lunedì 25 febbraio 2008

Ricordo del Festival di Sanremo (Luigi Tenco)


Questa sera inizierà il Festival di Sanremo.
Io non lo guarderò,come d’abitudine.
Se non sbaglio l’ultima volta che lo vidi per intero  era attorno all’87-88, poco importa la data esatta.
Ricordo bene che alla fine della giornata di gara Carlo Massarini presentava “l’alternativa”, e i protagonisti erano di rilievo assoluto.
Ho anche in mente che a metà serata si proponevano tre gruppi esordienti che avevano vinto non so quale concorso, e tra questi gli Avion Travel, irriconoscibili, per stile e look.
Ho ben impressi i Sanremo della mia adolescenza, quelli impreziositi da presenze importanti.
Non mi riferisco ai miti di casa nostra, Villa, Modugno e Nilla Pizzi… quelli sono l’essenza ed il simbolo della canzone italiana, che piaccia o no.
Parlo invece di artisti incredibili, magari poco conosciuti, che per molteplici motivi, sono passati da quel mitico palco, magari in coppia con cantanti caserecci.
Il primo esempio che mi viene in mente e’ quello della canzone “Paff Bum”, cantata da Lucio Dalla e replicato dagli Yardbirds.
Per chi non lo ricordasse, gli Yardbirds sono quel gruppo in cui hanno suonato tre tra i migliori chitarristi della storia del rock, vale a dire Eric Clapton, Jeff Beck e Jimmy Page.
Di fatto, gli Yardbids sfociarono nei Led Zeppelin.
Con questi aneddoti si potrebbe andare avanti per ore.
La lista delle personalità e’ infinita, ma direi che di ogni Sanremo si riesce a trovare una piccola perla da conservare.
Di sicuro non rappresenta complessivamente il mio ideale di manifestazione e l’unica cosa che posso fare , anche quest’anno, è non guardarla, o meglio tentare per un’ora della prima serata e poi declinare l’invito che mamma RAI ci fornisce, gentilmente, ogni volta.
Per poter dare un’immagine simbolo del Festival scelgo un anno in particolare, il 1967.
Vediamo qualche nota relativa all’evento.

Il Festival di Sanremo del 1967 si svolse dal 26 al 28 gennaio.
Sede della manifestazione il Salone delle Feste del Casinò.
Vinsero in coppia Iva Zanicchi e Claudio Villa, con il brano "Non Pensare a me".
La classifica finale:

• Al primo posto; Iva Zanicchi e Claudio Villa, con la canzone "Non Pensare a me"
• Al secondo posto; Anna Rita Spinaci, e Les Surfs con " Quando dico che ti amo"
• Al Terzo posto; I Giganti e The Bachelors, con il brano "Proposta"

CURIOSITA':

-Domenico Modugno, si dice che ripudiò il cantante Francese Christophe, suo partner, perché non si ricordò le parole della canzone che dovevano interpretare insieme, il brano "Sopra i tetti azzurri del mio pazzo amore". Il cantante Francese offeso andò via.
-Il 26 gennaio del 1967, primo giorno del Festival, arrivò a Sanremo Mick Jagger, leader dei Rolling Stones, accompagnato dalla moglie Marianne Faithull.
-Claudio Villa quell'anno eguagliò il record di Modugno che consisteva in quattro vittorie.
Iva Zanicchi, invece, era la prima volta che vinceva dopo aver preso parte per tre volte alla gara canora. Scrissero sui giornali d'allora, che la canzone vincitrice fu scritta a immagine e somiglianza del gruppo "Strangers In The Night".

Ma l’evento drammaticamente più importante fu la morte di Luigi Tenco.
Il cantante si tolse la vita nella stanza N° 219 del suo albergo, "Hotel Savoy". Si sparò un colpo di pistola alla tempia, perché deluso: la sua canzone "Ciao Amore Ciao" fu eliminata.
Il suicidio di Tenco scatenò polemiche, sul valore della manifestazione, e sul giudizio dato in pochi minuti dopo l'interpretazione di una canzone.
Si racconta che Mike Bongiorno, la prima sera dovette convincere Luigi Tenco a salire sul palco del Casinò per cantare,il quale Tenco disse al presentatore : "..canto questa e poi ho finito..oppure la faccio finita.."
Si affermò che un giorno prima ,in un'intervista, avesse dichiarato che non doveva prendere parte al Festival. Chi lo osservò in televisione, assicurò che era terrorizzato, gli occhi erano sbarrati, sembrava dovesse svenire da un momento all'altro. La canzone era bella, fatta per Sanremo, giusta per il Festival.
La morte così entrò con forza al Festival.
Il clima intorno alla manifestazione era del tipo culturale,e andava ad anticipare gli anni della contestazione giovanile.
Il gesto di Luigi Tenco fu visto non come una rinuncia, ma di protesta, con la parola fine, con una ribellione ai giudizi.
I verdetti delle giurie erano contestati e c'era anche lo spauracchio del plagio.
Gli scandali erano costruiti appositamente per i festivals e forse il suicidio di Tenco fu veramente l'atto estremo di protesta per le scelte delle giurie di esperti che hanno fatto "arrabbiare" nel tempo tanti artisti.
Dalida cantava in coppia con lui.

Riporto un stralcio di una sua intervista.

Nessuna storia d'amore è paragonabile a quella che ho vissuto io con Luigi Tenco. È il compagno del quale mi sento vedova. Dio mi perdoni se non ho avuto il tempo di capirlo, di proteggerlo fino in fondo. Lui era il mio istinto, la mia vocazione musicale. Mi sentivo presa dal quel "rivoluzionario" che nel '64 aveva abbandonato la politica per delusione, e che aveva interrotto gli studi d'ingegneria ,perché sosteneva: "Io non costruirò mai ponti e case solo per far accumulare quattrini ai potenti. Meglio che nelle case arrivino le mie canzoni". Come tutte le persone romantiche che rifiutano di crescere, lui era il mio uomo ideale. Come non rimanerne soggiogata psicologicamente? Era un fiume in piena del quale io pretendevo invece di arginare l'impetuosità. Mi sono accorta troppo tardi che avrei dovuto aiutarlo.
Con la fantasia invento i nostri incontri. Lo rivedo per aggiungere manciate di minuti,di giorni, a quei ventott'anni finiti con una crocifissione. Piuttosto ribaldo, mi ripete versi da me già sentiti, quelli del poeta Rimbaud: "Tutto quello che ci insegnano è sbagliato". Che carattere! Allora io trovo pace, convincendomi che Luigi non poteva invecchiare a mediocre livello. Lui somiglia agli eroi, ai quali il destino toglie l'umiliazione della vita terrena e il disagio del progressivo declino fisico.
Era divertente con chi conosceva e scorbutico con quanti gli risultavano estranei.
Con me, anche nell'intimità, là dove le persone si tolgono la maschera lui, accidenti, alla confidenza preferiva insopportabili silenzi.
Era bello e sempre corrucciato proprio come i versi delle sue canzoni. Mi appassionò il fatto di scoprirlo continuamente imprevedibile. Cambiava umore, ribaltava sensazioni al punto di rimettere continuamente in discussione tutto quanto credevo di aver capito di lui.
Quegli improvvisi tuffi al cuore mi permettevano di trovare una perfetta fusione. Immutabile restava soltanto la sua onestà. Perfino esageratamente onesto. E rigido di principi. L'abbiamo perso anche per questo. Luigi ha pagato più del dovuto le proprie innegabili virtù".
Colazione all'albergo Savoy. Luigi scherza, è allegro. Si sente sollevato. Dice d'aver già messo bene radici in un ambiente tanto infido. Immagina la condiscendenza del pubblico, le reazioni colorate dei critici. La canzone è un valido pretesto per raccontare la sua storia. Dentro c'è tutto il suo entusiasmo, la sua giovinezza. Aveva passato giorni e giorni isolato in una torre a cercare accordi giusti e atmosfere toccanti. Naturale che sia galvanizzato per ben figurare. Io, del resto, non ho nessuna paura. Queste le nostre confidenze. Poi lui mi prende per un polso e dice: "Vai a riposare. Devi sentirti in forma, quel palcoscenico è capace di tutto". Alle 19 mi telefona in camera: "M'è presa una strana ansia. A quella 'roulette' andiamoci insieme. Aspettami nella hall". In macchina mi dice che gli si è chiuso lo stomaco. "Prendi una camomilla", lo scongiuro. Invece, a mia insaputa, per domare un'ansia che non si placa, consuma una quantità di tranquillanti, esagera col whisky.
Comincia a sfuggirmi: il mutismo, lo sguardo assente me lo portano lontano. È accaduto qualche altra volta. Gli chiedo: "Perché non parli?", e lui si giustifica:
"È come fuggissi non so dove, per allontanare i traumi della mia infanzia."
Non una parola di più. L'unico mio rimorso è che in quei momenti avrei potuto fare di più, magari sollecitarlo pazientemente a scacciare quegli incubi, a dimenticare quelle vicende che l'avevano segnato in passato. Purtroppo c'è poco tempo. Ecco, lo chiamano: -Dov'è Tenco? Dovrebbe già essere in palcoscenico. Nessuno l'ha visto. Lo cercano. Lo trovano addormentato su una panca. Mike Bongiorno deve spingerlo in scena. Dio mio, quello che canta "Ciao amore ciao " non è Luigi, è un altro, è il suo manichino.
C'è chi ha parlato del terrore del pubblico, per uno come lui non corazzato per esibirsi davanti a platee gremite. Io dico che non è vero. Sapeste che Tenco, simpatico e sbarazzino chansonnier, ho avuto modo di applaudire al microfono della Casina delle Rose, a Roma, nel primo e ultimo Capodanno festeggiato insieme!
Dopo il recital aveva a lungo parlato con me. A Sanremo no. Era come rinserrato nel coma. Pazienza, fossero tutte qui le amarezze di una coppia che si vuol bene.
Aspettiamo il responso delle giurie. Uno accanto all'altra, ma in realtà distanti.
Neppure 40 voti su 900. "Una débàcle", fa lui. E io: "Nella vita un giorno si vince e un altro si perde". C'è il ripescaggio di una canzone, affidato alla giuria dei giornalisti. Lo aiuto a sperare: "Vedrai che andrà meglio". E invece va male e per Luigi è un colpo terribile. Cerca una scusa per andarsene. Vuole isolarsi. "No, andiamo al ristorante", insisto io. Non so più come distrarlo.
Una volta in macchina, guida da sconsiderato la sua Giulia. Rischiamo più volte l'incidente. Non lo riprendo, non gli dico niente, non è il caso. "Parla", chiedo. Non una parola di risposta. Poco dopo essere entrati al Nostromo, ecco il fulmineo voltafaccia. Luigi bisbiglia: "Rientro in albergo a riposare. Sono stanco".
Dovrei avere più autorità e impedirgli di andar via. Però riesce a prendermi in contropiede. Qualche attimo dopo ho un presentimento infernale, pur non sapendo che Luigi ha con sé la pistola. Un grumo d'angoscia m'attanaglia. Subito m'aggrappo al telefono, cerco un taxi, corro al Savoy. Macché: Luigi è sulla strada del ritorno ed è irraggiungibile. "Fai presto", mi dico".
Al bureau chiedo se Tenco è in camera. Non so che sto precipitando nel mio fallimento. Poi, in un attimo, intuisco quello che potrebbe essere accaduto. Quello che dovevo impedire che accadesse. Sono arrivata con dieci minuti di ritardo. Dieci minuti che hanno sconvolto la mia vita. Dapprima vedo i suoi piedi spuntare da dietro il letto e allora penso che sia caduto, colto da malore. Poi il sangue, quell'esplosione di orrore.
Quale il movente? Non solo la delusione per non essere riuscito a far capire il mondo dei giovani, senz'altro qualcosa gli si è spezzato dentro.
A lungo ripeto: "Non può essere vero". Adesso sono io che debbo sottrarmi all'ingorgo di incubi paurosi. Non so andare avanti. Una settimana dopo mi rifugio a Recco, dalla mamma di Luigi. Sento il dovere di farle visita. Ma chi può consolarla? Nessuno. Restiamo a guardarci e a piangere.Capisco che devo andarmene in fretta dall'Italia. Ma non serve a niente. Staccata da lui, non ho più identità. Ha ragione Victor Hugo a dire: 'Quando si perde la persona amata, il mondo si spopola'. E allora, esattamente un mese dopo, un mese che è un'eternità, penso di farla finita anch'io.
Ingoio 75 pastiglie di un tranquillante. Per esser certa di riuscirci, scelgo una stanza d'albergo dopo avere preparato tutto con scrupolo: il testamento dal notaio e una lettera per mia madre. Ventiquattr'ore dopo una cameriera si insospettisce. Da sotto la porta filtra una lama di luce. Da l'allarme. Mi trasferiscono all'ospedale. La prognosi è di cinque giorni. Evidentemente è scritto che io debba sopravvivere per trovare rimedio alle contrarietà.

È il 3 maggio 1987 quando, a Montmartre, Dalida si toglie la vita, a vent'anni dal primo tentativo. Accanto al corpo lascia appena un biglietto:
Perdonatemi, la vita mi è insopportabile


Rivediamo una testimonianza audiovisiva relativa a quel Sanremo 67.


Ho descritto un momento drammatico evidenziando come un piccolo spazio come il Festival, apparentemente frivolo, contenga tutti gli ingredienti della nostra vita: l'amore, la morte, la delusione, la musica,l'orgoglio, l'invidia, l'amicizia, l'arroganza, l'ambizione, il successo, l'insuccesso e... potrei proseguire per molto.
Tutto questo, credo, giustifichi ampiamente l'esistenza del Festival di Sanremo.
Accanto a tanta serietà c'e' l'aspetto ludico e meno impegnativo.
Per proporlo, scelgo pochi secondi di un "cantante" incredibile (l'unico comico vivente capace di farmi ridere anche quando assume ruoli seri).

Parlo di Diego Abatantuono , in questo caso emulatore di Riccardo Cocciante.




Citazione del giorno:
"Come è nobile chi, col cuore triste,vuol cantare ugualmente un canto felice, tra cuori felici" ( Kahlil Gibran)



1 commento:

Anonimo ha detto...

E'inevitabile non ricordare Tenco quando si parla di Sanremo!
Io ero piccola ma mi ricordo ancora come in un sogno quel giorno.
L'ho scoperto però più avanti, mi piaceva molto e lo ascoltavo spesso, "Io sono uno", e "Cara Maestra" le cantavo con rabbia (con la mia voce stonata ed inascoltabile!!!)...le trovo sempre attuali ed ogni tanto le canticchio piano piano.
Io lo guarderò Sanremo, sicuramente,come sempre, ad un certo punto mi addormenterò, però quel carrozzone un pò mi diverte. Mi piace fare pronostici (sennò che maga sono?)ed ogni tanto ci azzecco.
...e poi ci sono i "Findus" non li possiamo mica perdere no???....
Ciao! Raffamaga