raiders of the Purple Sage.
In questo clima musicale i Grateful Dead produssero nel maggio del 1970 Workingman’s dead, che segna il loro passaggio al genere country-folk. Nello stesso anno, a novembre, produssero American Beauty, secondo molti l’apice del loro periodo post-psichedelico.
Sono questi due album che nonostante tutto ottengono il successo nelle classifiche di vendita.
Con questi due album i Dead ottengono per la prima volta un grande successo commerciale, al prezzo della delusione di parte dei fan di lunga data.


Nel febbraio del 1971 avvenne la prima separazione importante nella storia della band, con l’abbandono del batterista Mickey Hart. Ufficialmente, Hart lasciò i Dead per intraprendere una propria ricerca musicale; tuttavia, incise sicuramente anche il fatto che il padre di Hart, Lenny, “cassiere” del gruppo, era da poco fuggito portandosi via gran parte dei fondi che amministrava. Nel frattempo era uscito un nuovo live, Grateful Dead (poi ribattezzato Skull and Roses), con brani della produzione post-psichedelica. In seguito a problemi di salute di Pigpen (legati agli eccessi del suo stile di vita), entrò poco dopo nel gruppo il sostituto Keith Godchaux, pianista, e al suo seguito si aggiunse ai Dead la moglie Donna Godchaux come corista e seconda voce.
Nel 1972 i Grateful Dead intrapresero il loro primo tour in Europa, immortalato dal disco triplo dal vivo Europe ‘72, che comprende sia pezzi tradizionali che alcuni inediti.
L’8 marzo 1973, poco tempo dopo la creazione della propria etichetta discografica Grateful Dead Records, il gruppo fu colpito dalla morte di Pigpen, a soli 27 anni, di cirrosi epatica. Al tastierista sarà in seguito dedicata la raccolta Bear Choice.
Nonostante la disgrazia, in ottobre i Grateful Dead uscirono con un nuovo album, Wake of the Flood, in cui vengono introdotti nuovi strumenti come violino, sassofono e trombone.
A Wake seguì, nel giugno del 1974, Grateful Dead from the Mars Hotel, da molti considerato un lavoro marginale.
A dispetto delle vicissitudini non sempre felici degli ultimi anni, nel 1974 i Grateful Dead portano a compimento un maestoso progetto tecnico, realizzando il Wall of Sound, un impianto di amplificazione senza precedenti, che però viene utilizzato solo per un breve periodo.
Gli anni ‘80, con una nuova formazione, che vede il quarto tastierista a subentrare nella band, è segnata da una certa inerzia, emblemizzata nella scarsezza di pubblicazioni di dischi in studio.
E’ invece sempre florida l’attività live in giro per l’America e per il mondo: nel 1981 escono infatti due dischi dal vivo, Reckoning e Dead Set. Pubblicati a distanza di pochi mesi, i due dischi mostrano in tutta la loro potenza le due facce dei Dead, quella acustica, con il primo album, e quella elettrica, col secondo: due splendidi album che testimoniano come nonostante il passare degli anni il gruppo sia ancora capace di regalare grandi emozioni.
Per i successivi sei anni i Dead si concentreranno esclusivamente nell’attività live, molto intensiva.
Ad interrompere questa, però, è una tragedia sfiorata: il 10 luglio 1986 Jerry Garcia cade in coma diabetico. Dopo 5 giorni d’apprensione, paura e sgomento tra i componenti della band e i fan però, Garcia si riprende: quelli che seguono sono per lui mesi difficili di recupero, che però lo rivedono a fine anno d nuovo in corsa col suo gruppo, apparentemente in buona forma.
Nel 1987, Garcia viene incontro al periodo difficile dell’amico Bob Dylan mettendo a disposizione i Dead come sua backing band: seguono alcune date live con questa formazione, arrangiata in poco tempo, da cui poi scaturirà nel 1989 il cd dal vivo Dylan & The Dead, poco amato e malricordato da entrambe le fazioni di fan.
Ma per i Dead nella metà del ‘87 c’è il ritorno in studio: quello che ne esce è In the dark, che aggiunge ovviamente poco alla già proficua carriera della band, tranne forse per il successo ottenuto dal singolo Touch of grey, un orecchiabile brano di soft rock, dedicato anche al dramma che aveva colpito Garcia l’anno prima, che raggiungerà le classifiche americane, per la prima volta da quando la band fu formata nel 1965.
E’ di due anni dopo quello che sarà l’ultimo album in studio per la band, Built to Last, in cui le idee musicali scarseggiano in favore di un soft rock mainstream.
Ma la disgrazia, che diventa quasi una maledizione a questo punto, torna a colpire il gruppo: il 26 luglio 1990 viene trovato morto il tastierista e cantante del gruppo Brent Mydland, a causa di un’overdose: è l’ennesimo duro colpo, e l’ennesimo amico e compagno che i Dead perdono. Dedicato a lui è l’album live Without a net, ulteriore splendido esempio di quello che erano i Grateful Dead negli anni ‘80 dal vivo con Mydland, che verrà sostituito da Vince Welnick, e assistito al pianoforte da Bruce Hornsby, per gli ultimi anni di concerti.
Ma il colpo più duro avviene il 9 agosto 1995: Jerry Garcia, da sempre visto se non come leader almeno come figura simbolo del gruppo, essendo poi il principale compositore, il chitarrista solista e cantante, viene trovato morto in seguito ad un infarto nel sonno al Serenity Knoll Drug Center, una clinica dove Garcia stava cercando di porre fine alla sua dipendenza dalle droghe.
E’ l’ultimo colpo del destino per la band, che non può permettersi di proseguire oltre senza l’uomo che per 30 anni ha guidato per mano la band fino a farla divenire un vero e proprio simbolo dell’America.
Il gruppo, sconvolto dalla notizia si scioglie immediatamente e non ci saranno più concerti o apparizioni per i Grateful Dead come tali.
Alcuni dei membri rimasti si esibirono in concerto in alcune occasioni come The Other Ones o Crusader Rabbit Stealth Band, e diedero vita a carriere soliste o progetti indipendenti (soprattutto notevoli i Ratdog di Bob Weir,o Phil Lesh and Friends, e la musica di Mickey Hart per le Olimpiadi del 1996).
Il 14 febbraio del 2003, gran parte della formazione originale si riunì col nome The Dead.

Sito ufficiale: